MARIANNA E SALVATORICA
Il suo nome era Marianna; era piccola e carina, aveva gli occhi azzurri e i capelli di un biodo chiaro. Ogni mattina giungeva al pascolo con le quaranta pecore del vecchio Efisio, che l' aveva raccolta in fasce e abbandonata. Ogni giorno, alla stessa ora, Marianna mangiava un poco di pane e un poco di formaggio presso la fontana ove si abbeveravano le pecore, quindi tornava al suo piccolo paese, nel cuore della Barbagia, cantando allegramente. Tutti le davano del tu; non c' era pecoraio, non c'era contadino, non c'era mercante che non sapesse chi fosse Marianna e che non le volesse bene.
Qualcuno c'era però, a dire il vero, che non le voleva bene.
Viveva in quello stesso paese una ragazza, si chiamava Salvatorica, e nutriva per Marianna un odio sordo e ingiustificato. Così tanto Marianna era carina e garbata, altrettanto Salvatorica era sgarbata e maligna ; così tanto fresca era la voce di Marianna, altrettanto sgradevole era la voce di Salvatorica.
La quale Salvatorica si rodeva dall' invidia a un punto tale che diveniva ogni giorno più brutta e più antipatica. Così, per sfogare tutta la rabbia che nutriva in seno, costei faceva dei continui dispetti a Marianna, e moriva dalla stizza che quella non si offendeva mai.
Un pomeriggio, mentre Marianna intrecciava un paglierino di giunchi, Salvatorica spinse le quaranta pecore del vecchio Efisio verso il dirupo e le disperse. Così, quando Marianna si guardò attorno, si accorse che lì d' intorno del gregge non c'era più traccia. Invano tese l' orecchio al tintinnio delle campanelle, invano scruto` le orme sui sentieri.
La sera era imminente e dalla valle già tutta scura lunghe ombre salivano verso le cime dei monti. Marianna si arrampicava di rupe in rupe, attratta da strani richiami che le parevano belati.
Aveva già oltrepassato i sentieri sconosciuti e s' inoltrava in quella zona che i pastori chiamavano " sa parti proibida". Fitti cespugli, arbusti pungenti e forti tronchi le ostacolavano il passo.
Ormai annottava, e lo spaventoso silenzio non era rotto che dal verso di qualche animale notturno. Marianna tremava dalla paura, ma ugualmente andava avanti : mai ella avrebbe avuto il coraggio di tornare dal vecchio Efisio senza le pecore. A un tratto la tenebra già fitta si illumino` : a pochi passi dalla fanciulla si apriva una caverna, scarsamente illuminata all' interno : - È permesso? - chiese Marianna. - Avanti ! - risposero tre voci femminili.
Marianna entrò, e vide tre signore bellissime sedute accanto a un pallido fuoco. Erano vestite di azzurro, e portavano i capelli riuniti da certe perle che parevano goccioline di chiaro di luna.
Che ci porti di bello Marianna? - chiesero le tre fate. E Marianna, pronta : - Un cestello di giunco tessuto con le mie stesse mani ! -
Sei ben gentile, Marianna - proseguirono le tre fate - fermati con noi questa notte. Le tue pecore, non devi preoccuparti, sono già tornate da sole all' ovile ! -
Le fate conservarono in un grande cassone il dono ricevuto, poi fecero riposare Marianna su di un lettino che aveva le coperte fatte di muschio.
Quando poi albeggio`, la giovinetta salutò le tre fate e ridiscese al pascolo. Salvatorica, nel vederla, scoppiò in una risata : - Chi bestia nasce, bestie non può guardare.
Cercati un altro mestiere, Marianna ! -
Oh bella, e perché? - rispose la giovinetta, alquanto meravigliata. - Perché - proseguì l' infida Salvatorica - a partire da quest' oggi le pecore del vecchio Efisio sono affidate a me tutte e quaranta! - E, in così dire, mostrò alla povera Marianna il bastone di legno lavorato che l' ingiusto pastore le aveva dato in consegna assieme alle pecore.
Marianna si allontanò piangendo e così, in lacrime, si recò al casolare del vecchio; ma questi non c'era: era andato a bersi un bicchierino di " abbardente".
