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Dada zero

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Published in 
Dada
 · 20 Jun 2024

database DADAZERO
VER: 1.0
Alessandro Gerelli 2:332/805.5 , a.gerelli@agonet.it , gerefago@mag00.cedi.unipr.it
(c) "4 Giugno 1995"

DADA : magazine telematico di cultura

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DADA : magazine telematico di cultura


DADA - NUMERO ZERO

Sommario

  • ARTICOLI & RECENSIONI
    • Editoriale di Angelo Politi
    • Poesia e Cyberspazio di Guildestern
    • Tagtime di Leone L'allegro
    • Recensioni a cura di Angelo Politi

  • POESIE & SONGS
    • L'Infinito di Giacomo Leopardi
    • Notte tra il 12 ed il 13 Dicembre di Alessio Saltarin
    • Poesie di Stefania De Pantz
    • Songs di Tom Waits
    • Olio Fiammingo di Corinna Ellaspide
    • Blue Songs di Syd

  • RACCONTI & SHORT STORIES
    • Lui di Vincenzo Scarpa
    • Mattia e Pallino di Angelo Politi
    • Le Consultazioni di Vittorio Curtoni
    • Taglines di Leone L'allegro
    • Short Stories di Istvan Orkeny

  • Saluti
  • Amiga version by Alessandro Gerelli

Editoriale

di Angelo Politi


Perche' una nuova rivista telematica?

Perche' ho appena perso il lavoro (sono sempre stato un po' sbadato), ho perso pure uno zio (molto sbadato allora!) e sono li' li' con la fidanzata... cosi' ho molto tempo libero, perche' dieci sono meglio di nove, perche' qualcosa bisogna pur fare, perche' sulla tv non c'e' niente stasera (e giurerei di averci messo un vaso ieri), perche' il vino e gli amici sono finiti, perche' la voce di Kurt non c'e' piu', perche' fuori piove madonna come piove madonna come viene giu' uh e qualche volta le madonne piangono pure, ma mai che ridano un po', perche' sei dio esiste c'avra' la sua buona scusa, perche' l'America e' lontana (per fortuna!) e la palla e' rotonda, e non sempre tutto va come vorremmo, ma qualche volta si', perche'... perche'... sono fatti miei!

Perche' una rivista di stampo letterario?

Perche' non so niente di astronomia e di semiologia, di funghi e di licheni, che si sa vanno sempre in coppia come gli assiri ed i babilonesi di cui peraltro non so nulla, non m'intendo di astrologia ne' di robotica, ne' di politica ne' di numismatica, per non parlare di chirurgia e macrobiotica, che mi fa pure un po' senso, o di botanica e liturgia di cui non so veramente un cazzo!

Perche' DADA?

Perche' DUDU era brutto, Rivista Letteraria Telematica era scontato, Il Canestrario Virtuale non vuole dire niente e un nome bisognava pur darglielo.

[SERIOUS MODE ON]

Cosa conterra' DADA?

Di tutto, di piu'! Non e' nuovo come slogan? Pazienza, noi inseriremo nella rivista testi vecchi ed inediti, di grandi autori e di emeriti sconosciuti, racconti e poesie, storielle brevi ed aneddoti, tagline e testi di canzoni, barzellette e scioglilingua, recensioni letterarie, musicali, teatrali, televisive, ecc.., editoriali e cazzate varie (c'e' differenza?), varie ed eventuali. Insomma tutto quello che secondo noi vale la pena leggere, almeno per una volta.

Chi scrive su DADA?

Tutti quelli che avranno voglia di inviarci il loro, o di altri, materiale (ved. nella zona saluti i nostri indirizzi), sempre che ci piaccia. Se non ci piacera'... amici come prima. In ogni caso privilegeremo sempre le cose sentite, le cose con un'ANIMA, indipendentemente dalla grammatica, dalla lingua, dalla lunghezza, dal tema trattato, dall'attualita' (e' la cosa che c'interessa meno, le cose belle non hanno eta') dall'importanza di chi le ha scritte (anche questo c'interessa poco, a meno che non ci sovvenzioni ;-) ).

[SERIOUS MODE OFF]

Perche' la TELEMATICA?

Si risparmia.

Perche'?

Perche' no!

Ciao!

Ciao!

Alessandro Gerelli

Ho contribuito alla rivista DADA fornendo il mio aiuto nel preparare la versione per Amiga.

Chiunque avesse suggerimenti, critiche ( insulti ;), per cio` che concerne la versione Amiga, puo` contattarmi agli indirizzi elettronici sotto riportati.

Lunga vita ad Amiga !!!!

bye bye

            .:  | Alessandro Gerelli  ( The Amiga Supporter ) 
.::: |
.;' :: | InterNet : gerefago@mag00.cedi.unipr.it
.;' :: | : a.gerelli@agonet.it
.::::::::: |
.::. .::. | FidoNet : 2:332/805.5

Poesia e Cyberspazio

di Guildenstern


C'e' un campo dell'arte in cui lo spazio attorno e' un universo nero e senza luci. E' uno spazio che non ha dimensioni estensive, e' uno spazio propriamente virtuale. In questo non-spazio regna incontrastato il Pensiero. Non esistendo individualita' controllabili (non c'e' documento d'identita' nel non-spazio) cio' che rimane e' il Sogno e la Possibilita'.

Che le parole, meglio, la Parola rende esteriore ed unica Verita'. Verita' dell'Arte, verita' incontrovertibile. Le meraviglie di questo non-spazio sono riassunte nel nostro cyberspazio, quello che conosciamo, che stiamo esplorando, come i pionieri fecero con l'Ovest del Nuovo Continente. La Poesia come strumento di esplorazione del cyberspazio, come Grammatica, come Galateo. O se vogliamo semplicemente come Bigino.

Comincio oggi col proporvi due poesie inedite della nuova guardia di poeti milanesi, uno di loro, il primo, Alessio Saltarin, fa parte del Circuito Giovani Artisti Italiani e ha scritto su qualche rivista del settore come Il Segnale (I Dispari), Alla Bottega. La seconda, Corinna Ellaspide, e' una giovanissima poetessa milanese che si rifa' a Saffo e all'ultima scuola della poesia strutturale estetica. Al di la' comunque delle non facili, e quasi mai pertinenti, classificazioni, vorrei che le leggeste con la dovuta calma, magari al buio, nella sola luce artificiale del monitor: lasciatevi trapassare dalle parole.
Indirizzate i vostri commenti a Guildenstern @ Rendez-Vous BBS.

Tagtime

di Leone L'allegro


Avrei voluto chiamare questo pezzo "Dalle formiche agli spot, dai racconti bonsai alle tagline: il segno di un tempo", ma non avrei rispettato lo spirito dell'argomento in questione. Sintesi ed immediatezza sono, infatti, la principale caratteristica delle TAGLINE, frasi che non danno il tempo al lettore di riflettere, gli occhi scorrono lungo la riga e si e' gia' alla fine, la vita delle tagline si consuma nel breve volger di pochi secondi di lettura, ma a discapito di tutto cio' alcune tag sono destinate a vivere per lungo tempo, riprese e diffuse da utenti di tutto il mondo, che ne prolungheranno in questo modo la loro breve esistenza.

Le tagline non hanno padroni, possono essere inventate, reinventate, citate, storpiate, modificate. Nessuno puo' dire di avere una sua tag. Le tag sono di tutti gli utenti e di nessuno. Le tag, forse, hanno una loro vita propria e forse, anzi probabilmente, sono loro a scegliere gli utenti, non il contrario. A noi sembra di ricordare una frase di un film, il ritornello di una canzone oppure la frase di un amico, in realta' e' solo una nuova tag che si sta cercando uno spazio, non molto gli basta una riga, una nuova dimora in cui soggiornare per poco prima di rivolgersi ad altre destinazioni (le tag viaggiano per il mondo pagando pochissimo) oppure prima di decidere di estinguersi per sempre.

