L’avventura del dolce di natale
– Sono davvero spiacente... – disse Hercule Poirot.
Ma venne immediatamente interrotto. Un’interruzione delicata, abile, conciliante piuttosto che polemica.
– La prego, monsieur Poirot. Non rifiuti per una questione di principio. Questo è un problema di Stato. La sua collaborazione sarà molto apprezzata nelle alte sfere.
– Lei è troppo gentile – Hercule Poirot fece un cenno vago con la mano – ma non me la sento, sul serio, di assumere l’incarico. In questa stagione...
Di nuovo il signor Jesmond lo interruppe.
– E Natale – disse, persuasivo. – Non la attira un Natale all’antica nella campagna inglese?
Hercule Poirot rabbrividì. Il pensiero della campagna inglese in quella stagione non aveva la minima attrattiva, per lui.
– Un bel Natale, come si usava celebrarlo nei tempi andati! – Il signor Jesmond ribadì il concetto.
– Io... ecco, io non sono inglese – disse Hercule Poirot. – Nel mio paese il Natale è la festa dei bambini! Noi adulti festeggiamo il Capodanno.
– Ah! – esclamò il signor Jesmond – ma il Natale in Inghilterra è un’autentica istituzione, e le assicuro che a Kings Lacey ne conoscerà gli aspetti migliori. Si tratta di una stupenda casa antica, sa? Si figuri che un’ala dell’edificio risale al quattordicesimo secolo.
Poirot rabbrividì di nuovo. Il pensiero di una storica residenza inglese, che risaliva al quattordicesimo secolo, lo riempiva di apprensione. Gli era capitato troppe volte di soffrire il freddo, in certe case di campagna della vecchia Inghilterra! Lanciò un’occhiata compiaciuta intorno a sé: il suo era un appartamento accogliente e moderno, con i termosifoni e tutti gli accorgimenti per evitare la minima corrente d’aria.
– D’inverno – disse con fermezza – io non lascio mai Londra.
– Ho l’impressione, monsieur Poirot, che lei non abbia ben compreso: si tratta di una faccenda molto seria.
Il signor Jesmond lanciò un’occhiata al suo compagno, e poi di nuovo a Poirot.
Il secondo visitatore fino a quel momento non aveva detto niente, all’infuori di un educato “Piacere”. Adesso se ne stava seduto con lo sguardo fisso sulle proprie lucidissime scarpe e un’espressione profondamente avvilita sulla faccia color caffè. Era un giovanotto che non doveva avere più di ventitré anni e sembrava molto depresso.
– Sì, sì – disse Poirot. – Certo che la faccenda è seria. Me ne rendo perfettamente conto. Sua Altezza ha tutta la mia più sincera simpatia.
– La situazione è della massima delicatezza – disse il signor Jesmond.
Poirot spostò lo sguardo dal giovanotto al suo compagno più anziano. Volendo definire il signor Jesmond con una sola parola, questa sarebbe stata “discrezione”. Tutto in lui era discreto. Gli abiti di ottimo taglio ma non vistosi, la voce garbata dall’accento impeccabile, i capelli castano chiaro che cominciavano a diradarsi alle tempie, la faccia pallida e seria. Hercule Poirot aveva l’impressione di averne conosciuti non uno, ma almeno una dozzina, di uomini come il signor Jesmond, e tutti prima o poi avevano usato la medesima frase... “una situazione della massima delicatezza”.
– La polizia – intervenne Hercule Poirot – sa essere davvero discreta, lo sa?
Il signor Jesmond scosse la testa con fermezza. – La polizia? No – disse. – Per recuperare... ehm... quello che vogliamo recuperare bisognerebbe procedere per vie legali, e sappiamo tanto poco! Sospettiamo, ma non sappiamo.
– Avete tutta la mia comprensione – ripetè ancora Hercule Poirot. Se si illudeva che la sua comprensione potesse bastare, si sbagliava. I suoi visitatori non volevano simpatia o comprensione: ma un aiuto concreto.
Il signor Jesmond ricominciò a parlare delle delizie di un Natale all’inglese.
– L’autentico Natale di un tempo sta scomparendo – disse. – La gente ormai va a trascorrerlo in albergo. Ma un Natale all’inglese con tutta la famiglia riunita, i bambini, le calze appese al camino, l’albero, il tacchino e il dolce tradizionale, i petardi con la sorpresa, l’uomo di neve fuori dalla finestra...
Poirot puntualizzò, per amor di esattezza: – Per fare un uomo di neve, ci vuole la neve – osservò in tono severo. – E nessuno può avere la neve su ordinazione.
