Il potere dell'emiro addosso a Messi
Nel sollevare la Coppa del Mondo Messi ha indossato un Bisht, mantello tradizionale del golfo Persico (e non solo)
simbolo di prestigio, regalità e ricchezza: molto bello di per sé, ma esteticamente e politicamente fuori luogo su una maglia di calcio durante quel festeggiamento.
Sono varie le ragioni per cui è un gesto discutibile:
1) L'emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani ha costretto il calciatore più forte del mondo, in un momento per lui unico, a sottomettersi a una vestizione simbolica a quanto sembra non concordata, al solo scopo di manifestare il proprio potere effettivo sul calcio (basti guardare fino a dove continuava a spingersi dopo aver dato la coppa al capitano) e sull'economia mondiale.
2) Ha coperto la maglia dell'Argentina, macchiando una foto sportiva con un messaggio ecomico-politico.
3) Ha, soprattutto, costretto tutti a vedere una grande differenza tra Maradona e Messi, che oggi erano finalmente appaiati per il bene della poesia: il primo contro la Fifa e contro il potere ci si è spesso messo contro, pagando carissima la propria direzione ostinata e contraria. Il secondo, invece, quel potere lo ha spesso assecondato.
Sul campo, il paragone tra Messi e Maradona da oggi è statisticamente inoppugnabile.
Fuori dal campo, al netto dei mostri di Diego, quella veste indossata dimostra che no, non ci sarà mai paragone. Perché è probabile che Maradona non si sarebbe lasciato usare in quel momento (anche perché Maradona non aveva l'ansia di un Maradona alle spalle da eguagliare).
Ho immaginato Maradona mentre l'emiro accennava a infilargli il mantello. L'ho visto girarsi e lanciarglielo addosso, con uno sguardo a metà tra l'infastidito e il divertito, per poi prendere la coppa e andarsene a festeggiare coi compagni.
Sarebbe stato epico (oh, magari avrebbe fatto lo stesso anche Maradona, ma mi piace raccontarmela così).
Perché il calcio è sì un rito sacro, come scriveva Pasolini, ma evidentemente un Dios non vale l'altro.