Se sei infelice vai al cimitero
Se sei infelice vai al cimitero: non è una minaccia ma un invito.
Se i problemi ti attanagliano, se tutto sembra crollarti addosso, quando la vita si fa insopportabile e ogni atto sembra insensato, fatti un giro al cimitero.
Innanzitutto i cimiteri sono spesso belli, ma di quella bellezza che non opprime. La quiete è diffusa e ogni passante ha un dolore che non ha bisogno di dissimulare.
In cimiteri come quello Acattolico di Roma (“Potrebbe far innamorare qualcuno della morte”, scrisse a proposito Shelley) o il Père-Lachaise di Parigi la compagnia è senza dubbio la migliore possibile.
Su alcune lapidi di personaggi noti è bello osservare i lasciti commossi e grati dei viventi: i biglietti del treno sulla tomba di Julio Cortazar, le monete su quella di Edith Piaf, i cuoricini disegnati su quella di Sartre e De Beauvoir (che forse non avrebbero apprezzato, ma tanto lo sapevano già che l’inferno erano gli altri), la penna su quella di Proust, i post it con lo stampo delle labbra per Oscar Wilde.
Se mancano i personaggi noti nel cimitero vicino, tanto meglio: si potrà fantasticare sulle biografie dei singoli, o sui litigi delle tombe di coppia o di famiglia. È un’ottima riequilibratura dell’anima, capace di raddrizzare chi siamo e cosa possiamo, e ricordarci dove andremo a finire. Per prenderci un po’ meno sul serio.
Lo scriveva anche Emil Cioran: “Alla minima contrarietà, e a maggior ragione al minimo dispiacere, bisogna precipitarsi nel cimitero più vicino, dispensatore immediato di una calma che si cercherebbe invano altrove. Un rimedio miracoloso, per una volta”.
Che non si intenda il cimitero soltanto come luogo di morte e disperazione, insomma: al contrario, è anche uno sprone per i vivi a onorare la vita che resta, la sua intensità, e sforzarsi di credere che, nonostante tutto, “Il meglio deve ancora venire”.
Come recita, in California, la tomba di Frank Sinatra.