Esercitarsi a non sapere e meravigliarsi
Chandra Candiani è la "grande schiva poetessa", come l’ha definita Viviane Lamarque. Esce oggi per Einaudi il suo “Questo immenso non sapere”, un’ellisse perfetta i cui due fuochi filosofici sono la meraviglia e il non sapere, capaci di generare la sensazione che tutto sfugga di mano e che questo sfuggire si possa coltivare.
“Non ci sono primi della classe, né esperti, né Maestri, se non quelli che ti spingono a conoscere in prima persona, a ferirti e medicarti, e al massimo ti preparano bende e cerotti per quando sosti un momento e li guardi disperato negli occhi: la disperazione dei cani quando non capiscono i nostri comportamenti discontinui. In ognuno di noi c’è un cane spaventato dalla discontinuità dell’esperienza. Una buona pratica, preliminare a qualunque altra, è la pratica della meraviglia. Esercitarsi a non sapere e a meravigliarsi. Guardarsi attorno e lasciar andare il concetto di albero, strada, casa, mare e guardare con sguardo che ignora il risaputo e vede ora. La pratica della meraviglia è una pratica che cura anche il cuore piú ferito della terra. Si può andare a trovare un piccolissimo pezzo di prato, un pizzico di prato c’è sempre, anche in città. E guardare. A lungo. Si apre un universo minimo. Infinite vicende, mutamenti, arrivi, partenze, forme sempre piú piccole man mano che lo sguardo si limita a vedere. Esercitare la meraviglia cura il cuore malato che ha potuto esercitare solo la paura”.