La sparizione del signor Davenheim
Poirot e io stavamo aspettando il nostro vecchio amico, l’ispettore Japp di Scotland Yard. Poirot aveva appena finito di sistemare con cura tazze e piattini, che la nostra padrona di casa disponeva a casaccio sul tavolino da tè, e aveva lucidato la teiera d’argento con un fazzoletto di seta. Il bricco stava per bollire e non lontano, in una tazza di smalto, c’era una densa cioccolata che a Poirot piaceva molto più di quello che lui usava chiamare “il vostro veleno inglese”.
Si sentì bussare energicamente al piano di sotto, e pochi minuti dopo entrò Japp con passo vivace.
– Spero di non essere in ritardo – disse, salutandoci. – A dire il vero sono stato a parlare con Miller, che si occupa del caso Davenheim.
Drizzai le orecchie. Negli ultimi tre giorni i giornali non avevano fatto che parlare della strana scomparsa del signor Davenheim, noto finanziere e socio anziano della banca Davenheim e Salmon. Il sabato era uscito di casa e da allora nessuno lo aveva più visto. Ero impaziente di estorcere a Japp qualche particolare interessante.
– Pensavo – osservai – che al giorno d’oggi dovrebbe essere quasi impossibile scomparire.
Poirot spostò di un millimetro il vassoio con il pane imburrato e disse in tono brusco: – Sia preciso, amico mio. Che cosa intende per “scomparire”? A quale genere di scomparsa si riferisce?
– Perché, le scomparse sono classificate ed etichettate? – chiesi, ridendo.
Anche Japp sorrise e Poirot ci guardò un po‘ accigliato. – Certo! Le categorie sono tre: la prima, la più comune, è la scomparsa volontaria; la seconda è il caso della “perdita di memoria”, che qualche volta, anche se raramente, è autentica; la terza, omicidio ed eliminazione, con più o meno successo, del cadavere. Si riferisce a tutti e tre, dicendo che è quasi impossibile scomparire?
– Direi di sì. Forse capiterà che qualcuno perda la memoria, ma ci sarà sempre chi lo riconoscerà, soprattutto nel caso di un uomo famoso come Davenheim. Inoltre i cadaveri non possono sparire nel nulla, presto o tardi saltano fuori. E l’impiegato disonesto o l’uomo che abbandona la famiglia sono destinati a essere ritrovati, perché i mezzi di comunicazione ne diffonderanno immediatamente i connotati. Prima di sparire, bisogna fare i conti con le risorse della tecnica moderna.
– Mon ami – disse Poirot – lei commette un errore. Non prende in considerazione il fatto che un uomo deciso a eliminare un altro uomo, o se stesso, in senso figurato, potrebbe essere una persona metodica. Potrebbe mettere nell’impresa intelligenza, talento e un accurato studio dei particolari; in tal caso, non vedo perché non dovrebbe riuscire a beffare la polizia.
– Ma non lei, suppongo – replicò Japp di buon umore, strizzandomi l’occhio. – Non potrebbe beffare lei, vero monsieur Poirot?
Poirot si sforzò di assumere un’aria modesta, con pochissimo successo. – Me? Anche, perché no? È vero che il mio approccio a simili problemi si basa sulla scienza esatta e la precisione matematica, cose fin troppo rare nella. nuova generazione di investigatori!
Japp sorrise ancora più apertamente. – Non so – disse. – Miller, che si occupa di questo caso, è un uomo in gamba. Potete star certi che non trascurerà un’impronta digitale, la cenere di un sigaro e tantomeno una briciola di pane. I suoi occhi vedono tutto.
– Come, del resto – ribatté Poirot – quelli dei passeri di Londra. Tuttavia non mi rivolgerei a questi simpatici uccellini, per risolvere il problema della scomparsa di Davenheim.
– Via, monsieur, non vorrà minimizzare il valore dei particolari, nelle indagini?
– Niente affatto. C’è, tuttavia, il pericolo che assumano un’indebita importanza. La maggior parte dei particolari è insignificante, soltanto uno o due sono determinanti. È sul cervello, sulle piccole cellule grigie – si batté una mano sulla fronte – che bisogna basarsi. I sensi traggono in errore. Bisogna cercare la verità dal di dentro, non dal di fuori.
