Schivare la vita
Schivare la vita significa non riuscire a salire su quel treno che alle stazioni rallenta giusto un po’, su cui salgono al volo i vincenti e gli integrati per sedersi insieme a quelli che in prima classe ci sono nati.
Schivare la vita significa perdere le occasioni migliori e accorgersene ogni volta senza riuscire a dimenticarselo mai, significa sentire costantemente quel senso di inadeguatezza, smarrimento e fragilità che Zerocalcare ha saputo raccontare magistralmente anche nella sua Serie Tv, che racconta alcune giornate di chi nella vita sta “impicciato” come una matassa enorme di cavi dietro a un televisore collegato su L’albero azzurro.
È anche (ma non solo) il ritratto di una generazione, quella dei trentenni come noi, che sono cresciuti nella promessa di abitare un nuovo piano del grattacielo sociale e che invece sono finiti a camminare tra le macerie, e a ogni passo finiscono con l’inciampare, creando altre macerie.
E, come tutta l’opera di Zerocalcare, è anche un richiamo ironico e dolce per tutti coloro che, nonostante gli sforzi, non riescono a trovare “naturale” questo sistema, questo mondo, questa vita.
Per usare le parole de “L’eccezione e la regola” di Brecht,
“E – vi preghiamo – quello che succede ogni giorno non trovatelo naturale. Di nulla sia detto: "è naturale" in questi tempi di sanguinoso smarrimento, ordinato disordine, pianificato arbitrio, disumana umanità, così che nulla valga come cosa immutabile”.
Con questa atroce consapevolezza nel cuore una via di sopravvivenza, se non di salvezza, si apre attraverso un’altra domanda, dolcissima e spietata:
S'annamo a pijà 'n gelato?