– Proprio oggi parlavo con un amico dell’ufficio meteorologico – disse il signor Jesmond – e mi diceva che, molto probabilmente, a Natale ci sarà la neve.
Dirlo fu un errore, perché Hercule Poirot rabbrividì ancor più violentemente.
– La neve in campagna! – esclamò. – E doversi rintanare in una grande e antica casa di gelida pietra!
– Niente affatto – disse il signor Jesmond. – Negli ultimi dieci anni le cose sono molto cambiate. Adesso c’è il riscaldamento centrale a gasolio.
– Hanno il riscaldamento centrale, a Kings Lacey? – domandò Poirot; per la prima volta sembrò indeciso.
Il signor Jesmond colse al volo l’occasione.
– Sì, proprio così – disse – un’autentica meraviglia. Acqua calda e termosifoni in ogni camera da letto. Le garantisco, monsieur Poirot, che d’inverno Kings Lacey è straordinariamente confortevole. Potrebbe addirittura trovare la casa troppo calda.
– È estremamente improbabile – disse Poirot.
Con l’abilità acquisita grazie a una lunga pratica, il signor Jesmond spostò cautamente il discorso su un altro argomento. – So che lei, monsieur Poirot, è in grado di valutare a fondo il terribile dilemma in cui ci troviamo – disse in tono confidenziale.
Hercule Poirot annuì. Il problema, effettivamente, non era affatto simpatico. Un giovane principe, unico figlio dell’uomo che governava un ricco e importante stato orientale, era arrivato a Londra poche settimane prima. Il suo Paese stava attraversando un periodo di inquietudine e malcontento. Pur restando fedele al padre, il cui modo di vivere era del tutto tradizionale, l’opinione pubblica si mostrava piuttosto dubbiosa nei confronti del suo erede: le sue follie tipicamente occidentali erano vivamente disapprovate.
Poco tempo prima, tuttavia, era stato annunciato il fidanzamento del giovane con la cugina, una donna della sua stessa famiglia, che, pur essendo stata educata a Cambridge, badava a non dimostrare la minima inclinazione per l’Occidente, per lo meno in pubblico. Una volta fissata la data delle nozze, il giovane principe era partito per l’Inghilterra, portando con sé una parte dei gioielli di famiglia perché venissero montati da Cartier in modo più moderno. Tra questi c’era anche un famosissimo rubino che il celebre gioielliere aveva rimosso dalla massiccia e antiquata collana cui apparteneva, per incastonarlo in una nuova montatura. Fin qui, tutto bene. Ma a questo punto si era verificata una difficoltà imprevista.
Era più che comprensibile che un giovanotto ricchissimo e socievole commettesse qualche simpatica follia e, magari, regalasse all’amichetta del momento un bracciale di smeraldi o una spilla di brillanti (suo padre, del resto, non aveva forse l’abitudine di offrire una Cadillac alla favorita di turno?). Quanto a questo, niente da dire. Tutti sanno che i giovani amano divertirsi.
Ma il principe era andato molto più in là, con le sue imprudenze. Lusingato dall’interesse della ragazza, le aveva mostrato il famoso rubino nella nuova montatura ed era arrivato al punto di acconsentire, piuttosto stupidamente, alla richiesta di lasciarglielo portare... solo per una sera!
La ragazza si era allontanata da tavola mentre erano a cena, per andare a incipriarsi il naso. Era passato un po‘ di tempo. Lei non era tornata. Aveva lasciato il locale da un’altra uscita e, da quel momento, era sparita. Il guaio era che il rubino era sparito con lei. Se la cosa si fosse risaputa, le conseguenze sarebbero state tragiche. Il rubino non era semplicemente una gemma di valore, ma aveva una grande importanza storica e simbolica; le circostanze della sua sparizione, inoltre, erano tali che rendere pubblica la faccenda avrebbe potuto provocare gravi problemi politici.
Il signor Jesmond non era uomo da esporre tutto ciò con un linguaggio semplice e diretto. Anzi, l’aveva presa piuttosto larga. Hercule Poirot non sapeva con esattezza chi fosse il signor Jesmond. Nel corso della sua carriera, però, ne aveva conosciuti molti come lui. Non era chiaro se fosse legato al ministero degli Interni, a quello degli Esteri oppure a qualche altro ramo, più discreto, degli uffici governativi. Ma agiva nell’interesse del Commonwealth. Il rubino doveva essere ritrovato.
E il signor Poirot, aveva garbatamente insistito il signor Jesmond, era l’unico uomo capace di ritrovarlo.
– Forse... sì – ammise Hercule Poirot. – Ma lei ha così poco da raccontarmi! Suggerimenti... sospetti... non è molto!
