Non devi splendere per forza
Campeggia ovunque, nei festival, sui muri e sui social, la frase di Pier Paolo Pasolini «Ecco che essi ti insegnano a non splendere. E tu splendi, invece».
Viene usata di solito come sprone a non lasciarsi andare, a splendere malgrado la bruttezza, il disagio e lo scoramento generale. A non farsi abbattere e a gioire nonostante tutto. Il problema è che oggi quell’invito, ancor più se privato del suo contesto (il discorso di Pasolini era ben più complesso), è più dannoso che utile.
Rientra, cioè, in quelle incitazioni alla performatività di cui sono piene bacheche fisiche e digitali, tutte incentrate sull’andare avanti a oltranza, sul dovercela fare a ogni costo, ricordandosi sempre di sorridere alla vita. Così però non ci si ferma mai davvero a capire come si sta e cosa si prova.
Piuttosto, oggi è essenziale rivendicare il proprio diritto a non splendere, a non farsi consumare.
Bisogna imparare a spegnersi davvero, a non essere sempre splendenti.
A non farsi incastrare, cioè, nelle logiche performative del nostro tempo.
Perché, se il potere della società disciplinare era repressivo e obbligava allo spegnimento,
il sistema di dominio neoliberista è seduttivo e spinge costantemente a restare accesi, invitando a gareggiare a chi “splende più forte”, creando una generazione di fulminati.
E così, forse, è più utile oggi ribaltare l’invito a Gennariello contenuto nelle Lettere Luterane:
“Ti obbligheranno a splendere. E tu non splendere, invece”.