– Non vorrà dire, monsieur Poirot, che lei potrebbe risolvere un caso senza muoversi dalla sua sedia, vero?
– È esattamente quello che voglio dire, purché abbia a disposizione i fatti. Io mi considero un consulente specializzato.
Japp si batté una manata sul ginocchio. – Che mi venga un colpo! La prendo in parola. Scommetto cinque sterline che lei non riuscirà a mettere le mani, o magari a dirmi come posso mettercele io, sul signor Davenheim, vivo o morto, entro una settimana.
Poirot rifletté. – Eh bien, mon ami, accetto, le scommesse sono la passione di voi inglesi. Adesso... i fatti.
– Sabato scorso Davenheim ha preso come sempre il treno delle dodici e quaranta da Victoria Station, diretto a Chingside dove si trova la sua lussuosa casa di campagna, che si chiama I Cedri. Dopo pranzo ha passeggiato nel parco, dando istruzioni ai giardinieri. Tutti concordano nell’affermare che i suoi modi erano assolutamente normali. Dopo aver preso il tè ha detto a sua moglie che sarebbe andato a fare due passi in paese per imbucare delle lettere e ha aggiunto che aspettava un certo signor Lowen per questioni di affari. Se fosse arrivato prima del suo ritorno, bisognava farlo accomodare nello studio e chiedergli di aspettare. Poi è uscito dalla porta principale, ha percorso con calma il vialetto, ha varcato il cancello e... nessuno lo ha più visto. Da quel momento è completamente svanito.
– Interessante, molto interessante... un problemino affascinante – mormorò Poirot. – Continui, amico mio.
– Circa un quarto d’ora dopo, un uomo alto e bruno con folti baffi neri ha suonato il campanello e ha spiegato di avere un appuntamento con il signor Davenheim. Ha detto di chiamarsi Lowen ed è stato fatto accomodare nello studio come aveva ordinato il banchiere. È passata quasi un’ora, e il signor Davenheim non è tornato. Alla fine il signor Lowen ha suonato il campanello per chiamare il cameriere e ha spiegato di non poter aspettare oltre, perché doveva riprendere il treno per tornare in città. La signora Davenheim si è scusata per l’inspiegabile assenza del marito, il signor Lowen ha ripetuto di essere dispiaciuto e se n’è andato. Come tutti sanno, il signor Davenheim non è tornato. La domenica mattina la polizia è stata informata della scomparsa ma non è riuscita a scoprire nulla. Sembrava che il signor Davenheim si fosse letteralmente volatilizzato. Non era andato all’ufficio postale e nemmeno era stato visto attraversare il paese. Alla stazione erano sicuri che non fosse partito con nessun treno e la sua macchina non aveva lasciato il garage. Se avesse noleggiato un’auto, chiedendo che lo venissero a prendere in qualche punto isolato, è quasi sicuro che a quest’ora, considerata l’alta ricompensa offerta per qualunque notizia, l’autista si sarebbe fatto avanti per dire quello che sa. È vero che a cinque miglia di distanza, a Enfield, si stava svolgendo un concorso ippico, e che se Davenheim fosse andato a piedi fino a quella stazione avrebbe potuto passare inosservato. Ma subito dopo tutti i giornali hanno pubblicato la sua foto e una descrizione accurata. Naturalmente abbiamo ricevuto molte segnalazioni da ogni parte dell’Inghilterra, ma finora sono state tutte deludenti.
Lunedì mattina è stata fatta un’altra scoperta sensazionale. Dietro una finta porta, nello studio del signor Davenheim, c’è una cassaforte, che era stata scassinata e svuotata. Le finestre erano chiuse dall’interno, perciò il ladro non dovrebbe essere venuto da fuori, a meno che un complice, all’interno della casa, non abbia richiuso le finestre dopo il furto. D’altro canto, dato che domenica c’era stato parecchio trambusto, è probabile che il furto sia stato commesso il giorno prima, sabato, e che nessuno se ne sia accorto fino a lunedì.
– Précisément – disse Poirot seccamente. – Bene, è stato arrestato quel povero monsieur Lowen?
Japp sorrise. – Non ancora, ma è sotto sorveglianza.
Poirot annuì. – Che cosa è stato portato via dalla cassaforte?