– Andiamo, monsieur Poirot! Sono sicuro che l’incarico non va al di là delle sue capacità! Via, non ci credo!
– Non sempre ho fortuna.
Ma la sua era falsa modestia. Dal tono di Poirot, era fin troppo chiaro che per lui occuparsi di un caso significava risolverlo con successo.
– Sua Altezza è molto giovane – disse il signor Jesmond. – Sarebbe triste che tutto il suo futuro venisse compromesso da un’azione sconsiderata commessa in gioventù!
Poirot guardò con aria gentile l’avvilito giovanotto.
– Le follie si fanno quando si è giovani – disse incoraggiante – e per un giovanotto qualsiasi non hanno tutta questa importanza. C’è papà pronto a pagare; l’avvocato di famiglia aiuta a risolvere le difficoltà, il giovanotto impara dall’esperienza e tutto finisce per il meglio. In una posizione come la sua, è brutto davvero! Il suo prossimo matrimonio...
– Proprio così. Ecco, si tratta di quello, precisamente. – Per la prima volta, le parole uscirono a fiotti dalla bocca del giovanotto. – Vede, la mia fidanzata è molto, molto seria. Prende la vita molto seriamente. A Cambridge ha assorbito molte idee serie. Pensa che nel mio Paese dovranno esserci l’istruzione, le scuole e molte altre cose. Tutto in nome del progresso, capisce, e della democrazia. Non sarà più, dice lei, com’era ai tempi di mio padre. Naturalmente sapeva che, a Londra, mi sarei divertito e mi sarei tolto qualche capriccio, ma... lo scandalo, no. No! È lo scandalo che mi preoccupa.
Vede, questo rubino è molto, molto famoso. Ha una lunga storia alle spalle. Molto sangue è stato sparso... e molti sono morti!
– Morti – mormorò Hercule Poirot soprappensiero. Guardò il signor Jesmond. – C’è da sperare – disse poi – che non si arriverà a questo?
Il signor Jesmond emise uno strano gorgoglio, come una gallina che ha deciso di fare l’uovo e poi improvvisamente ci ha ripensato. – No, no assolutamente – disse, in tono piuttosto altezzoso. – Assolutamente no. Sono certo che non è una questione di quel genere.
– Non si può mai essere sicuri – sentenziò Hercule Poirot. – Chiunque abbia il rubino, adesso... Può sempre esserci qualcun altro che aspira a possederlo e che non si fermerebbe davanti a niente, caro amico.
– Non credo proprio – insistette il signor Jesmond, più altezzoso che mai – che sia il caso di fare simili congetture. Assolutamente inutili.
– Io – disse Hercule Poirot, con aria improvvisamente sostenuta – io esploro tutte le strade, come gli uomini politici.
Il signor Jesmond lo guardò dubbioso. Poi, riscuotendosi, disse: – Bene, allora posso concludere che siamo d’accordo, signor Poirot? Andrà a Kings Lacey?
– E come spiegherò la mia presenza lì? – domandò Hercule Poirot. Il signor Jesmond sorrise, sicuro di sé. – Questo dettaglio, credo, potrà essere risolto facilmente – disse. – Le assicuro che sembrerà tutto molto naturale. Troverà incantevoli i Lacey. Sono persone davvero adorabili.
– E non mi ha ingannato a proposito del riscaldamento centrale?
– No, assolutamente no. – Il signor Jesmond sembrò molto dispiaciuto del sospetto. – Le assicuro che troverà tutte le comodità!
– Tout confort moderne – mormorò Poirot tra sé, nel tono di chi rievoca qualcosa. – Eh bien! – finì col dire – accetto.
Nel lungo salotto di Kings Lacey la temperatura era davvero confortevole, mentre Hercule Poirot chiacchierava piacevolmente con la signora Lacey, seduto vicino a una delle grandi finestre.
La signora stava cucendo. Non era impegnata nel piccolo punto o in un ricamo di fiori colorati su seta, ma nel prosaico compito di orlare gli strofinacci per i piatti. Mentre cuciva, chiacchierava con una voce dolce e riflessiva che Poirot trovava incantevole. – Spero che le piacerà la nostra festa di Natale, signor Poirot. Siamo soltanto noi di famiglia, sa? La mia nipotina, mio nipote e un suo amico, e Bridget che è la mia bis-nipotina; poi c’è Diana, una cugina, con David Welwyn, un vecchio amico. Solo le persone di famiglia, insomma. Ma Edwina Morecombe ci ha detto che lei voleva proprio questo. Un Natale all’antica. Niente potrebbe essere più all’antica di noi! Mio marito vive nel passato. Gli piace che tutto sia esattamente com’era quando lui aveva dodici anni, e veniva qui per le vacanze. – Sorrise. – Le stesse vecchie cose, l’albero di Natale e le calze appese al camino, la zuppa di ostriche, un tacchino lesso e uno arrosto, il dolce con l’anello e il bottone dello scapolo nascosti dentro, e via dicendo. Non ci mettiamo le monetine da sei pence perché non sono più d’argento. Ma c’è ancora, come in passato, il dessert a base di prugne Elvas, prugne di Carlsbad, mandorle, uva passa, frutta candita e pan pepato.
