Per un primo maggio senza resilienza
Auguriamo a tutti i lavoratori e lavoratrici un Primo Maggio senza resilienza.
Ci sono espressioni che entrano nel linguaggio comune e che si usano senza domandarsi più quale sia il loro reale scopo e quanto, di conseguenza, influenzino. Una delle più diffuse e pervasive è la parola ‘resilienza’, considerata da molti come la panacea di ogni male e la via d’uscita perfetta dai nostri tempi oscuri, complessi e faticosi.
‘Resilienza’ è un termine mutuato inizialmente dall’ingegneria che ha attraversato la biologia, l’informatica, l’ecologia, la psicologia e che negli ultimi anni ha finito con il degradarsi e descrivere soprattutto la capacità di resistere agli urti, di tornare a se stessi dopo aver vissuto un trauma o una deformazione, come i metalli.
O come gli Sbullonati, quei pupazzetti degli anni Novanta ai quali si infliggevano sadicamente crash test e torture terribili, perché tanto tornavano sempre come prima, così anche tu dopo ogni ko devi tornare in piedi.
L’idea malsana in questa interpretazione più diffusa del termine è quella di dover tornare a tutti i costi e il più in fretta possibile a una situazione di benessere. Adottarla senza spirito critico rischia di far assorbire altre istanze: il rifiuto del dolore, della fatica, la spinta a non concedersi mai uno spazio di buio e di oscurità: essere resilienti costringe a calcare perennemente il palcoscenico dell’esistenza senza potersi permettere mai il lusso di restare in disparte, di essere inefficienti, imperfetti, rotti. Ma il dolore non deve necessariamente diventare un dono da trasformare.
Talvolta, deve restare dolore. Non bisogna mostrarsi sempre più forti delle circostanze, adattabili a tutto, traslando un concetto del mondo fisico in un ideale morale.
Il problema è che questo atteggiamento porta, alla fine, a rendersi funzionali al mondo, che può così masticare e scaricare ciò che sei senza rischi e rimorsi: tanto sei resiliente, sai trarre il meglio da ogni cosa.
Niente resilienza, allora, per il Primo Maggio. Meglio una sana resistenza.