La sensazione di non fare mai abbastanza
Nella società della performance tutti si guardano intorno e pensano: «Guarda quante cose fanno gli altri e quanto poco faccio io. Quanto loro sono attivi, belli e vivi, rispetto a me che sono passivo, brutto e morto dentro».
In realtà, la sensazione di non fare e non essere mai abbastanza è molto più condivisa di quanto si creda: anche i tuoi amici, le persone che idealizzi, persino chi vedi come competitor vive esattamente la stessa situazione, e così si finisce col correre tutti come pazzi verso il nulla per paura di essere dimenticati, esclusi, messi da parte.
La società della performance fa sentire costantemente un senso di competitività verso chiunque, e costringe a sentirsi in colpa quando ci si vuole o ci si deve fermare.
Alimenta il senso di precarietà, ti porta a vivere una grande esaltazione quando acquisisci consenso e a cadere nello stato opposto nel momento in cui la performance diventa passato.
È così che si finisce col sentirsi non più persone ma prodotti da pubblicizzare, perché tutto appare come commercializzabile.
In una società così pervasiva, che colonizza qualunque spazio per spingerci a creare “contenuto”, ma che costringe a convivere costantemente con il senso di vuoto, è essenziale creare altre strade, non pensare che questo sia l’unico mondo possibile, basato su un sistema irreversibile.