– Stiamo facendo l’inventario con l’altro socio della banca e con la signora Davenheim. Pare che la cassaforte contenesse una grossa somma in titoli al portatore e un’altra in banconote, dato che era stata appena conclusa una importante transazione di affari. C’era anche un piccolo patrimonio in gioielli. La signora Davenheim ci ha riferito che negli ultimi anni erano diventati una passione, per suo marito, e non passava mese che non le regalasse qualche gemma preziosa.
– Nel complesso un buon bottino – disse Poirot pensosamente. – Che cosa si sa di questo Lowen? Di quali affari dovevano parlare lui e Davenheim, quella sera?
– Be‘, sembra che i due non fossero in buoni rapporti. Lowen è uno speculatore, ma di piccolo calibro.
Tuttavia qualche volta è riuscito a soffiare un buon affare a Davenheim, anche se pare che i due non si siano mai incontrati. Davenheim gli aveva dato appuntamento per parlare di certe azioni sudamericane.
– Davenheim aveva interessi anche in Sudamerica?
– Credo di sì. La signora Davenheim ci ha detto che il marito aveva trascorso tutto lo scorso autunno a Buenos Aires.
– Qualche guaio familiare? Marito e moglie andavano d’accordo?
– Direi che la vita familiare era serena. La signora Davenheim è una donna gentile, non molto intelligente. Mi sembra una nullità.
– Allora non è lì che dobbiamo cercare la soluzione del mistero. Davenheim aveva qualche nemico?
– Aveva moltissimi rivali nel campo della finanza, e quelli che aveva battuto negli affari non avevano una gran simpatia per lui. Ma è improbabile che qualcuno di loro lo abbia eliminato. E, se così fosse, dov’è il cadavere?
– Esatto. Come sostiene Hastings, i cadaveri hanno la tenace abitudine di saltar fuori, prima o poi.
– Tra l’altro, uno dei giardinieri afferma di aver visto qualcuno girare intorno alla casa e dirigersi verso il roseto. La porta finestra dello studio si apre sul roseto, e spesso il signor Davenheim entrava e usciva di lì. Ma il giardiniere era piuttosto lontano e non è in grado di dire se si trattasse o no del suo padrone. Inoltre non sa con esattezza che ore fossero, ma dev’essere stato prima delle sei, dato che i giardinieri smettono di lavorare a quell’ora.
– E quand’è che il signor Davenheim ha lasciato la casa?
– Verso le cinque e mezzo o giù di lì.
– Che cosa c’è dietro il roseto?
– Un lago.
– Con un capanno per le barche?
– Sì. Ci sono un paio di barche. Suppongo che lei stia pensando al suicidio, monsieur Poirot, vero? Be‘, posso dirle che Miller farà dragare il lago, domani.
Poirot fece un vago sorriso e si rivolse a me. – Hastings, per favore, mi passi quella copia del “Daily Megaphone”. Se ben ricordo c’è una fotografia di Davenheim insolitamente chiara.
Mi alzai, presi il giornale e Poirot esaminò la foto con attenzione. – Uhm...! – mormorò. – Capelli piuttosto lunghi e ondulati, grandi baffi, barbetta a punta e sopracciglia cespugliose. Gli occhi sono scuri?
– Sì.
– Capelli e barba tendenti al grigio?
L’ispettore annuì.
– Bene, monsieur Poirot, che avete da dirmi? Chiaro come la luce del sole, no?
– Al contrario, molto oscuro.
L’uomo di Scotland Yard sembrò compiaciuto.
– Il che mi fa sperare di risolvere il caso – concluse Poirot in tono placido.
– Come?
– Quando un caso è oscuro, per me è buon segno. Se una cosa è chiara come la luce del giorno... eh bien, non fidatevi! Qualcuno ha fatto in modo da renderla tale.
Japp scosse la testa, quasi con compatimento. – Ognuno la pensa come vuole. Ma non è male vedere con chiarezza la strada che si ha davanti.
– Io non vedo – mormorò Poirot. – Chiudo gli occhi... e penso. Japp sospirò. – Bene, ha un’intera settimana per pensarci.
– E mi farà sapere tutti i nuovi sviluppi, per esempio i risultati ottenuti dall’ispettore Miller, che lavora così duramente e ha gli occhi di lince?
– Certo, questo rientra nei patti.
– Mi vergogno un po‘, sa? – mi disse Japp mentre lo accompagnavo alla porta. – È come derubare un bambino.