Le tag possono essere divertenti, serissime, volgari oppure malinconiche, possono essere taglienti come la lama di un rasoio o dolci come la sacher, dipende da come gli gira.

Noi abbiamo deciso di dar loro uno spazio, uno spazio un po' meno angusto della loro abituale riga, sperando che non se n'abbiano a male. Non sarebbe nelle nostre intenzioni. In ogni numero inseriremo le migliori tag che riusciremo a raccogliere o, ancora meglio, che voi ci farete pervenire, dedicate ad un preciso tema. Il tema che vi proponiamo per il prossimo numero e' : COMPUTER E SISTEMI OPERATIVI.

Dal Dos all'Amiga, dal buon Bill Gates a Big Blue & Big Apple, ecc.. sbizzarritevi!

In questo numero iniziamo, intanto, con il proporvi alcune delle migliori tag che ci sono capitate tra le mani nelle nostre scorribande telematiche, e stuzzicandovi con un piccolo quiz: da dove e' stata presa la tag riportata qua sotto?

"E' bella come una bottiglia di Coca Cola piena di latte"

Recensioni

a cura di Angelo Politi


Anche, e soprattutto questo spazio, come gli altri ha bisogno del vostro aiuto. Mandateci le vostre considerazioni su film, libri, spettacoli, ecc.. che vi hanno in qualche modo affascinato o comunque indotto a dire qualcosa. Noi non siamo e non vogliamo essere una rivista d'attualita', per questo motivo inseriremo solo commenti POSITIVI. Non c'interessano le stroncature o gli insulti a questo o quell'autore. Cio' che non ci piace non merita di essere menzionato no? Per lo stesso motivo ci faranno piacere retrospettive e commenti anche di opere ed autori non necessariamente recenti.

In questo numero, aspettando i vostri contributi (cazzo non posso certo fare tutto io!), voglio segnalarvi alcune interessanti uscite discografiche degli ultimi mesi.

-A Face in the Crowd- by SOURGRAPES (Sweet Music Production)

Ottimo esordio per questo nuovo gruppo italiano (provengono da Salsomaggiore Terme e dintorni) capitanato da Giorgio Gennari. Nove canzoni tra grunge, echi seventies ed influenze varie (si dice crossover no? Com'e' difficile trovare definizioni che non risultino in ogni caso limitative, cristo!). Tra i pezzi migliori segnaliamo la lunga ballata, a tratti doorsiana, intitolata "Polluted", la bellissima "Life" e la coinvolgente "A Face in the Crowd" che da il titolo all'album. Disponibile su musicasetta e Cd. Se non lo trovate richiedetelo direttamente al fornitore ufficiale (e' anche negozio per privati) Sweet Music - Via Bottoni, 11 (Salsomaggiore T.) - Parma. Ma soprattutto non perdeteveli LIVE quando capitano dalle nostre parti!!!

-La Crus- by LA CRUS (Wea)

Altro esordio da non perdere per una nuova band milanese che tenta di riportare la canzone impegnata italiana ai fasti di un tempo. Non a caso compaiono cover di Piero Ciampi e Luigi Tenco. Alla voce Mauro Ermanno Giovanardi alias Joe Fletch gia' leader dei bravissimi "Carnival of Fools", che comunque speriamo non abbandonati definitivamente (sarebbe un vero peccato e appena lo vedo glielo dico ;-) ).

Da Rockerilla, su questo disco, annotiamo: Tredici canzoni che spaziano lungo trent'anni di sentire musicale urbano, dalla malinconia periferica de "Il Vino" sino al pulsare palpitante ed elettronico della cellula ritmica attorno a cui viene costruita, in crescendo, l'iniziale "Natura Morta".

Se un senso di desolazione, d'impossibilita' permea tutta l'opera, e' vero che questo stesso sentimento acquisisce sovente una forza tutta particolare, quasi metafisica che culmina nelle tre immagini simbolo di "Nera Signora", "Buco di Pietra" e "La Giostra" (con la magnifica invenzione del giostraio notturno delle anime perdute), brani che a mio parere rappresentano il centro narrativo del disco. (Antonio Vivaldi)

Non ci ho capito quasi niente ma la sensazione che rimane e' quella.

Altre due brevissime segnalazioni:

-Soul Food- by OBLIVIANS (Crypt)

Assolutamente da non perdere per gli amanti del blues stravolto in stile Jon Spencer. Anzi quasi meglio dell'originale a cui molto apertamente si ispirano.

-Starlite Walker- by SILVER JEWS (Domino)

Nuovo nome per Doug Easley e quasi tutti gli altri suoi compagni dei Pavement che ripropongono le loro ballate in maniera sempre gradevole. In attesa del nuovo Pavement che dovrebbe uscire in proprio questi giorni.

L'Infinito

di Giacomo Leopardi


Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di la' da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Cosi' tra questa
immensita' s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'e' dolce in questo mare.

Notte tra il 12 ed il 13 Dicembre

di Alessio Saltarin


Questa notte mette paura
e popola di fantasmi il letto.

Ho perduto e il sonno e
l'illusione di fuggirli senza contagio.

Nel rivedere i tuoi occhi lucenti
il tuo sguardo al mio stupito.

E ora lei pure, inghiottita dal tempo
la cerco, tremo, non la ritrovo.

Come vorrei parlarti
e piangerti addosso la mia ferita.

Ma infine non esiste
che una speranza d'alba.

Quando la luce, in silenzio,
mi sotterrera' anche questi pensieri.

Congelati una mattina
del lungo inverno che m'aspetta.

Poesie

di Stefania De Pantz


MILANO D'INVERNO

Alle 5 in Piazza Duomo
odore di nebbia e di castagne.

A mezzanotte un taxi giallo
la mia calda poltrona rossa si raffredda
mentre la gente scintillante
invade la strada
fuori dal teatro.


VOLEVO SCRIVERE UNA POESIA

Volevo scrivere una poesia
che sapesse di mare
coi colori di un cielo in tempesta
e il sapore del sale
distillato dal sole
sugli scogli.
Ma mancavano gli uomini
al mio mare
e le donne
in attesa sulla spiaggia.
Il fragore delle onde
ininterrotto
dal grido dei gabbiani
sfumava in un'eco lontana
senza vita e senza senso
perche' troppo vuoto era il mio mare
e troppo solo.

2 Blue Songs

UNDERGROUND (SOTTOTERRA)

di Tom Waits


Rumori di Grandi Ossa Nere
Nella Zona Pericolosa
C'e' un lamento che rimbomba
La' sotto
C'e' una grande citta' oscura
Un posto che ho scoperto io
Un mondo che vive
SOTTOTERRA
Sono vivi, sono svegli
Mentre il resto del mondo dorme
Sotto i cunicoli del pozzo minerario
Tutto sara' svelato
C'e' un mondo che vive
SOTTOTERRA
Le radici scendono
E si diramano da una citta' all'altra
Si spostano marciando
Sotto i tuoi stivali
Ci sono operazioni di scarico
Nei buchi sotterranei
C'e' un mondo che vive
SOTTOTERRA


RAIN DOGS (CANI RANDAGI)

di Tom Waits

Dentro un orologio rotto
Spruzzi il vino
Con tutti i Cani Randagi
Niente taxi, preferiamo camminare
Stretto insieme ai Cani Randagi sulle soglie delle case
Perche' anch'io sono un Cane Randagio

Oh come danzavamo e inghiottivamo la notte
Erano tempi maturi per i sognatori
Oh come danzavamo via
Tutte le luci
Siamo sempre stati un po' fuori di testa

Il rum scorreva fluido e gagliardo
Cacciare gli spazzini
Con i Cani Randagi
A bordo di un relitto di treno
Dare il mio ombrello ai Cani Randagi
Perche' anch'io sono un Cane Randagio

Oh come danzavamo con la
Rosa di Tralee
Dai lunghi capelli neri corvini
Oh come danzavamo e tu
Mi sussurravi:
"Non tornerai mai piu' a casa
Non tornerai mai piu' a casa"

Olio Fiammingo

di Corinna Ellaspide


Placida scorre l'acqua del ruscello
attorno a questo nostro nuovo prato
di un'erba cosi' verde cui s'innalzano
grevi i nodosi meli appensa scossi
dal vento di libeccio che vi s'insinua.

