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BFi numero 13 file 02
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---------------------[ BFi13-dev - file 02 - 20/08/2004 ]-----------------------
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-[ DiSCLAiMER ]-----------------------------------------------------------------
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-[ C0LUMNS ]--------------------------------------------------------------------
---[ CHi Si RiC0RDA iL CRACKD0WN iTALiAN0? ]------------------------------------
-----[ Carlo Gubitosa <c.gubitosa@peacelink.it> ]-------------------------------
Chi si ricorda il crackdown italiano?
Sono passati dieci anni dall'"Italian Crackdown", la piu' grande operazione di
polizia informatica della storia dell'umanita', e il file sharing sulle fibre
ottiche ha sostituito la messaggistica dei modem a 300 baud. Quello che non
cambia, purtroppo, e' l'approccio culturale e politico alla comunicazione
elettronica, che oggi come ieri e' sempre piu' criminalizzata e imprigionata da
lobbies che scrivono leggi "su misura".
Di Carlo Gubitosa <c.gubitosa@peacelink.it>
"Incriminato - accusato - processato - perquisito": queste parole sono state
trasmesse su tutti i teleschermi d'america durante l'ultima edizione del
Superbowl, ma non si trattava di uno spot della CIA per festeggiare l'arresto
di terroristi e boss mafiosi. La finale del campionato di football americano,
il piu' grande evento mediatico degli Stati Uniti, si e' trasformata in un
"palcoscenico" per la Pepsi e la RIAA, la lobby dei discografici americani, che
hanno deciso di associare ad azioni criminose il volto di ragazzini adolescenti
gia' accusati dalle autorita' americane per aver scambiato musica in rete. Quel
messaggio pubblicitario e' stato molto chiaro: se condividi musica sei un
criminale, ma se bevi la Pepsi puoi farlo legalmente e redimerti agli occhi del
mondo.
Dieci anni fa il "crimine telematico" per eccellenza non era lo scambio di
musica (la compressione MP3 era ancora un lontano miraggio) ma addirittura la
"detenzione di modem". A che serve un modem - si chiedevano giornalisti e
magistrati - se uno non ha loschi traffici da gestire, guerre termonucleari da
scatenare o messaggi segreti da scambiare? Nel maggio 1994 la terribile
equazione che associava la comunicazione elettronica alle attivita' illegali si
e' trasformata da "semplice" deficit culturale in un vero e proprio teorema
giudiziario, che ha scatenato l'ira funesta della Guardia di Finanza su
centinaia di persone "colpevoli" di aver gestito un Bulletin Board System, una
di quelle "bacheche elettroniche" caserecce che oggi sembrano preistoria
informatica.
Prima di essere "sorpassate" dal boom di Internet, nato in Italia con le
speculazioni di Video On Line, quelle bacheche elettroniche gestite da privati,
e basate su regole ferree che non consentivano il transito di messaggi
pubblicitari, sono state la palestra sulla quale si e' formata una generazione
di "utenti telematici consapevoli", che ancora oggi cercano di resistere allo
"zapping telematico" orchestrato in rete dai giganti delle telecomunicazioni e
dell'intrattenimento.
Nel 1992 una pesantissima azione di lobby della BSA, la "santa alleanza" dei
produttori di software, era riuscita a far approvare delle modifiche alla legge
sul diritto d'autore che introducevano una distinzione tra i programmi
informatici e le altre opere dell'ingegno, sanzionando col carcere la copia di
software "a scopo di lucro".
E' dall'applicazione distorta di questa "legge su misura" che due anni piu'
tardi nasce l'operazione "Hardware I", passata alla storia con il nome di
"Italian Crackdown": dalla procura di Pesaro partono 173 decreti di
perquisizione, che attivano 63 reparti della Guardia di Finanza per una serie
di sequestri a tappeto: oltre a 111.041 floppy disk, 160 computer, 83 modem, 92
CD, 298 streamer e 198 cartridge. Vengono sequestrati anche dei "reperti"
totalmente inutili alle indagini: documenti personali, riviste, appunti, prese
elettriche, monitor, stampanti, tappetini per il mouse, contenitori di plastica
per dischetti, kit elettronici della scuola radio elettra scambiati per
apparecchiature di spionaggio. Si arriva a sequestrare un'intera stanza del
computer, sigillata dalla finanza nel timore che da quella stanzetta qualcuno
potesse innescare la terza guerra mondiale.
