Contro la motivazione
“Dai che ce la puoi fare!”
“Sì, ma a fare cosa?”
“Tutto quello che vuoi. Se vuoi, puoi!”
“Sì, ma io non so se lo voglio davvero”
“Datti da fare! Va bene tutto, l’importante è non pensarci. Dai, dai, dai che ce la fai se ti impegni!”
Viviamo in un ambiente cognitivo perennemente infestato dalla motivazione: è tutto un fiorire di motivatori, coach e consulenti focalizzati nell’aiutare le persone a trovare la propria motivazione.
Sì, ma motivazione per fare cosa?
Non importa: l’importante è fare, attingere alle ultime energie per non accorgersi del dolore, dell’insensatezza della propria vita e dei propri scopi, messi lì solo per dire agli altri “ho trovato il mio posto”.
E così si creano eserciti di persone motivatissime, sì, ma a correre a rotta di collo verso l’abisso. Abbiamo così tanto bisogno di motivazione perché viviamo in una competizione costante e non siamo felici di fare quel che facciamo: serve qualcuno che ci sproni verso la nostra punizione quotidiana.
Questa iper-motivazione diffusa è malata: è il campanello d’allarme della mancanza di senso della vita di tanti, e della difficoltà diffusa di attingere a qualcosa che sappia dignificare la propria presenza nel mondo.
Ossessionati dalla mèta, facciamo finta di non vedere l’assenza di un “perché”. Meglio fermarsi a cercarlo che continuare a farsi spingere lontano da sé.