Senti solo il gorgogliare stanco
dell'acqua diafana sui massi scabri,
il chiasso lento lieve delle foglie
ed il pesante levarsi in volo infine
di due pavoncelle dal collare bianco.

E la Terra ci pare inghirlandata
delle rose odorose, dei gerani,
ogni cosa ci si rallenta addosso
come avessimo trovato la via
e stessimo a rimirarla abbracciati.

Ci ravvede una tua mossa incauta
e non sei meno bella per la vita
di quell'erba, dei meli, del ruscello:
laddove fu l'inganno di un momento
vederci vivi in un quadro fiammingo.

Eterno che solo alberga nell'immoto
dipinto, desiderarlo
per fuggire a questa capsula di tempo.

Songs

di Syd


ALBA

Respira forte un altro sorso di cielo
lascia le scarpe a riposare sul lido
senti il silenzio che ti stringe il pensiero
senti la voce che ti porta il mattino

L'alba è un ricordo che viene da est
l'acqua è un sorriso che non ti servirà
lascia la spiaggia che di mondo ce n'è
la sabbia serve a costruire città

Porpora e sangue che paura d'amore
grigio di nebbia quanta gente che c'è
ossi di seppia come raggi del sole
è troppa la luce che ritorna da te

DESERTO

Disteso
con l'anima impressa
nel velo
questa grande spiaggia
non finisce mai

Sorpreso
da troppo silenzio
davvero
nel vento c'è un urlo
non finisce mai

Ci sono solo io sopra questo mondo

Guarda
pupilla che guarda
nel sole
questa linea di sabbia
non finisce mai

Resta
pensiero e tempesta
(ascolta)
c'è una grande guerra
non finisce mai

Ci sono solo io sopra questo mondo

"Cosa accade alla mia pelle
sola (come solo) vedo lacrime di sempre
non c'è confine tra la terra ed il futuro
come terra vedi sabbia
ed il futuro è il tuo deserto"

Niente acqua ne' fuoco
solo questo vuoto che conosci già

Era la tua città

Lui

di Vincenzo Scarpa


E' davvero una strana sensazione quella che pervade tutto il mio essere, una sensazione mai provata prima. Sento che qualcuno mi sta inseguendo, ma non ho idea di chi sia. L'unica cosa da fare e' stringere con convinzione il manico della mia valigetta nera e camminare piu' speditamente, evitando cosi' di farmi raggiungere subito.

Subito, perche' dico subito mio Dio? Come puo' raggiungermi o semplicemente vedermi con questa folla? Sento il bisogno impellente di nascondermi, di essere altrove, in un altra citta', in un altro stato, in un altro pianeta. Qualsiasi posto va bene: basta che lui non mi veda. Lui chi poi? Il mio fantasma immaginario? L'uomo che sogno ogni notte? Quello che indossa un mantello nero e un cappello da prestigiatore? No, non e' possibile, quello e' solo un frutto della mia immaginazione, una creatura che puo' vivere solo nei miei incubi. Bene, ora devo cercare di raggiungere la mia vettura e sparire per sempre; dov'e'?

Ah, ecco, e' propio nel vicolo qui a destra. Ora entro e... un momento! Cosa ci fa qui l'entrata di di un vecchio cinema anni trenta? Dov'e' la mia macchina? Voglio andare via! I passi. Qualcuno si sta avvicinando. Devo nascondermi o e' la fine. Mi metto a correre, urlando a squarciagola la parola aiuto, possibile che nessuno mi senta? Dove sono finiti tutti quanti? Dove sono tutte le persone di prima? Dio mio, voglio uscire da quest'incubo, che qualcuno mi aiuti!!! Il rumore di quei maledetti passi. E' questo che mi rende nervoso vero? Molto probabile. Non ho mai avuto i nervi saldi, neanche quella volta che ho ucciso a sangue freddo mia madre con l'ausilio di un coltello da cucina. Lei si' che era cattiva; smussava gli spigoli dei mobili per evitare che mi facessi male, continuava a dirmi che ero repellente per non farmi uscire di casa, e che le donne erano opera del demonio. Davvero una mammina coi fiocchi, che avrebbe fatto di tutto per il suo figliolo. Pero' non mi ha mai spiegato perche' beveva birra e si portava a letto molti uomini, perche' con me era perversa e mi chiamava sporco insetto.

Svolto l'angolo. Oh Dio, ancora quei passi, adesso basta! Quello lo sistemo una volta per tutte. Apro la valigetta e cosa c'e'? Cucu'! Un bel machete affilato, quel grosso coltello a un solo taglio che viene usato per tagliare la canna da zucchero, propio lui. Solo che io ne faccio un uso prettamente diverso e molto piu' divertente: taglio le teste delle mie vittime e le conservo in cantina nel congelatore. Uccidere e' la sola cosa che mi dia soddisfazione in questo mondo pieno di ipocriti. Mi apposto dietro lo spigolo del muretto aspettando con trepida ansia il suo arrivo; non vedo l'ora di affondare il mio dolce machete nelle sue carni, uomo o donna che sia.

Pero' un momento, qui c'e' qualcosa di strano, qualcosa di veramente insolito. Come mai odo il rumore di quei passi alle mie spalle? Non puo' essere possibile! Maledizione, e' lui. L'uomo dei miei incubi, il mio compagno dei viaggi infernali, colui che mi accompagnera' nella vita dopo la morte. Ma cosa dico? Io non posso morire. Devo ancora uccidere tanti ipocriti, non posso permettere che costoro vivano ancora. Quel maledetto pero' non ne vuole propio sapere. Mi fissa negli occhi, si toglie il cappello e in un attimo il mio machete si frantuma in mille pezzi. Devo correre, andare in un luogo piu' sicuro dove possa portare a termine i miei progetti, dove possa essere libero di camminare senza il timore di essere perseguitato. Ecco. Svolto di nuovo l'angolo ma... dove mi trovo? Non riesco a credere a quello che vedono i miei occhi.

Sono davanti ad un edificio di stile italiano; un vecchio dalla faccia deforme e logorata tiene fra le mani un cubo di vetro opaco, mentre una bambina triste e solitaria osserva una colomba trasparente prendere il volo per andare chissa dove. Due strani esseri dalla bocca allungata discutono tranquillamente tra loro, ed un uomo senza volto saluta una donna senza mani. Poi il tutto si trasforma. L'edificio con tutte le sue folli creature si allunga fino a diventare un'altissima torre. E indovinate un po' chi arriva? Lui, sempre lui, solo e sempre lui. Maledetto! Ma se spera di avermi cosi' facilmente, si sbaglia proprio di grosso.

Entro nella torre. Una scala a chiocciola sale verso l'alto ed io, non potendo fare altrimenti, comincio a percorrerla. Piu' avanzo, piu' sento dei continui brusii, degli insisten- stenti boati che mi spaccano i timpani e dei fastidiosi pi- golii; i muri respirano e l'aria si fa piu' pesante impedendomi di respirare. Incapace persino di parlare, serro le mani attorno alla gola, mi inginocchio e cado sui gradini. La vista oramai si e' annebbiata, ma posso ancora distinguere la sagoma di quel maledetto che si avvicina sempre di piu'...

Mattia e Pallino

di Angelo Politi


Pallino non era un cane come tutti gli altri. Pallino era il cane di Mattia e questo bastava a farlo diventare di gran lunga piu' importante di tutti gli altri cani. Gli era stato regalato in occasione del suo quinto compleanno e da quel giorno avevano festeggiato altri quattro compleanni insieme.

