Fedez a Sanremo 2023
Vorrei dire due cose su Fedez perché ne ho lette molte e alcune meritano una riflessione più approfondita di un tweet.
Ieri Fedez ha fatto il Fedez. Ovvero, ha fatto quello che il 99,9% degli artisti o genericamente uomini e donne dello spettacolo per scelta o per prudenza non fa più: metterci la faccia.
In quel minuto scarso di “dissing” (ora si chiama così), Federico ha messo sul tavolo, assumendosene - cosa rara di questi tempi - la più completa e totale responsabilità, anche rispetto a quella Rai che, appena un anno e mezzo fa, aveva tentato di censurarlo solo per aver letto sul palco le dichiarazioni omofobe di esponenti leghisti, per aver letto (e detto) dei fatti.
Ed è questo, ancora una volta, che ha fatto ieri sera: riletto in versi dei fatti che, in un Paese minimamente civile, non dovrebbero neanche essere messi in discussione.
Ha rivelato cose che non sapevamo? No, ma non mi risulta che tocchi a lui, un cantante, farlo, semmai a quell’informazione (molta, per fortuna non tutta) che dedica paginate alla virilità di Matteo Messina Denaro e un paio di righe scarse a chi, per 30 anni, lo ha protetto.
Si è compromesso con quel sistema di cui, inevitabilmente, fa parte?
Neppure, ma quelli che lo hanno fatto davvero, in modo frontale e radicale, negli ultimi cinquant’anni in Italia, si contano sulle dita di una mano, i Gaber, i Volontè, ma parliamo di gente che viaggia su universi culturali e di pensiero sideralmente differenti, né Fedez si è mai dato pose da intellettuale impegnato.
Però ha fatto qualcosa di cui oggi paradossalmente c’è ancora più bisogno: ha pronunciato, di fronte a una platea vastissima che non solo non guarda Sanremo ma non ha mai aperto un giornale, ovvietà che oggi, in questo Paese bigotto, suonano scandalose.
Ci ha ricordato che il problema di questo Paese non è un cantante (per altro bravissimo) che porta le unghie lunghe e smaltate ma un viceministro che indossa un travestimento da nazista e la chiama “goliardia”.
Ha detto che anche lui spara caz***, sì, ma non lo fa a spese dei contribuenti.
Ha ricordato che piangere davanti a milioni di persone non ti rende meno duro, che anche gli uomini piangono e va bene così.
In mezzo a cinque ore di noia, banalità, stecche, sedicenti comici dissacranti che non fanno ridere neanche se si sbottonano la patta dei pantaloni, in cinquanta secondi Fedez ha detto cose che a Sanremo non si sentivano pronunciare da trent’anni e più di sinistra di un’intera campagna elettorale, semplicemente cantando l’ovvio.
Non mi preoccupa se Fedez non è Che Guevara, quella è la normalità, ma che, nell’orizzonte basso della politica, siamo talmente orfani di voci credibili da credere che possa esserlo o, peggio ancora, criticarlo perché non lo è abbastanza.
Fonte: dal web