L'elogio della sconfitta in After Life
After Life, serie Tv di cui è appena uscita la terza e ultima stagione su Netflix, è un capolavoro struggente e divertente che racconta la storia di Tony, un uomo della provincia inglese costretto ad affrontare la morte prematura della moglie amatissima.
I personaggi che lo circondano, a partire dai colleghi della Tambury Gazette, il giornale in cui lavora, sono tutti freak, spostati, perdenti e uniti nella costruzione della comunità che abitano a partire dalle proprie sconfitte, dai propri dolori e dai propri traumi, che in questo modo riempiono di senso, verità e meraviglia.
“Siamo tutti incasinati in un modo o nell'altro. È proprio questo che ci rende normali”, dirà Tony nella seconda stagione. Perché, come si spiegherà tra una scena strappalacrime e una farsesca, “Non siamo qui per noi. Siamo qui per gli altri”. After Life è poetica, tragica e grottesca allo stesso tempo, e cinismo e dolcezza vi danzano insieme.
È una serie che accompagna lo spettatore ad amare intensamente la vita spogliata da tutti gli orpelli superflui, riconoscendo l’onere e l’onore di vivere un lasso di tempo circoscritto.
È l’applicazione su schermo di queste parole di Pascal: "Quando considero la breve durata della mia vita, immersa nell'eternità che la precede e la segue, il piccolo spazio che occupo e persino che vedo, inabissato nell'immensità infinita degli spazi che ignoro e che mi ignorano, mi sgomento e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che là, dal momento che non c'è nessuna ragione perché sia qui piuttosto che là, perché ora piuttosto che allora”.