Si', perché Mattia aveva deciso con un atto d'autorita' che loro due dovevano essere nati lo stesso giorno dell'anno, e cosi' il 10 Luglio era diventato un giorno di festa per entrambi. Pallino era una parte fondamentale della vita di Mattia, e non perché fosse particolarmente bello, un agglomerato di arruffato pelo bianco con un'unica macchiolina nera in prossimita' dell'orecchio sinistro non poteva definirsi precisamente bello, né particolarmente intelligente, che non era nemmeno quello, ma perché era il suo solo e piu' caro amico. Era a Pallino che Mattia rivolgeva i suoi pensieri durante le interminabili ore di scuola, era Pallino che gli correva incontro appena lui rientrava in casa, era il caldo respiro di Pallino che sentiva accanto a sé di notte mentre dormiva, era Pallino, insomma, che lo faceva sentire importante ed unico in questo mondo. Pensate, per capirci, che una volta in un tema di compito delle vacanze natalizie dal titolo "La mia famiglia" Mattia descrisse con tali ed affettuose parole Pallino che la maestra penso' trattarsi del suo fratellino minore dal soprannome buffo.

Quell'estate, pero', le cose non erano andate proprio come loro due desideravano, perché l'amministrazione del condominio dove solitamente trascorrevano le vacanze non aveva voluto assolutamente concedere ai genitori di Mattia il permesso di portare con sé il cagnolino come negli anni precedenti. Mattia aveva pianto a lungo per questo motivo, ed aveva persino implorato il padre di non volere piu' andare al mare e che lo lasciassero dai nonni con Pallino, ma alla fine aveva compreso che anche loro avevano il diritto di stare con il proprio figlio un po' di tempo e aveva dovuto, cosi', arrendersi all'idea di dovere rimanere tre settimane senza il suo piu' amato compagno.

E quei giorni passavano maledettamente lenti, e non uno senza che Mattia non desiderasse con tutte le sue forze di avere vicino a sé Pallino. Immaginarsi, dunque, il suo stupore quando si vide correre incontro sulla spiaggia il bianco e peloso amico con l'inconfondibile macchiolina nera sull'orecchio sinistro. Mattia stentava a credere ai suoi occhi e solo quando poté abbracciarlo stretto stretto a sé si senti' posseduto da un'immensa gioia e incomincio' a gridare di felicita'. Pallino era spossato dalla fatica, ma la sua contentezza lo ripagava di tutte le peripezie del viaggio e lo ricaricava di nuove energie.

Anche i genitori di Mattia rimasero alquanto sorpresi nel vederselo li' e non riuscirono a trattenere un sorriso di ammirazione per il coraggio e l'affetto che Pallino aveva dimostrato in quell'occasione. E ora guardavano Mattia che giocava a rincorrersi con lui, e poi si rotolava nella sabbia e lo gettava in acqua, che Pallino aveva sempre odiato l'acqua, e poi ecco quel gommone cosi' vicino accendere improvvisamente il motore, un Evinrude da 25 cavalli, e dei peli bianchi e ora anche un po' rossastri schizzare da tutte le parti e l'orecchio con la macchiolina nera, quello sinistro, finire proprio nelle mani di Mattia incredulo che subito si getta anche lui in acqua nel tentativo di salvarlo e l'elica del motore si affanna per un attimo poi riprende con un rumore piu' stridulo e tutti gridano in direzione del braccino che riemerge dall'acqua perché nulla vi e' piu' attaccato e la madre di Mattia si accascia per terra, infarto? no forse e' solo un comprensibile malore passeggero, le si avvicina un medico, e' proprio infarto maledizione, non c'e' piu' tempo da perdere, qualcuno corre a chiamare un'ambulanza, il medico si offre di restare vicino alla madre ad attenderla, mentre il padre carica Mattia e il suo braccino sulla macchina e si affretta verso l'ospedale, tutta la spiaggia e' ammutolita, incredula che un cosi' grande dolore sia potuto accadere proprio li' sotto i loro occhi senza poterci fare niente, e io pensavo che il ragazzo l'avesse visto il motoscafo, e' successo tutto cosi' all'improvviso che non mi sono nemmeno resa conto, anche mia figlia ci gioca sempre li' vicino e a volte ci fa anche i tuffi da quei motoscafi ormeggiati li' e io le dico sempre..., certo che quando e' destino... pensa che l'altr'anno il figlio di una mia amica doveva andare in Marocco in camper con altri due poi all'ultimo momento s'e' ammalato e... domani arriva Baccini in concerto e Tina deve uscire con un nuovo ragazzo tedesco con dei muscoli che sembra una statua greca e da Benetton forse iniziano i saldi e c'era un tubino blu tinta unita che non me lo lascio davvero scappare e poi vedrai che faccia la Piera quando me lo vede su e la moglie di Arturo pare che se l'intenda con il bagnino e lo scorso anno sono stato alle Bermuda che li' l'acqua e' ancora pulita che puoi persino berla e i pesci ti sfiorano le gambe e ieri sera c'avevo a cena il Gustavo che e' una sagoma che non ti dico e dopo qualche bicchiere inizia a raccontare delle barzellette sconce che sono la fine del mondo e puoi bene immaginare la faccia imbarazzata di alcuni ospiti che vorrebbero ridere ma per un po' si trattengono e poi giu' tutti a crepapelle e non conosci mica un buon commercialista che il mio mi sembra che ci goda a farmi pagare di piu' e dice che non si puo' detrarre quasi niente mentre conosco alcuni che ti detraggono anche le ore di aerobica e hai sentito che la figlia del Viciguerra e' andata via in tenda con uno di nove anni piu' vecchio di lei pensa te che roba... ma a te quanto ti durano le pile del cellulare, perché a me hanno garantito almeno dodici ore ma e' gia' tanto se arrivano a otto e dopo ogni ricarica mi sembra che durino sempre meno anche se non sto mica li' a contare i minuti e comunque se non ne avessi dietro una di scorta... scusa mi puoi portare un cestello con del ghiaccio e una bottiglia di acqua minerale naturale e anche qualche fetta di limone e sai se poi Baggio ha firmato ancora per la Juve che un giornale dice una cosa e uno un'altra e venite anche voi alla festa di Paolo che inaugura la barca nuova non che sia granche' ma... e dimmi ma e' vero che nella tua pensione si mangia il pesce un giorno si' e uno no perché da noi lo fanno solo nel fine settimana e mica che paghiamo meno anzi... e certo che oggi fa ancora un gran caldo, vero?

Le Consultazioni

di Vittorio Curtoni


Vista dall'alto, dalla cima della collina, la casa era un grumo di ricordi rappresi sul ritmo del suo respiro; e sull'affanno delle immagini che premevano dietro le pupille, se appena lui chiudeva gli occhi. Restò a guardarla per qualche minuto, sotto il tramonto. Strinse i pugni, per avvertire la fisicità di qualcosa, del proprio corpo, della pelle sempre presente a se stessa. Io sono qui e posso toccarmi e quindi esisto, pensò. Tutto il resto, tutto quello che mi accade qui, è falso. Gli piaceva mentire, su alcune cose. Poi s'incamminò giù per la discesa, e i suoi piedi sfioravano l'erba, ma non la piegavano, perché non potevano toccarla; e l'aria della sera era immobile, senza fruscii.

Di soppiatto, sporgendo il viso dal davanzale della finestra, spiò Estelle: stava lavando due piatti e un bicchiere in cucina, i lunghi capelli castani raccolti a treccia. Il vestito rosso e sgraziato che le arrivava alle caviglie aggiungeva anni alla sua giovinezza. Il bambino giocava in un angolo della stanza con un trenino a molla. Potessi almeno bussare.