Molti scelgono di patteggiare, anche se consapevoli di non aver fatto nulla di
illecito. Altri ne fanno una questione di principio e vanno fino in fondo, come
Giovanni Pugliese, fondatore dell'Associazione PeaceLink, che viene pienamente
scagionato nel 2000 dopo un calvario giudiziario durato sei anni.
Dopo quell'episodio l'azione di lobby realizzata dalla BSA (e da Microsoft che
la finanzia) e' diventata piu' sottile e impercettibile, ma non meno devastante.
Il 26 novembre 1996 la pretura circondariale di Cagliari dichiara in una storica
sentenza che copiare software non e' sempre reato.
La parte in causa e' una ditta privata che installa lo stesso programma su tre
computer differenti. Il giudice spiega che il fatto non costituisce reato
perche' c'e' una differenza tra lucro e profitto, e la legge punisce solo la
copia fatta per lucro, per guadagnare dei soldi, e non quella fatta con
profitto, risparmiando sul mancato acquisto di un software. A questo punto, con
la legge 248/2000 un nuovo "ritocco" alla legge 633/41 sul diritto d'autore
sostituisce magicamente le parole "a scopo di lucro" con "per trarre profitto",
e dalla sede centrale di BSA partono immediatamente i fax intimidatori con cui
si avvertono le aziende del nuovo cambio di regole.
Questa ennesima "blindatura" del diritto d'autore sul software riesce a
introdurre per la copia di software pene simili a quelle per omicidio colposo, e
chi copia un programma per uso personale viene trattato allo stesso modo di chi
ne fa migliaia di copie per rivenderle sul "mercato nero" dell'informatica. Ma
c'e' ancora un buco: per quanto riguarda la copia di musica e di video, la legge
248/2000 introduce una distinzione, e punisce la copia di film e canzoni solo se
viene effettuata "per uso non personale" e "a scopo di lucro".
L'opera di criminalizzazione di qualsiasi copia di opere dell'ingegno e'
completata dall'Unione Europea, che nel 2001 ha emanato la EUCD, la direttiva
europea sul Copyright recepita In Italia con il decreto legislativo n. 68 del
9 aprile 2003.
Tuttavia anche questo decreto ha lasciato una residua possibilita' di scambio
culturale tra gli utenti, dal momento che consente la "riproduzione privata di
fonogrammi e videogrammi su qualsiasi supporto, effettuata da una persona fisica
per uso esclusivamente personale, purche' senza scopo di lucro e senza fini
direttamente o indirettamente commerciali". L'inghippo e' che scattano comunque
le manette se questa copia viene realizzata aggirando i meccanismi tecnologici
inseriti a protezione dei contenuti, che ormai sono presenti in tutti i Cd e
Dvd. Chi aggira un sistema di protezione per copiare della musica alla nonna
rischia gli stessi anni di galera di chi aggira le stesse protezioni per
rivendere migliaia di copie di quel CD. E' come se in italia l'ingiuria e la
strage venissero punite allo stesso modo.
L'ultimo pastrocchio legislativo e' arrivato con il famigerato "Decreto Urbani",
che cambia poco nella sostanza giuridica ma ha seminato gia' il panico nel
grande pubblico della rete. Da una parte i consumatori vengono spinti dalle
compagnie telefoniche verso abbonamenti Adsl che allettano gli utenti con la
possibilita' di scaricare "video e musica", dall'altra i cittadini si scontrano
con le lobby che vogliono descrivere questa azione come un reato penale,
indipendentemente dal tipo di materiale scaricato e dall'uso personale o
mercantile che ne viene fatto. Il bello di questo decreto e' che i suoi
estensori ne hanno promesso la revisione ancora prima che venisse approvato.
Qual e' la forza che puo' spingere un ministro ad approvare una legge scritta
male per sua stessa ammissione, e che oggi, nonostante le successive "pezze"
legislative nessuno sa ancora interpretare in modo univoco?
