Vincolare il bonus cultura al voto è pessima ideologia
Il bonus cultura garantisce a tutti i neomaggiorenni 500 euro da spendere in libri e consumi culturali in genere. Ma dal prossimo anno non sarà più così: potrà accedere al bonus solo chi possiede un reddito familiare Isee al di sotto dei 35 mila euro o ha preso 100 all’esame di maturità. Tutti gli altri non lo riceveranno: in questo modo una misura statale collettiva diventerà esclusiva.
L’idea di associare il bonus al voto è un’azione ideologica da non sottovalutare, che ha una pesante portata culturale. Il fatto è che la scuola non è un’azienda o un talent show, e studiare non deve significare competere, soprattutto nella scuola dell’obbligo. Questo assunto, che dovrebbe essere ovvio a tutti, appare invece di giorno in giorno più bizzarro, anche a causa di scelte politiche come questa che portano il mercato e le sue logiche in campi che andrebbero invece tutelati.
Tradire la natura di un bonus pensato per tutti gli studenti trasformandolo in un premio per i “vincitori” con la copertura dei “deboli” dovrebbe suscitare l’indignazione generale, e invece finisce per sembrare la normalità. Premiare chi eccelle non si può fare togliendo qualcosa a tutti gli altri.
Senza, poi, prendere in considerazione quegli studenti che per le più varie ragioni (sociali, psicologiche, sanitarie) non avranno mai accesso all’agognato “100”, e che invece avrebbero avuto giovamento dal bonus proprio per fare meglio. Forse è anche tra loro chi ne avrebbe avuto più bisogno.
Insomma, la scuola pubblica non dovrebbe essere pensata come un corso di propedeutica alla vita aziendale. Non dovrebbe essere la palestra dell’individualismo e della competizione, ma il luogo dell’educazione alla socialità, alla parità e alla comunità.