"Mi piacerebbe offrirti un caffè" disse Estelle, accomodandosi sulla vecchia poltrona in soggiorno. "Un caffè, oppure un tè. Qualcosa. Sarebbe bello." "Mi piacerebbe accettare un caffè" disse lui. "Oppure un tè. La prossima volta, forse. Speriamo." "Mi piacerebbe vederti seduto" disse Estelle. "Lì, davanti a me. Stai sempre in piedi. Sono una pessima padrona di casa." Lui alzò una mano, sorrise, scosse la testa. "Oggi ho portato le sigarette" disse. "Non ti darò fastidio, non sentirai il mio fumo. Basteranno, per un'ora o due." "Mi piacerebbe toccarti" disse Estelle.

"E' la mancanza di fisicità" le confessò più tardi. "Non te l'ho mai detto, ma è la cosa più terribile. E' come essere chiuso sotto una campana di vetro. Poter sentire solo i sapori che hai già in bocca." "Tu rimpiangi le cose del mondo" disse lei, e nel suo tono c'era un accento d'accusa, di rimprovero. "Io vivo, Estelle, io vivo. Ho il mio mondo, le mie cose. Qui, tutto mi viene strappato. Ma non sono un fantasma. Non vuoi proprio credermi?" Lei imbastì un sorriso pensoso.

Il bambino interruppe il gioco coi soldatini, alzò la testa. "Con chi stai parlando, mamma?" chiese. "Parlo da sola. Faccio finta che ci sia papà." Estelle andò a carezzargli la testa, tornò a sedere. "Non preoccuparti, non c'è nessuno. Sto giocando anch'io." Indifferente, Luca riprese in mano i soldatini. La battaglia si riaccese. Lui tolse di tasca l'accendino, infilò una sigaretta in bocca. "Non ti vede" sussurrò Estelle. "Non ti sente nemmeno. Perché non vuoi confessarmi chi sei?" "Te l'ho già detto un miliardo di volte." Con un sospiro, lui cercò di appoggiarsi al cassettone di legno antico, tarlato, e il suo gomito penetrò nel mobile, affondò fino all'attaccatura del polso. "Cristo." Odiava accorgersi di essere diventato parte di un oggetto.

"Credo che questa sarà una delle ultime volte. Non chiedermi perché, non lo so. E' solo un'impressione. Ma penso... Quanto tempo è passato dall'ultimo incontro?" "Otto mesi" rispose lei, sgranocchiando il dolce al cioccolato che aveva preso in dispensa. "Otto mesi per te. Per me sono state solo due settimane. Gli intervalli si stanno accorciando." Irritato senza un motivo, lui raggiunse la porta, la attraversò come se non esistesse, lanciò il mozzicone di sigaretta sul prato davanti a casa. Gli sarebbe piaciuto persino poter scatenare un incendio. No, basterebbe un piccolo fuoco, pensò. Una semplice fiamma. Poter interagire in qualche modo con questa realtà. "Tuo marito è ancora imbarcato?" domandò poi a Estelle, quando fu tornato in soggiorno. "Sì. E' sulla Nautilus. Dovrebbero attraccare a Genova fra un mese e mezzo. E' tanto che non lo vedo." A lui venne la voglia irrefrenabile di ridere; e sotto, nel profondo, avvertì l'inizio di un conato di vomito: la disperazione, la rabbia, l'impotenza, l'assurdità di tutto quello; le cose che gli torcevano lo stomaco, glielo stravolgevano. Come accadeva sempre. "Non ho mai capito perché tu abbia sposato uno che fa il marinaio. Voglio dire che aspettare è il peggiore dei destini. Io lo so molto bene. Non ha senso." "Sì che ha senso, se aspetti qualcuno che ami" disse lei.

La tomba di Estelle, come già era successo le altre quattro volte, gli procurò una sensazione di ruggine. Ruggine in gola, e sotto i piedi. Il cimitero era vecchio, inselvatichito, abbandonato a se stesso: la zona del disastro delle piccole città italiane, sempre sul punto di essere inghiottite dalla bocca famelica di una metropoli, sempre pronte a schivare il morso e a coprirsi di nuove cicatrici. Gli era costato mesi scoprire quel cimitero, quella lapide. E adesso, davanti a una pietra ingiallita dalle piogge acide, bucata dall'erosione dell'atmosfera satura di veleni, se ne stava lì, col piccolo patetico mazzo di fiori ancora in mano, incapace di depositarlo sui cespugli di erbacce che nascondevano il terreno. L'unica cosa solida, concreta, erano le due date incise sul lato destro della lapide: la nascita e la morte di una donna che per lui rappresentava solo un fantasma. Una donna che vedeva in lui uno spettro incapace di responsi coerenti, pronto alle accuse e ai silenzi. Appoggiati i fiori sull'erba, allungò una mano a sfiorare la fotografia di Estelle. Anche la superficie di quell'ovale era ruvida, costellata di minuscoli fori che erano il segno del tempo. Della realtà. Di una delle tante realtà possibili. Non le rendeva giustizia, la fotografia. Perché avevano voluto ricordarla così, col viso minato dalla malattia, e gli occhi infossati, i capelli ormai radi, l'espressione ebete nello sguardo? Estelle era stata un'altra persona, un altro modo di vivere: suo figlio, evidentemente, aveva deciso che anche a lei doveva spettare una punizione. Minima, ma eterna nella fissità dell'immagine sempre identica a se stessa, per tutti i giorni e tutti i futuri che quel cimitero avrebbe conosciuto. Stava per piovere. Nubi nere si erano andate accumulando per l'intera mattinata, e adesso nell'aria c'erano scoppi lontani di tuono, e l'odore particolare che precede i temporali. Al cancello, il suo autista lo aspettava, pronto a intervenire con l'ombrello, se fosse stato necessario. Lui avrebbe voluto fermarsi lì per anni. Dirle, finalmente, tutte le cose che non aveva mai accettato di svelare. Confidarle: "So quando morirai, e di cosa. So il giorno, l'ora, il minuto del naufragio della Nautilus. Perché sarà la morte di tuo marito a scatenare la tua morte. E la mia." E aggiungere: "Siamo chiusi in un cerchio d'odio, mia cara. Al centro c'è tuo figlio, e noi ruotiamo attorno alla circonferenza come lancette di un orologio che non riesce più a fermarsi. Siamo troppo deboli, o forse lui è troppo forte." Si guardò attorno. Era solo. "E' lo stesso" disse ad alta voce, per dare carne e sangue agli incubi. "E' lo stesso." Quando cominciò a piovere, l'autista era già al suo fianco.

"L'agonia del mondo, di questo pianeta" disse lui. "La Terra alla fine del tempo. No, non so quante guerre ci saranno, e non so nemmeno quando succederà. Migliaia di anni, decine di migliaia, milioni... E' lo stesso, non fa differenza. Io sarò lì. Solo. L' ultimo uomo vivo sulla faccia del pianeta, tra rughe gigantesche del terreno e costruzioni a spirali di vetro che oggi voi non potete nemmeno immaginare. Ma neanche noi, nel mio tempo, le immaginiamo. Solo. Completamente solo. Forse la nostra razza sarà fuggita su altri mondi, oppure sarà scomparsa, distrutta... Non lo so. Non so niente. L'unica cosa di cui sono sicuro è che io sarò lì, e che sarà terribile." "E potrai toccare le cose?" chiese Estelle. "Sì, potrò toccarle. Perché dovrò morire di fame, di sete, e di solitudine. Qui, adesso, vedi..." Lui agitò le mani, allargò le braccia a indicare l'orizzonte del mondo. "Questa è una punizione. Anzi, no, una prova di forza fra me e lui. Se riuscissi a convincerti..." "Lui chi?" disse Estelle, secca.