Per capire l'entita' di questa forza basta conoscere il pensiero di chi la
combatte da piu' di un decennio, e rileggere la "dichiarazione di indipendenza
del Cyberspazio" scritta da John Perry Barlow nel 1996, ma attualissima ancora
oggi:
"Le vostre strutture dell'informazione, sempre piu' obsolete, tenteranno di
perpetuarsi proponendo nuove leggi, in America e in tutto il mondo, per
affermare di possedere la parola stessa. Queste leggi definiranno le idee
come un altro prodotto industriale, non piu' nobili del volgare ferro. Nel
nostro mondo, qualunque cosa creata dalla mente umana puo' essere riprodotta e
distribuita all'infinito senza alcun costo. La trasmissione globale del pensiero
non richiede piu' l'appoggio delle vostre fabbriche. Queste misure ostili e
coloniali ci pongono nella medesima posizione di quegli amanti della liberta' e
dell'autodeterminazione che in altri tempi sono stati costretti a non
riconoscere l'autorita' di poteri distanti e disinformati.
Abbiamo il dovere di dichiarare le nostre identita' virtuali immuni al vostro
potere, anche se dovessimo continuare a rispettare le vostre leggi con i nostri
corpi. Ci sparpaglieremo su tutto il Pianeta in modo che nessuno possa arrestare
il nostro pensiero. Noi creeremo la civilta' della Mente nel Cyberspazio. Che
possa essere piu' umana e giusta del mondo fatto dai nostri governi".
In questi anni Barlow, tra i fondatori della "Electronic Frontier Foundation"
non e' stato l'unico ad affermare il diritto allo scambio libero e gratuito di
opere dell'ingegno, una pratica che affonda le sue radici nella storia
dell'umanita' e che oggi qualcuno vorrebbe etichettare come "pirateria".
Chi sono i veri pirati della societa' dell'informazione, i ragazzi che
scambiano musica facendo pubblicita' gratuita agli artisti attraverso il
passaparola o i notabili della Time Warner, che scippano alla collettivita' due
milioni di dollari l'anno per una canzone che non hanno mai scritto? Il brano
musicale in questione si chiama "Tanti auguri a te", e' stato composto nel 1935
e l'ultima delle sorelle Hill, le vere autrici di questo pezzo, e' morta nel
1946. Purtroppo nel 1998 stavano per scadere i diritti d'autore su Mickey Mouse,
e l'idea di un Topolino "Open Source", liberamente affidato alla creativita' dei
disegnatori e degli animatori freelance di tutto il mondo, faceva tremare le
ginocchia di un colosso come la Walt Disney. A tranquillizzare gli eredi di
papa' Walt ci ha pensato l'ennesima legge su misura, che ha esteso a 90 anni la
validita' del copyright. Per questo motivo dovremo aspettare il 2025 prima che
la canzone "Tanti auguri a te" diventi ufficialmente patrimonio culturale
dell'umanita', mentre di fatto lo e' gia' da mezzo secolo. Chi sono allora i
veri pirati? Chi scambia musica per passione o chi realizza avidamente per quasi
un secolo profitti sproporzionati e ingiustificati su idee artistiche che non ha
mai avuto?
Fare memoria dell'Italian Crackdown non e' un atto nostalgico da reduci
dell'epoca d'oro delle BBS, ma e' un passaggio necessario per interrogarsi sui
benefici e gli svantaggi dei due approcci culturali e filosofici che oggi
guidano lo sviluppo tecnologico, culturale e commerciale: il modello
"proprietario" e il modello "libero". Questi due modelli di sviluppo e di
ricerca sono caratterizzati da un approccio diametralmente opposto a questioni
delicate e cruciali come la proprieta' intellettuale, il copyright e i diritti
di sfruttamento economico delle invenzioni.
Il modello proprietario e' caratterizzato dall'applicazione al mondo delle idee,
della cultura e delle opere dell'ingegno di un concetto base dell'economia
tradizionale: il valore di un bene e' determinato dalla sua scarsita'.
