Celebrare la memoria di Giovanni Falcone
Certi anniversari sembrano avere il solo scopo di esprimere frasi di circostanza, specie se i fatti celebrati ci sono estranei.
Altri, invece, fanno emergere un dolore che è ancora bruciante, ancora vivo, un senso di ingiustizia, una memoria vivida e per niente sfocata.
Una specie di dolore sociale, una rabbia che si fatica a raccontare, che a chi ne è estraneo può apparire esagerata, inspiegabile, senza senso.
Per me, che sono nata a Mazara del Vallo nel 1985, i trent’anni dalla strage di Capaci rappresentano questo dolore sociale, quell’insieme di domande ancora senza risposta, di responsabilità ancora senza nomi e cognomi.
E la consapevolezza che “cosa nostra” oggi non è sparita, ma è diventata “cosa grigia”, come la chiama Giacomo Di Girolamo: un virus che ha contagiato nuovi settori, che è mutato seguendo il mercato, l’industria, che ha cambiato forma per diventare più infido, più diffuso, più difficile da riconoscere e combattere se non hai imparato a sentirlo a distanza, se non ci sei cresciuto dentro.
Celebrare la memoria di Giovanni Falcone e di tutte le persone che sono morte prima, dopo, insieme a lui per combattere la mafia significa imparare a riconoscere le nuove forme che ha preso e pretendere che vengano combattute ancora.
Maura