Quella ragazzina di nome Katia
Katia scese pensierosa le scale. Un signore saliva e le passò accanto come se non la vedesse. A Sonnenburg ci si salutava, quando ci si incontrava sulle scale.
Quando Katia si trovò sulla strada, respirò profondamente l’aria della sera. Sapeva di benzina, di primavera, di terra rivoltata. Dirimpetto splendeva la scritta luminosa di un cinematografo. Passò una signora con un cane.
Nessuno si curava di Katia.
Katia sapeva naturalmente che qui era sottinteso che ognuno fosse sconosciuto all’altro. Tuttavia le faceva una strana impressione. A Sonnenburg poteva fare a malapena dieci passi senza esser salutata. Qui si voltava l’angolo e si era fuori dal mondo. Nessuno guardava l’altro. Si poteva fare ciò che si voleva. Libertà e solitudine sono i doni della grande città.
[...] Katia pensava quant’era strano che ora lei abitasse in una grande città. Pensava alle mille raccomandazioni che sua madre le aveva fatto al ristorante dell’aeroporto dinanzi ad una coppa di gelato. Pensò al meraviglioso senso della libertà che l’aveva invasa, quando la mamma fu partita. Quasi si vergognò un poco, perchè lei voleva bene alla sua mamma.
“Forse ho davvero un poco di paura” si disse “ma nello stesso tempo sono felice. È meravigliosa la sensazione che si prova ad iniziare la propria vita. Ed io ora sto proprio incominciando la mia vita. Scoprirò certo ciò che voglio.”
Ed era persuasa che sarebbe stato qualcosa di meraviglioso: a colori e bello e pieno di vita; qualcosa che sarebbe stato grande quasi come Berlino, la capitale, così strana e profonda, così estranea e tanto vicina, così lontana e familiare.”