Sorrisi e non potei fare a meno di dichiararmi d’accordo. Stavo ancora sorridendo quando rientrai nella stanza.
– Eh bien! – disse subito Poirot. – Si prende gioco di papà Poirot, vero? – Agitò il dito verso di me. – Non si fida delle mie cellule grigie, vero? E allora discutiamo di questo problemino che, per quanto incompleto, ha già alcuni punti interessanti.
– Il lago! – dissi io eloquentemente.
– E, ancora di più del lago, il capanno delle barche!
Guardai Poirot di sottecchi. Sorrideva in quel suo modo impenetrabile e mi resi conto che, almeno per il momento, sarebbe stato inutile continuare a interrogarlo.
Non sapemmo nulla di Japp fino alla sera successiva, verso le nove. Quando arrivò, dalla sua espressione capii subito che non vedeva l’ora di comunicarci qualcosa.
– Eh bien, amico mio – osservò Poirot. – Va tutto bene? Ma non mi dica che avete scoperto il cadavere del signor Davenheim, perché non ci crederei.
– Non abbiamo scoperto il cadavere, ma abbiamo trovato i suoi vestiti... gli abiti che indossava quel giorno. Che ne dice?
– Mancano altri indumenti da casa?
– No, il suo maggiordomo è sicurissimo. Il resto del guardaroba è intatto. Ma c’è dell’altro. Abbiamo arrestato Lowen. Una delle cameriere dice che, mentre stava chiudendo le finestre delle camere da letto, ha visto Lowen andare verso lo studio attraverso il roseto, all’incirca alle sei e un quarto. Quindi una decina di minuti prima che lasciasse la casa.
– Che cosa ne dice Lowen?
– Prima ha negato di aver mai lasciato lo studio, ma la cameriera ne era sicura, e allora ha ammesso di essere uscito dalla porta finestra per guardare un’insolita specie di rose. Una storia che non regge! E stanno venendo fuori altre prove contro di lui. Il signor Davenheim portava sempre un grosso anello d’oro con un diamante al mignolo della mano destra. Bene, questo anello è stato impegnato sabato sera a Londra, da un tizio che si chiama Billy Kellett! La polizia lo conosce bene perché è stato in carcere per tre mesi, l’autunno scorso; aveva rubato l’orologio di un vecchio signore. Sembra che abbia tentato di impegnare l’anello in cinque posti diversi e che ci sia riuscito solo nell’ultimo; poi si è preso un’enorme sbronza, ha aggredito un agente di polizia e quindi è stato arrestato. Sono andato con Miller in Bow Street e l’ho visto. Adesso è abbastanza sobrio e devo ammettere che l’abbiamo un po‘ spaventato, dicendogli che potrebbe essere accusato di omicidio. Così ci ha raccontato una storia piuttosto strana. Sabato è andato alle corse di Enfield, anche se a interessarlo non erano le scommesse, ma i portafogli degli scommettitori. Comunque la giornata gli è andata male, è stato sfortunato. Camminava lungo la strada per Chingside e si è seduto in un fosso per riposarsi, prima di arrivare in paese. Qualche minuto dopo ha visto un uomo sopraggiungere lungo la strada che porta al villaggio «un signore dalla pelle scura, con grandi baffi, un elegantone di città» così lo ha descritto. Kellett era seminascosto da un mucchio di pietre. Poco prima di arrivargli vicino l’uomo si è guardato attorno rapidamente e, siccome la strada sembrava deserta, ha preso un piccolo oggetto dalla tasca e l’ha gettato al di là della siepe. Poi ha proseguito verso la stazione. Cadendo, l’oggetto aveva mandato un lieve tintinnio, suscitando la curiosità di Billy Kellett, che ha cominciato a guardarsi attorno e dopo un po‘ ha scoperto l’anello! Questa è la storia che racconta lui. Lowen nega, naturalmente, ed è chiaro che un tipo come Kellett non è granché attendibile, perché esiste il legittimo dubbio che, incontrato Davenheim sul vialetto, lo abbia derubato e ucciso. Poirot scosse la testa. – Molto improbabile, mon ami. Non aveva modo di liberarsi del cadavere. A quest’ora sarebbe stato ritrovato. Inoltre, il fatto che abbia tranquillamente impegnato l’anello fa ritenere assai improbabile che abbia ucciso qualcuno per impadronirsene. In terzo luogo, un ladro raramente è un assassino. In quarto luogo, è in prigione da sabato e sarebbe una coincidenza troppo strana che sia in grado di descrivere Lowen così bene.