L'applicazione di questo principio economico a beni immateriali come un
algoritmo, una sequenza di note musicali o un protocollo di comunicazione tra
computer ha come conseguenza una rigida applicazione del copyright, la
tassazione di ogni forma di utilizzo o duplicazione delle opere dell'ingegno, e
un lavoro incessante di monitoraggio e controllo per reprimere e sanzionare
qualunque utilizzo di questi beni immateriali che non produce un immediato
vantaggio economico per i loro inventori.
A questa visione "mercantile" della cultura se ne contrappone un'altra, basata
su un concetto completamente diverso: nella societa' dell'informazione il
valore di un bene immateriale, concettuale o artistico e' determinato dalla sua
diffusione e non dalla sua scarsita'. Applicando questo principio cade la
necessita' di tassare ogni forma di distribuzione delle opere dell'ingegno,
perche' la libera circolazione delle idee, anche quando avviene in forma
spontanea o gratuita, riesce sempre e comunque a produrre un vantaggio per chi
ha dato vita a quelle idee, anche se questo vantaggio e' indiretto e non
immediato.
E' questo l'approccio culturale e filosofico che ha permesso lo sviluppo
esponenziale di Internet e di tutti i protocolli, servizi e tecnologie che oggi
utilizziamo quotidianamente per l'interconnessione su scala geografica dei
computer e per la posta elettronica, la navigazione ipertestuale o lo scambio di
file. Se oggi dovessimo pagare un centesimo per ogni volta che usiamo la
"chiocciolina" in un messaggio email, consultiamo a distanza un documento
attraverso il protocollo HTTP o pubblichiamo in rete un ipertesto secondo gli
standard che definiscono il linguaggio HTML, probabilmente al mondo ci sarebbe
qualche miliardario in piu', ma avremmo un'Internet molto piu' povera di
informazioni, meno diffusa e meno frequentata, e questo sarebbe un grosso danno
anche per i miliardari.
Mi sono avvicinato con passione alla telematica sociale di base proprio nel
1994, scoprendo con orrore che qualcuno aveva pagato con una persecuzione
giudiziaria la creazione delle prime comunita' virtuali italiane. Da allora,
anche grazie alle esperienze di "cittadinanza attiva" del cyberspazio
realizzate all'interno dell'associazione PeaceLink (http://www.peacelink.it),
non ho piu' smesso di interessarmi ai problemi della comunicazione e delle nuove
tecnologie dell'informazione.
In rete ho trovato la passione del giornalismo, e ho cominciato a diffondere
gratuitamente i miei scritti, senza mai considerare la libera circolazione delle
mie opere come una violazione del mio "diritto d'autore", ma come un grande
regalo che mi facevano tutti coloro che sceglievano di leggere, inoltrare,
riprodurre e pubblicare i miei scritti.
Oggi riesco a vivere di quello che scrivo, e non ho bisogno di mandare in galera
i ragazzini che scaricano le mie opere attraverso i circuiti peer-to-peer. In
questo preciso momento il mio client emule segnala la presenza di 18 utenti che
hanno nel loro computer uno dei miei libri, e questo mi riempie di gioia, mentre
qualcun altro al mio posto vorrebbe chiamare il 113.
Ho avuto il grande privilegio di pubblicare il libro "Italian Crackdown"
(http://www.apogeonline.com/ebook/90017/scheda), che racconta in dettaglio i
giorni bui delle perquisizioni e dei sequestri, il primo libro italiano diffuso
con una licenza "open content" che ne ha permesso la pubblicazione in rete sin
dal primo giorno di presenza in libreria.
In tutto questo percorso, non ho mai smesso di credere che il valore dei miei
scritti e di qualunque altra opera dell'ingegno non ha nulla a che vedere con
chi vorrebbe affermare il dovere di controllare, sanzionare e carcerare chi mi
legge senza pagarmi. Spero che in futuro ci possa essere un numero sempre
maggiore di autori che decideranno di aprire i loro cassetti per far parte
dell'intelligenza collettiva della rete, dove quello che si riceve e'
infinitamente maggiore di quello che si potra' mai donare in tutta una vita.
Copyleft note: Permission is granted to make and distribute verbatim copies
of this book provided the copyright notice and this permission notice are
preserved on all copies.
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