"Sì, capisco che non è facile. E' tuo figlio, lo so. Non voglio chiederti l'impossibile. Nemmeno mia madre, se le avessero detto... Ma cerca di parlargli, di convincerlo. Questo potrai farlo, no?" "Convincerlo di cosa?" Estelle balzò in piedi di scatto, rovesciando sul pavimento la carta del dolce che aveva appoggiato sul ginocchio. "Se non ti vede. Non ti sente. Convincerlo che tu esisti? Che vi incontrerete fra chissà quanti anni? No, no, non ci credo io, figurati se può crederci un bambino di cinque anni." "Ma fa finta" urlò lui, trapassando con la mano una parete. "Mi vede, mi sente. Sa già tutto. Me lo ha confessato. Tre giorni fa. Mi ha raccontato di questi nostri incontri, e ricordava benissimo le tue frasi e le tue..." Luca sollevò gli occhi. Un soldatino si alzò piano in aria, galleggiando davanti agli occhi del bambino. Luca non fece il minimo gesto; non tentò d'afferrarlo. Nel giro di pochi secondi, il soldatino era fermo sotto il soffitto, a due metri dal pavimento. "Ma non vedi?" mormorò lui. "Guarda cosa sta facendo!" "Sei tu" disse Estelle. "Adesso non cercare di imbrogliare le carte. Sei tu l'unico fantasma di questa casa."

Luca era vecchio, e stanco. Sessantacinque anni, forse settanta. Aveva l'aria disfatta di chi ha atteso, per l'intera esistenza, un unico momento; e quando quel momento arriva, non riesce più a viverlo con la soddisfazione, col trionfo che aveva immaginato. L'aria di chi resta sconfitto dalla vittoria. "Ti ho cercato per un'eternità" gli disse, prima di sedersi. "Non è stato facile. Sei riuscito a nasconderti bene, e le mie doti non sono... perfette. Posso fare molte cose, ma non tutto." Lui lo scrutò con la stessa attenzione che pochi giorni prima aveva dedicato ai reperti fossili appena giunti da Marte. "Aspetti un minuto" disse. Automaticamente, senza volerlo, aveva risposto in italiano: un brusco ritorno alle origini, un'oscura e inquietante maniera di arrendersi prima ancora di conoscere il nemico. "Io non mi sono mai nascosto da nessuno. Vivo a Washington da molti anni, e se ho accettato di vederla è stato solo perché..." Luca si accomodò sulla poltrona davanti alla scrivania. Una scrollata di spalle, e l'indifferenza che si faceva strada sul suo volto. "Hai accettato di vedermi perché ho detto a una delle tue segretarie che sono il figlio di Estelle, e da un po' di tempo questa Estelle ti sta creando qualche problema, giusto?"
"Sì, è vero, sono arrivato con l'ouija board" disse lui, pochi secondi più tardi, quando il soldatino si fu posato a terra. "Tu invocavi gli spiriti della tua casa, e mi sono materializzato io. Ma è stata solo una coincidenza. Anzi, no, quale coincidenza. La colpa è sua. Sua. Ha programmato tutto, deciso tutto, prestabilito... Mi odia. E non gli basta distruggermi. Vuole divertirsi. E' crudele. Gli fa un piacere enorme divertirsi alle mie spalle." "Quando io chiamo gli spiriti, è per una consultazione" disse Estelle. "Tu vieni e scompari a tuo piacere. Non mi lasci niente. Non un responso, una frase. Le nostre conversazioni sono a senso unico. E accusi mio figlio di qualcosa che è molto assurdo e cattivo. A volte mi chiedo se sia un bene continuare a vederti." "Estelle, mia dolce Estelle, tu non puoi farci niente. Siamo due marionette, tu e io. Facciamo soltanto quello che vuole lui."

Il suo accampamento, al tramonto: un sole pallidissimo in cielo, e un'atmosfera trasparente, rarefatta, che quasi inebriava. Quattro paletti piantati nel terreno, una tenda verde. Scorte di viveri per un mese, forse due: scatolette, ovviamente, e bottiglie, e lattine. Si era preparato. Dopo il primo balzo, dopo il secondo; dopo gli agonizzanti, interminabili giorni di sete e fame, con le allucinazioni che tumultuavano sotto le palpebre e dietro le iridi; dopo lo spietato arrancare su un terreno che sembrava del tutto incapace di vita: adesso, per l'ultima volta, o per la penultima, si era preparato. E guardava avanti, a sette otto chilometri di distanza, col binocolo a infrarossi. Nella sera che probabilmente era una delle ultime sere del mondo. La grande spirale si alzava verso il cielo, limpida, tersa. Invitante. Trasparente come un vetro forgiato da mani tanto abili. Un mistero da ricostruire. Sedette su un macigno di roccia nera. Il vento soffiava debole, smorzato, accennando un suo canto fra le alte montagne che lui aveva attorno. Aprì una scatola di carne e cominciò a mangiare. Di tanto in tanto, la punta della forchetta si arrestava davanti alle sue labbra, e lui smetteva di masticare; e si girava a guardare, ed era così solo che avrebbe dato il suo regno per un cane, o un gatto, o uno schifoso lurido scarafaggio. Sentiva addosso il fetore della morte.

"Estelle, Estelle, FERMALO!"

Il mattino dopo, cominciò ad avanzare verso la struttura di vetro. A tratti, il terreno vibrava sotto i suoi piedi, come se grandi, immani macchine fossero in azione. Udiva rombi, e ronzii, e scatti improvvisi (clic clac clic clic); e a volte, un lampo verde scattava a pochi metri. Incendiava l'aria, gli toglieva la visuale. Poi, un ponte giallastro correva tra le cime di due montagne, più avanti e molto più sopra di lui. Una specie di organo rimbombava nel grande silenzio. E non c'era altro. Nient'altro. Effetti speciali fantastici, pensava lui. Veramente fantastici. Ma avrebbe preferito non essere lì.

"Quando tu sei arrivato" disse Luca, "quando io ti ho evocato, ero soltanto un bambino, e giocavo coi soldatini. Aspettavo mio padre. La Nautilus, ricordi? Prima che affondasse... A volte mi chiedo se sono stato io. A farla affondare, intendo. Per cominciare questo gioco. Per poterti punire, dopo averti visto nel mio futuro."

In quel punto, il terreno era vetrificato. Avanzare era come scivolare su una lastra di ghiaccio tiepido, e orribilmente, terribilmente trasparente. Si mise carponi, e scrutò sotto: chilometri e chilometri di un biancore abbacinante, a perdita d'occhio, interrotto qua e là da forme rosse. Grandi uova con la superficie costellata d'antenne. Chissà cosa contenevano. Capsule del tempo, pensò. Capsule di realtà. Sarebbe stato interessante poter scavare in quel terreno canceroso. Il primo uovo doveva essere a tre, quattrocento metri di profondità. Non molto. Con un buon martello laser, forse ce l'avrebbe fatta. Se quello non era l'ultimo balzo, se ci fosse stato un altro ritorno al suo mondo prima dell'esilio finale, si sarebbe procurato l'attrezzatura. Strisciando a quattro zampe, si spostò verso destra. Lontana, lontanissima, una distesa di pietra grigia tagliava l'orizzonte. Forse era irraggiungibile, e forse no. Per lo meno, doveva tentare. Aveva tutto il tempo del mondo a disposizione. Gli sarebbe bastato un sasso, per saggiare la resistenza del vetro. Un colpo secco, duro, con un pezzo di roccia appuntita; e vedere come reagiva il terreno. Se si fendeva. Se possedeva elasticità. Se era pronto a regalargli qualcosa, prima di ucciderlo.