Japp annuì.
– Può darsi che lei abbia ragione, però non credo che una giuria prenderà sul serio la prova fornita da un ex carcerato. Però mi sembra strano che Lowen non sia riuscito a trovare un modo migliore per liberarsi dell’anello.
– E poi, perché toglierlo al cadavere? – chiesi.
– Potrebbe esserci un buon motivo – rispose Japp. – Sapete che oltre il lago c’è un cancelletto e che, a piedi, in pochi minuti si arriva... figuratevi... a un forno per la calce.
– Santo cielo! – esclamai. – Vuol dire che la calce potrebbe aver distrutto il cadavere ma non l’anello?
– Esattamente.
– Mi sembra – dissi – che questo spieghi tutto. Che orribile delitto! Ci voltammo entrambi a guardare Poirot che sembrava assorto, le sopracciglia aggrottate, come se fosse impegnato in un violento sforzo mentale. Avevo l’impressione che finalmente la sua acuta intelligenza stesse per avere la meglio. Che cosa stava per dirci? Non ci lasciò a lungo nel dubbio. Con un sospiro, si rilassò e chiese a Japp: – Ha idea, amico mio, se il signore e la signora Davenheim dormissero nella stessa camera da letto?
La domanda sembrava così assurda che per un attimo Japp e io lo fissammo in silenzio. Poi Japp scoppiò a ridere. – Santo cielo, monsieur Poirot, me lo immaginavo che sarebbe venuto fuori con qualcosa di sbalorditivo. Però devo risponderle che non lo so.
– Potrebbe verificarlo? – chiese Poirot con strana insistenza.
– Oh, certo, se proprio vuole saperlo.
– Merci, mon ami. Le sarò molto obbligato, se me lo farà sapere. Japp lo guardò ancora per qualche minuto, ma Poirot sembrava essersi dimenticato di noi.
L’ispettore scosse tristemente la testa e mi sussurrò:
– Povero amico! La guerra è stata troppo, per lui! – E se ne andò in punta di piedi.
Dato che Poirot sembrava assorto in un sogno a occhi aperti, presi un foglio di carta e mi divertii a scarabocchiare qualche appunto. La voce del mio amico mi fece sussultare. Era uscito dalle sue fantasticherie e sembrava sveglio e attento.
– Che sta facendo, amico mio?
– Stavo annotando i punti più interessanti di questa faccenda.
– Finalmente è diventato metodico! – commentò Poirot in tono di approvazione.
Nascosi il mio compiacimento. – Vuole che glieli legga?
– Senz’altro.
Mi schiarii la gola. – Uno: tutte le prove indicano che Lowell ha forzato la cassaforte. Due: ce l’aveva con Davenheim. Tre: in principio ha mentito, dichiarando di non aver mai lasciato lo studio. Quattro: se quel che dice Billy Kellett è vero, Lowen è senz’altro implicato.
– Mi interruppi. – E allora? – chiesi, perché mi sembrava di aver elencato i punti essenziali.
Poirot mi guardò con compatimento e scosse la testa.
– Mon pauvre ami, lei proprio non è portato! Non capisce mai qual è il particolare importante, e per di più il suo modo di ragionare è sbagliato.
– Perché?
– Prendiamo questi quattro punti. Uno: il signor Lowen non poteva sapere che avrebbe avuto la possibilità di aprire la cassaforte. Era venuto per una discussione di affari, non poteva sapere che il signor Davenheim si sarebbe assentato per andare a imbucare una lettera e che, di conseguenza, lui sarebbe rimasto solo nello studio! – Sì, ma avrebbe potuto approfittare dell’occasione – suggerii.
– E gli attrezzi? Secondo lei uno si porta sempre dietro gli attrezzi da scasso, nel caso capiti un’occasione del genere? E, bien entendu, quella cassaforte non si apre con un temperino!
– Bene, e allora passiamo al numero due.
– Lei dice che Lowen ce l’aveva con Davenheim. Ma noi sappiamo che una o due volte ha avuto la meglio su di lui in qualche affare. E non si porta rancore a un uomo che si è sconfitto, è più probabile
che succeda il contrario. Caso mai doveva essere il signor Davenheim, ad avercela con Lowen.
