Gli effetti della competizione sui social
Dietro selfie ammiccanti e storie di successo ci sono sempre più persone mentalmente devastate dalla sovraesposizione. Come umani non siamo fatti per sostenere il giudizio della rete sulle nostre vite: nessuno - più o meno influencer - ha la struttura psichica adatta a gestire la gigantesca competizione dei social. Conta relativamente il numero dei seguaci: nessuna gratificazione può riempire il vuoto lasciato dall’ansia di essere perennemente in gara con i propri innumerevoli competitor, ossia “chiunque altro”.
La corsa a diventare un brand di successo costringe alla finzione innanzitutto verso se stessi: i social non sono davvero una piazza, ma una pista di corse perenni, e fermarsi a guardare fa perdere punti.
A mancare in tanti è il giusto rapporto con il disagio, che viene trattato quasi sempre con una terapia d’urto: alla vergogna, emozione vitale e naturale, si è portati a rispondere con l’ostentazione e la vanità, che in un circolo vizioso finiscono col produrre ancora più vergogna. Si usano i propri profili come una cameretta espansa e i follower come amici, costringendosi a un’intensità emotiva perversa che finisce col falsare anche le relazioni reali. Ci si indebita emotivamente sempre di più, e si diventa disposti a tutto pur di provare a riempire quel vuoto. Bisognerebbe piuttosto imparare a darsi il tempo per non far dipendere la propria vita da uno sciame distratto, instabile e affamato.