Il suo accampamento, alla sera: la tenda alle sue spalle, e davanti a lui il fuoco chimico alimentato da tavolette gialle, rettangolari. Ne bastava una per tre ore di fiamma. E non faceva freddo, non faceva caldo: il clima ideale per un picnic. Ma lui aveva bisogno di luce. Le stelle erano fioche, la luna bluastra; il cielo, di un nero più denso dell'inchiostro. Non c'erano nubi, in quel particolare futuro del pianeta Terra. Non pioveva mai. Solo, di tanto in tanto, la voce del vento correva tra i canyon artificiali di costruzioni impensabili. E i tuoni tecnologici di macchine sempre vive, mai morte, scaraventavano il loro rombo a rimbalzare di torre in torre, di guglia in guglia. Cuspidi di suono che si abbattevano immediatamente, per non disturbare l'atroce cappa di silenzio. Lui aprì una scatola di carne, si accovacciò davanti al fuoco, e cominciò a mangiare. Nelle sue orecchie, dalla cuffia del lettore di laser disk, la voce di John Lennon lo rassicurava. Gli raccontava di un mondo senza paradiso, senza Dio, senza proprietà. Di quel mondo. Non sapeva se piangere o ridere.

Estelle non aveva più parole. La mano sulla bocca, gli occhi sbarrati, fissava lo schermo del televisore. Aveva azzerato il volume. Stava godendo, in tutta la loro sublime atrocità, le immagini trasmesse in diretta, via satellite, dalla CNN: la visuale dall'alto, l'onnipotenza della telecamera immune al disastro, al sicuro sull'elicottero. Sotto, il mare ribolliva, mugghiava. Sferzava quel poco di scafo che ancora emergeva dall'acqua: il ponte di comando in fiamme della Nautilus, e la prua arcuata verso l'alto, e il fuoco avido che mangiava tutto, ingurgitava, assorbiva, digeriva. Un processo di nutrizione che al mare non interessava; l'ingestione di un corpo alieno, metallico, coriaceo, repellente. Di morbido, di soffice, di commestibile, ci sarebbero stati solo i cadaveri. Macerati a marinatura lenta dal sale dell'acqua; assaggiati, sbocconcellati, divorati. Coi giorni. Con gli anni. Una sepoltura fertile, per le creature dell'oceano. Lui si portò dietro la poltrona. "Estelle" disse. Lei non reagì. "Estelle..." Provò ad appoggiarle una mano sulla spalla, ma era inutile. "Estelle, io lo sapevo. Non potevo dirtelo, tutto qui. Non sono uno spettro, non sono niente di ciò che credi tu. Lo sapevo, ma farti del male senza ragione..." Girò attorno alla poltrona, si fermò davanti a lei. "Estelle" sussurrò. Lei non disse niente. "Estelle, mi vedi? Mi senti?" Sullo schermo, la Nautilus era alle fasi finali dell'agonia. La prua si era abbassata in acqua, brillante di fuoco come il bagliore di cinquanta soli. Attorno a quell'ultimo frammento di scafo, mosche impazzite, le lance della Guardia Costiera e le motovedette e tutte le altre imbarcazioni uscite dal porto si aggiravano frenetiche, a raccogliere uomini. Sì, ci sarebbero stati superstiti, e molti; ma non tutti si sarebbero salvati. "ESTELLE!" urlò lui. Inutile. La recisione finale; il taglio del cordone ombelicale. "Il Signore è mio pastore" intonò lui, a bassa voce. Ma mormorare, o gridare, o strillare, era lo stesso. "Nulla più mi può mancare..." Il figlio di puttana, pensò, mi ha tolto l'audio, e il video. E si pentì subito, perché Luca era figlio di Estelle. Però era anche un figlio di puttana. "Addio" le disse, posandole sulla fronte un bacio che lei non avvertì, non percepì, non sentì. "E' stata l'ultima volta. Lieto di averti conosciuta." Poi accese una sigaretta, e aspettò di essere richiamato indietro.

"Oh, non c'è nessun senso, nessunissimo senso" gli assicurò Luca. Aveva ripreso un minimo di controllo, e un po' di colore in viso. Sembrava parlare di qualcun altro, della vita di uomini che loro due non avevano mai conosciuto. "Un gorgo. E' così che lo vedo, dopo tanti anni. I miei poteri, e mia madre, e mio padre, e te. Il nostro futuro, tutto quanto... Non c'è una spiegazione. Non c'è una logica. E' così, e basta." "Ma perché proprio me?" chiese lui. "Non lo so. Perché io ti odio. A priori. Comunque. Non c'è altro. Ti ho visto nel mio futuro, e ti ho odiato."

Una scheggia di terreno vetrificato schizzò in alto. Tracciò una scia gialla sopra la sua testa, e una nube di fumo acido. La mano che stringeva il sasso ricadde sul fianco, perplessa. Da nord risuonò una vibrazione come di gong; e, sotto i suoi piedi, la lastra di vetro cominciò a fendersi. Lacerarsi. Divaricarsi. Esplodere a geyser verso l'alto, in una fontana incredibile, inarrestabile, imbevibile. Con un balzo, lui si buttò di nuovo a destra, sulla roccia. Si coricò sulla pietra dura e si riparò la testa con le mani. Per una volta, per l'unica volta da quando era stato trasportato lì, l'aria si riempì di un continuum di suoni. Rumori. Vibrazioni. Esplosioni. Montagne di detriti, trasportate da un vento invisibile, volavano verso est. Verso una delle algide, estranee, glaciali torri che si levavano ai limiti della sua visuale. A delimitare il panorama della fine del mondo, che lui solo avrebbe conosciuto. Quando il turbine cominciò a placarsi, rialzò la testa. Piano, timidamente. Guardingo. Con la consapevolezza di non possedere la minima protezione. E vide: uno squarcio apocalittico nel vetro; frammenti rossi, polverizzati, di uova in frantumi che volteggiavano nell'aria; brandelli di antenne lacerate che correvano verso la linea dell'orizzonte; un terreno ormai impraticabile, e sterile per l'eternità. Niente gli pioveva addosso. Appoggiandosi sulle mani, si tirò in piedi. Il tornado di vento e vetro si stava allontanando; e sotto si era aperta una crepa. Sin dove poteva arrivare il suo occhio, le uova si erano polverizzate. Adesso erano cumuli inerti di cenere rossa, grumi pronti a essere triturati dal macinapepe dell'eternità. Cristo, pensò. Sono riuscito a portare la morte in un mondo morto. Non avrebbe mai scoperto cosa contenevano le uova rosse.

"Non potremmo arrivare a un accordo? Decidere una prassi comune? Vedere cosa fare? Insomma..." Lui alzò le braccia, tentò tutte le smorfie che la sua scarsa mimica facciale gli concedeva. "Io qui ho una posizione. Soldi. Potere. E nutro un affetto particolare per tua madre" aggiunse, come se bastasse quell'affermazione a garantirgli uno status privilegiato. "Sono il suo fantasma preferito. Cosa ne dici, Luca?"

Il suo accampamento, all'alba: luce giallastra del sole; fuoco spento, per stanchezza, per sonno; silenzio totale; mondo immobile. Si guardò attorno, mentre aspettava che la caffettiera a batterie gli preparasse la solita, gigantesca razione di catrame. Un tempo, nella sua vita prima di Luca, il caffè del mattino gli serviva per uccidere gli ultimi residui di sogno incollati ai neuroni; da quando era lì, non sognava più. O forse sognava, ma non ricordava, e lo riteneva profondamente ingiusto: un altro furto, un'altra cosa che gli era stata sottratta senza una sua minima colpa. Ma quella mattina, portando la prima tazza di caffè alle labbra, fu colto da una folgorazione che lo paralizzò, lo raggelò, lo pietrificò. Una sua colpa esisteva, ed era un peccato primordiale, degno del più alto dei castighi. Il massimo affronto all'universo umano, alla meccanica dei sentimenti: l'orgoglio della solitudine. Nelle coordinate del suo mondo, sino a quando poteva ricordare, sino al momento più antico che la memoria fosse in grado di presentargli, era esistito soltanto il lavoro, e nient'altro. L'ossessione di Marte, unico scopo dei suoi giorni. Vissuti in un isolamento narcisistico che lo aveva reso impermeabile ai rapporti umani, inattaccabile dall'amore, non contagiabile dagli affetti. Nessuna donna, prima di Estelle. Nessun figlio, prima di Luca. C'è molta giustizia, pensò, assaporando con un piacere primordiale il caffè bollente. Solo alla fine del mondo. Come sono sempre stato. Ma anche Luca era solo. E un padre vero non lo aveva mai avuto.