– Non può negare che ha mentito quando ha detto di non aver mai lasciato lo studio, vero?
– No, ma può darsi che fosse spaventato. Ricordi, erano appena stati scoperti i vestiti dell’uomo scomparso. Ovviamente, come al solito, avrebbe fatto meglio a dire la verità.
– E il quarto punto?
– Questo glielo concedo. Se la storia di Kellett è vera, Lowen è coinvolto; è questo che rende la cosa così interessante.
– Allora sono riuscito a capire un punto essenziale!
– Forse... ma ha completamente trascurato i due punti più importanti. Quelli che racchiudono l’indizio per scoprire tutta la verità.
– E quali sono, per favore?
– Uno, la passione per i gioielli dimostrata dal signor Davenheim in questi ultimi anni. Due, il suo viaggio a Buenos Aires nello scorso autunno.
– Poirot, sta scherzando?
– Sono serissimo. Ah maledizione, spero che Japp non si dimentichi della mia piccola commissione.
Ma l’ispettore se ne era ricordato così bene che verso le undici del giorno successivo Poirot ricevette un telegramma. Su sua richiesta lo aprii e lo lessi a voce alta: – “Marito e moglie dall’inverno scorso occupavano stanze separate.”
– Ah! – esclamò Poirot. – E ora siamo a metà giugno! È tutto risolto.
Lo guardai con tanto d’occhi.
– Ha del denaro depositato alla Banca Davenheim e Salmon, mon ami?
– No – risposi, perplesso. – Perché?
– Perché altrimenti le avrei consigliato di ritirarlo... prima che sia troppo tardi.
– Perché, che cosa si aspetta?
– Mi aspetto un grosso tracollo tra pochi giorni, forse anche prima. Il che mi fa venire in mente che dobbiamo ricambiare la cortesia di Japp, e in fretta. Una matita, per favore. Ecco il testo del telegramma: “Le consiglio ritirare eventuale denaro depositato presso la banca in questione. ” La cosa lo renderà perplesso, il buon Japp! Non capirà assolutamente nulla fino a domani... o a dopodomani!
Io continuavo a essere scettico, ma il giorno dopo fui costretto a rendere il dovuto omaggio alle notevoli capacità del mio amico. Su tutti i giornali c’erano titoli a caratteri cubitali che annunciavano il sensazionale fallimento della banca Davenheim. La scomparsa del famoso finanziere assumeva un aspetto del tutto diverso, alla luce delle condizioni finanziarie della banca.
Non eravamo ancora a metà della prima colazione quando la porta si spalancò ed entrò Japp. Nella mano sinistra aveva un giornale, in quella destra il telegramma di Poirot. Sbatté il tutto sul tavolo, davanti al mio amico. – Come ha fatto a saperlo, monsieur Poirot? Come diavolo ci è riuscito?
Poirot gli fece un sorriso placido. – Ah, mon ami, ho raggiunto la certezza dopo il suo telegramma! Fin dall’inizio, vede, ho pensato che il furto fosse piuttosto importante. Gioielli, denaro in contanti, titoli al portatore, tutto così accuratamente predisposto... per chi? Poi la improvvisa passione di monsieur Davenheim per i gioielli! Semplicissimo. Ha convertito in pietre preziose il denaro di cui si è appropriato alla banca, e ha depositato in luogo sicuro, sotto un altro nome, un patrimonio considerevole che avrebbe potuto godersi a tempo debito, dopo aver fatto perdere le sue tracce. Portato a termine questo piano prende appuntamento con il signor Lowen (che in passato è stato abbastanza imprudente da attraversare una o due volte la strada del grand’uomo), forza la cassaforte, e dà ordine che l’ospite sia introdotto nello studio, poi esce di casa per andare... dove? – Poirot si interruppe, tese la mano per prendere un altro uovo sodo e, aggrottando la fronte, mormorò: – È davvero insopportabile che ogni gallina deponga un uovo di misura diversa! Che simmetria può esserci sul tavolo della prima colazione? Al negozio dovrebbero preoccuparsi di selezionarle secondo la dimensione!
