4 maggio 1871
4 MAGGIO 1871
QUANDO DONNE E BAMBINE SARDE TROVARONO LA MORTE IN MINIERA.
«Era il pomeriggio del 4 maggio 1871. Al cantiere di Atzuni, nella miniera di Montevecchio, un gruppo di donne e di bambine camminavano verso un capannone con lo sguardo a terra, annichilite dalla stanchezza. Avevano spaccato e insaccato pietre per tutto il giorno con mani ormai ruvide e callose. L’avevano fatto, come sempre, sin dall’alba, in rigoroso silenzio.
Il “caporale” non tollerava che si chiacchierasse e la punizione sarebbe costata l’intera paga di una giornata. Il ricatto del pane. Un costo troppo caro per chi lavora per sopravvivere.
Trascinavano le loro esistenze dentro abiti ruvidi e consunti, svuotate da una fatica che annientava ogni slancio di vita. La strada per tornare a casa era molto lunga. Ogni giorno arrivavano da Arbus e Guspini a piedi. Erano donne disperate. Vedove di minatori, mogli con troppi figli da sfamare lasciati a casa ad accudirsi tra loro, bambine di famiglie in cui l’infanzia finisce il giorno in cui si è in grado di rispondere agli ordini dei capiservizio».
«Se dopo le otto, dieci ore la stanchezza impediva di tornare a casa, si poteva restare al cantiere e riposare sulle brande, dentro dormitori senza servizi igienici né alcun tipo di confort – racconta Iride Peis Concas che nel suo libro “Donne e Bambine nella miniera di Montevecchio” (Pezzini editore) ha ridato un nome e un volto a quelle donne che la storia e la memoria popolare aveva cancellato troppo presto, relegando all’oblio le loro esistenze come se i fatti accaduti fossero routine - Quel pomeriggio erano trenta le donne e le bambine che rimasero nel cantiere a riposare sui giacigli. Sopra il dormitorio c’era una grossa vasca d’acqua che serviva per lavare i minerali, si ruppe e fece crollare il tetto. Morirono 11 donne. La più anziana, Rosa, aveva cinquant'anni e la più giovane era una bambina di undici, Anna».