Stupefatto, guardava l'insetto saltare sotto la volta esagonale dell'immensa sala. Non gli importava nulla delle colonne scanalate, composte di una sostanza verde, tremolante, che sembrava gelatina; non gli interessava la macchina inerte che dominava il fondo della sala, gialla, persa nei propri sogni, nel ricordo dei padroni che non c'erano più. Più tardi. Avrebbe studiato tutto più tardi. Adesso, l'unica cosa essenziale era il grillo nero che stava seguendo a passi discreti, nel timore di spaventarlo. Qualcuno con cui dividere l'eternità dell'agonia. "E' elettrico" disse una voce alle sue spalle. "Come in quel vecchio romanzo di fantascienza. E non canta. Però una parvenza di vita è meglio di niente." Si voltò. Luca era a due passi da lui, il volto finalmente disteso, quasi aperto a un sorriso. "Ti aspettavo" gli disse lui. Luca annuì. Non era sorpreso. Nessuno dei due era sorpreso. "Certo che potremmo arrivare a un accordo" disse Luca, riprendendo il discorso di qualche giorno prima. Di milioni di anni prima. "Decidere una prassi comune. Se vuoi." Lui appoggiò lo zaino sul pavimento. Le pareti della sala assorbivano gli echi come fossero di spugna; e forse lo erano. La voce umana, lì dentro, possedeva il nitore di una nuvola vista dalla cima dell'Himalaya. Il grillo sparì dietro una colonna. Nessuno dei due si prese il disturbo di seguirlo. "Ho esplorato questa Terra prima di te" disse Luca. "Tanto tempo fa. Subito dopo esserci arrivato. Si può sopravvivere. Ti guiderò io. So dov'è nascosto il cibo, e ci sono molte cose da imparare. Molte." Lui gli tese la mano. "Molte" ripeté.

Il loro accampamento, al tramonto: due tende verdi, l'una di fronte all'altra. Di lato, il fuoco chimico delle tavolette gialle. Lui sta canticchiando qualcosa sottovoce. "Il meccanismo, il gorgo, ci ha distrutti tutti e tre" gli dice Luca. "O forse tutti e quattro, contando mio padre. Questa solitudine era inevitabile. Dobbiamo pagare." Lui si gira, guarda Luca e gli sorride. "Ma no, cosa dici? Questa è la fine della solitudine. Pensaci, pensaci." Poi riprende a canticchiare e accarezza il grillo elettrico che ha in mano. Il grillo non si muove. Non canta, e non si muove. Dopo tutto, è soltanto elettrico.

"Mio antico nemico." Luca lo abbraccia. "Mio nuovo padre. Andiamo a fottere questo vecchio mondo." "Vecchissimo" lo corregge lui.

Taglines

a cura di Leone L'allegro


Eccovi la nostra selezione di tagline per questo numero. Non dimenticate di inviarci le vostre, o quelle che troverete in giro, sull'argomento del prossimo numero: Computer, Sistemi Operativi ed Affini.

  • L'uomo e' nato per soffrire, e ci riesce benissimo
  • Sei mai stato in uno zoo? Voglio dire... come spettatore?
  • Non so come Dio ce l'abbia fatta. Per me e' durissima
  • Un amico e' uno che sa tutto di te e nonostante questo gli piaci
  • Il cloroformio ha permesso a qualsiasi incapace di fare il chirurgo
  • Meravigliosa e' l'emozione ricordata nella quiete
  • Backup not found: (A)bort (R)etry (P)anic
  • Not tonight, dear. I have a modem
  • If it wasn't for C, we would be using BASI, PASAL and OBOL!
  • Inconcludente a chi? Ma se non sai nemm....
  • Continuiamo cosi'.... facciamoci del male...
  • Arrabbiato io? Ma vaffanculo, stronzo!!!
  • La bigamia e' avere una moglie di troppo. La monogamia lo stesso
  • Gesu' ti ama, ma tutti gli altri pensano che tu sia un idiota
  • Le parolacce non servono a un cazzo
  • Moltospiritosiorarimettetesubitolabarraspaziatricesullatastiera
  • Me indecisive? I'm not sure about that...
  • Mia moglie dice che sono un ficcanaso. Lo scrive sui suoi diari
  • Da piccolo, mamma metteva l'aglio nel biberon per trovarmi al buio

Short Stories

di Istvan Orkeny


INFORMAZIONI

Da quattordici anni siede nell'androne, dietro un piccolo sportello scorrevole. Gli chiedono sempre due cose soltanto. -Dove sono gli uffici della Montex?- Lui risponde: -Primo piano a sinistra- La seconda domanda e': -Dove si trova la Lavorazione Scarti Gomma?- Al che lui risponde: -Secondo piano, seconda porta a destra

In quattordici anni non si e' mai sbagliato, tutti hanno avuto l'informazione esatta. Solo una volta e' successo che a una signora, che si era fermata davanti al suo sportello e gli aveva fatto una delle solite domande: -Per favore dov'e' la Montex?- lui, una volta tanto, fissando il vuoto dicesse: -Veniamo tutti dal nulla e al fetido nulla torneremo tutti

La signora sporse reclamo. Il reclamo fu preso in esame, se ne discusse e poi la cosa fu lasciata cadere. Effettivamente non era un caso tanto grave.


LA MORTE DELL'ATTORE

Oggi pomeriggio il popolare attore Zoltan Zetelaki e' caduto a terra perdendo i sensi in una traversa di via Ulloi. I passanti l'hanno portato al vicino ospedale, dove invano si e' tentato di rianimarlo con le piu' recenti conquiste della tecnica, anche con il polmone d'acciaio. L'insigne attore, dopo lunga agonia, ha cessato di soffrire verso le sei e mezza del pomeriggio; la salma e' stata trasportata al reparto di chirurgia.

La rappresentazione serale di Re Lear, nonostante il tragico evento, ha avuto luogo regolarmente. Zetelaki e' si' arrivato un po' in ritardo e nel primo atto e' parso visibilmente stanco (qualche volta non ha potuto nascondere di avere bisogno del suggeritore), ma poi si e' via via ripreso sempre piu' e ha recitato la morte del re con tanta forza di persuasione da meritare applausi a scena aperta. Dopo l'hanno invitato a cena, ma non ha accettato. Ha detto: -Oggi ho avuto una giornataccia

Saluti

Un ringraziamento fin da ora a tutti coloro, utenti e sysop, che ci aiuteranno a diffondere questa rivista e, magari, contribuiranno a renderla migliore. Dal prossimo numero elencheremo tutte le BBS ed eventuali server INTERNET che ci segnaleranno la loro disponibilita' alla distribuzione.

Per il momento segnaliamo la presenza di DADA su Techno World BBS 0523-335772 (Fido 2:332/805) e sul server Internet ftp.agonet.it nella dir /pub/dada.

Per qualunque contatto:

a.politi@agonet.it

Angelo Politi 2:332/805.3
Giuseppe Martini 2:332/805
c/o Techno World BBS (0523-335772)

Guildestern
Leone L'allegro
c/o Rendez Vous BBS (02-33101597 e 02-33106502)
Sottovoce BBS (02-603417 e 02-6888111)

Vincenzo Scarpa 2:334/21.60
c/o Amiga&Technology (011-3858269 e 011-3833608)

Hanno collaborato:
Vittorio Curtoni
Stefania De Pantz
Giacomo Leopardi
Istvan Orkeny
Tom Waits
Alessio Saltarin
Corinna Ellaspide

Arrivederci al prossimo numero ai primi di Luglio.

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