– Non si preoccupi per le uova – disse Japp, spazientito. – Lasci che le depongano quadrate, se alle galline piace. Piuttosto ci dica dov’è andato il nostro amico quando ha lasciato I Cedri... sempre che lei lo sappia, naturalmente!
– Eh bien, è andato nel suo nascondiglio. Ah, questo monsieur Davenheim! Ci sarà qualche malformazione nelle sue cellule grigie, ma bisogna dire che sono di prima qualità.
– Sa dove si nasconde?
– Certo, ha avuto un’idea molto ingegnosa.
– Per amor di Dio, allora ce lo dica!
Poirot raccolse delicatamente tutti i frammenti di guscio dal piatto, li mise nel portauovo e vi posò sopra il guscio vuoto. Effettuata questa piccola operazione ci guardò sorridendo con affetto. – Via, amici, siete intelligenti. Ponetevi la domanda che mi sono posto anch’io: “Se io fossi quell’uomo, dove mi nasconderei?” Hastings, lei che ne dice?
– Be‘ – risposi – penso che resterei a Londra, mi sposterei in autobus e con la sotterranea e scommetto dieci contro uno che non sarei riconosciuto. Nella folla si è al sicuro.
Poirot si rivolse con espressione interrogativa verso Japp.
– Non sono d’accordo. Sparire subito è l’unica probabilità di farcela. Avrei tenuto pronto un panfilo con i motori accesi e me la sarei filata in uno degli angoli più remoti del mondo, prima che scoppiasse il pandemonio!
Guardammo entrambi Poirot: – E lei che ne dice, monsieur?
Per un attimo rimase silenzioso, poi uno stranissimo sorriso gli aleggiò sul volto. – Amici miei, se io volessi sfuggire alla polizia, sapete dove mi nasconderei? In un carcere.
– Come?
– Lei cerca monsieur Davenheim per metterlo in prigione, quindi non si sognerebbe di andare a vedere se è già lì.
– Che intende dire?
– Mi ha detto che madame Davenheim non è una donna molto intelligente. Ma suppongo che se lei la portasse in Bow Street e la mettesse a confronto con Billy Kellett, lo riconoscerebbe! Anche se si è rasato barba, baffi e sopracciglia cespugliose e si è tagliato i capelli molto corti. Una donna riconosce quasi sempre il proprio marito, anche se il resto del mondo si inganna.
– Billy Kellett? Ma è già stato in galera!
– Non le ho detto che Davenheim è un uomo astuto?
Ha preparato il suo alibi molto tempo prima. L’autunno scorso non è stato a Buenos Aires: stava creando il personaggio di Billy Kellett e si faceva tre mesi di carcere, in modo che al momento giusto la polizia non avesse sospetti; ricordi che era in ballo un grosso patrimonio, oltre che la sua libertà. Valeva la pena di fare le cose per bene. Solo che...
– Sì?
– Eh! bien, dopo ha dovuto portare una barba finta e una parrucca per truccarsi da se stesso! E dormire con una barba finta non è facile, si scoprirebbe il trucco troppo facilmente. Non poteva correre il rischio di dividere la stanza con qualcuno. Lei ha appurato che negli ultimi sei mesi i signori Davenheim hanno occupato stanze separate. A questo punto ho avuto la certezza, tutto combaciava. Il giardiniere, che ha detto di aver visto qualcuno fare il giro della casa, aveva ragione; infatti il nostro amico è andato al capanno delle barche, ha indossato gli abiti da vagabondo che ci aveva nascosto, ha buttato gli altri nel lago ed è diventato Billy Kellett. Poi ha impegnato l’anello in modo da farsi notare e ha aggredito un poliziotto, per farsi condurre al sicuro nel carcere di Bow Street, dove nessuno si sarebbe sognato di cercarlo!
– È impossibile – mormorò Japp.
– Lo metta a confronto con la moglie – disse il mio amico sorridendo.
Il giorno successivo, accanto al piatto di Poirot c’era una raccomandata.
Quando aprì la busta ne svolazzò fuori una banconota da cinque sterline. Il mio amico aggrottò le sopracciglia. – Ah, ma che me ne faccio? Ho molti rimorsi. Ce pauvre Japp. Ah, ho un’idea. Faremo una cena, noi tre! Questo mi consola, è stato davvero troppo facile, me ne vergogno. Io, che non deruberei un bambino... perbacco! Mon ami... che cosa avete da ridere così?