In quella, una donna passò : - Perché piangi ? - le chiese.
Piango perché non ho più le pecore da pascolare ! - rispose Marianna tra i singhiozzi.
Cuore allegro, braccia sane, d' ogni grano faranno pane ! - recitò la strana donna. Che poi disse ancora : - Invece di piangere, offrimi un poco d'acqua dalla tua brocca, quindi vieni a vigilare il grano da me. Starai bene, e non rimpiangerai le tue pecore ! -
Così fece, Marianna, e quando cominciò a farsi cadere il grano fitto ai piedi, disse fra sé : - Come brilla,.pare oro ! -
Pare oro, e oro è! - le disse sorridendo la donna, che in realtà era una fata. Il grano, infatti, emanava una gran luce : si era mutato in oro, di quello buono. Tutti corsero a vedere e gridarono al miracolo. La notizia passò di bocca in bocca, fece il giro dei casolari, si propago` di poggio in poggio.
Il vecchio Efisio rincaso` di corsa, mordendosi le mani per aver creduto a quella pettegola di Salvatorica. Riprese con sé Marianna e le fece mille complimenti, già calcolando quanti moggi di grano la ragazza gli avrebbe potuto vagliare in un mese.
Quando Salvatorica tornò al casolare con le pecore, il vecchio Efisio la scaccio` in malo modo, coprendola di male parole.
La cattiva ragazza, cui la gente del paese aveva già raccontato il miracolo del grano d'oro, se ne andò ruminando propositi di vendetta.
Fu così che, gira e rigira, sali e discendi, anche Salvatorica giunse, a sera inoltrata, alla caverna delle tre fate, dalla quale usciva una luce stranamente fioca. La maleducata entrò senza chiedere permesso, e s ' imbatte` in tre bruttissime streghe riunite davanti a un fuoco rosso. Come erano tutte nere di fuliggine, e portavano i capelli legati con certi lucertoloni verdi lunghi così.
Che cosa ci porti di bello, Salvatorica ? - chiesero le streghe. E Salvatorica, pronta: - Un corno, vi ho portato ! -
Sei poco gentile, Salvatorica - la ripresero quelle - qui non c'è posto per te, né per il tuo corno ; perciò vattene via, che noi non sappiamo che farci del tuo dono scortese ! -
Salvatorica dovette andarsene e fu costretta a dormire tutta la notte fra i pungenti spini del bosco. Quando poi spunto` l' alba, la perfida ragazza corse di filato alla ricerca di quella stessa donna che aveva fatto la fortuna di Marianna. La trovò, e così le parlò: - Anch' io, come Marianna, vengo dalla caverna delle fate ; non lo dareste anche a me, buona donna, un moggio di grano da vagliare ? - La donna le diede ciò che aveva chiesto ; ma quando Salvatorica alzò il vaglio con tutte e due le mani, disse tra sé e sé : - È davvero strano poiché, per quanto io mi sforzi, da qui non viene fuori nemmeno l' ombra di un' oncia di grano ! -
Il grano, infatti, si era tutto tramutato in sabbia, e il vento se l' era portato con sé : Salvatorica scappò via piangendo di rabbia e di delusione ; quando, mentre tutta affannata correva, incontrò Marianna, la quale, presala per una mano, la condusse con sé dal vecchio Efisio.
Quindi, così volle cantarle a costui : - oi darete ancora a Salvatorica le pecore da guardare, altrimenti io non vi vagliero` più nemmeno un'oncia di grano! -
Tanta era la paura di perdere quella miracolosa sorgente d'oro, che il vecchio Efisio avrebbe con facilità perdonato non solo Salvatorica, ma il diavolo in persona.
Quanto a Salvatorica, invece, ella non osò mai più fare dispetti a Marianna.
Malgrado ciò, tuttavia, continuò a odiarla in segreto, perché l' invidia è un terribile male che mai nessun beneficio può riuscire a guarire del tutto. Anzi, a voler dire tutta la verità, più uno è buono, più i cattivi sembrano trovare motivi per invidiarlo.
La morale purtroppo è corta : che mai l' invidia non è morta !