Il gioco dell' Arancia
Racconta María Kodama, scrittrice argentina vedova di Jorge Luis Borges, che suo marito ricevette da bambino una bizzarra ed efficace iniziazione alla metafisica. Ieri abbiamo voluto riproporla al San Filippo Neri di Bologna durante una lezione pubblica sullo scrittore di Buenos Aires, e ci piace l’idea di condividerla anche qui.
Per avviarlo alla cultura classica e alla metafisica, raccontò Kodama durante un’intervista nel 2011, il padre di Borges proponeva al piccolo Jorge quello che chiamava il Gioco dell'Arancia.
In sostanza mostrava al figlio un'arancia e gli diceva: “guardala bene, soppesala, annusala, e poi chiudi gli occhi e immaginala. Cos'è l'arancia? La sua forma, il suo colore, il suo profumo».
Ieri sera abbiamo quindi iniziato l’incontro distribuendo un bel po’ di arance ai presenti, chiedendo di soppesare tra le mani il frutto, osservarlo e inciderne leggermente la buccia con le unghie per sentirne la fragranza. Una platea intera ha poi chiuso gli occhi e ha immaginato l’arancia, ed è stata invitata a ricrearne mentalmente l’odore.
A partire da quel piccolo esercizio di immaginazione collettiva che ha sparso un profumo immaginario tra le poltrone abbiamo capito insieme perché, secondo Kodama, quel semplice esercizio di immaginazione fu cruciale per consentire a Borges di gettarsi a capofitto, da lì a poco, nei libri di filosofia. “Trovò in quei libri ciò che suo padre gli aveva dato e detto per gioco nella loro vita quotidiana”, spiegò la donna. Giocare è un’ottima propedeutica al pensiero. Bisogna disporsi a sperimentare con l’immaginazione per poi studiare, approfondire e prendere le misure.
Seguire, cioè, il motto coniato da Peter De Vries è attribuito a Hemingway, “Write Drunk, Edit Sober”. Scrivi da ubriaco ed edita da sobrio.