– Lei solletica i miei succhi gastrici, madame!
– Immagino che domani sera a quest’ora avremo fatto una tremenda indigestione – disse la signora Lacey. – Non siamo più abituati a mangiare tanto come una volta, vero?
Venne interrotta da grandi scrosci di risate e da grida che venivano dall’esterno. Lanciò un’occhiata attraverso i vetri della finestra.
– Non so cosa stiano facendo, là fuori. Suppongo che giochino. Ho sempre avuto paura che ai ragazzi non piacesse, trascorrere il Natale qui. Invece è proprio il contrario. Mio figlio, mia figlia e i loro amici dicevano che erano tutte stupidaggini e che sarebbe stato molto meglio andare a ballare in qualche albergo. Ma sembra che alla nuova generazione i festeggiamenti tradizionali piacciano moltissimo. E poi – continuò la signora Lacey in tono pratico – i ragazzi che vanno a scuola hanno sempre appetito, non è vero? Sono convinta che gli facciano soffrire la fame, in quei collegi. In fondo, lo sappiamo tutti che i ragazzi di quell’età mangiano come tre uomini robusti!
Poirot scoppiò a ridere e disse: – Siete stati gentilissimi, lei e suo marito, a includermi con tanta simpatia nella vostra festa di famiglia.
– Oh, siamo felicissimi di averla qui! – disse la signora Lacey. – E se Horace le sembrerà un po‘ burbero – continuò – non ci faccia caso. È soltanto il suo modo di fare.
In realtà, il colonnello Lacey aveva detto: – Non riesco a capire perché vuoi invitare uno di quei maledetti stranieri, proprio a Natale. Non può venire un’altra volta? Non li sopporto, gli stranieri! E va bene, va bene, Edwina Morecombe ha chiesto se poteva mandarcelo. Ma cosa c’entra lei? E perché non lo ha invitato a casa sua, per Natale?
– Perché sai benissimo che Edwina va sempre al Claridge – aveva ribattuto la signora Lacey.
Suo marito le aveva lanciato un’occhiata penetrante e aveva detto: – Non starai combinando qualcosa, vero, Em?
– Combinando qualcosa? – aveva risposto lei spalancando due occhi azzurrissimi. – No, naturalmente. Perché mai?
Il vecchio colonnello Lacey era scoppiato in una risata tonante: – Oh, non mi stupirebbe affatto, Em – aveva risposto. – Quando prendi un’aria così innocente, stai sempre combinando qualcosa! Ripensando a tutto questo, la signora Lacey proseguì: – Edwina mi aveva detto che, forse, lei avrebbe potuto aiutarci... Ha detto che lei, una volta, si era occupato per certi suoi amici di... di un caso vagamente simile al nostro. Io... ecco... forse non sa di che cosa sto parlando?
Poirot la guardò con aria incoraggiante. La signora Lacey era vicina alla settantina, dritta come un bastone, con i capelli candidi come la neve, le guance rosee, gli occhi azzurri, un nasino spiritoso e il mento risoluto.
– Se c’è qualcosa che posso fare, ne sarò lietissimo – disse Poirot. – A quanto ho capito, si tratta della disgraziata infatuazione di una ragazza.
La signora Lacey annuì. – Sì, sembra incredibile che io voglia parlarne proprio con lei. In fondo, è un perfetto sconosciuto...
– E straniero, per giunta – aggiunse Poirot, comprensivo.
– Sì – ammise la signora Lacey. – Ma, in un certo senso, questo semplifica le cose. Ad ogni modo, Edwina sembrava del parere che, forse, lei potrebbe sapere qualcosa... come posso dire?... qualcosa sul conto del giovane Desmond Lee-Wortley.
Poirot non rispose subito ma fece una pausa, ammirando l’ingegnosità del signor Jesmond e l’abilità con la quale si era servito di lady Morecombe per i propri scopi.
– Mi sembra di capire – cominciò con delicatezza – che il giovanotto non ha una reputazione delle migliori, vero?
– No, affatto! Anzi, pessima! Ma sembra che a Sarah non importi affatto. Di solito non serve mai, vero?, dire alle ragazze che certi uomini hanno una cattiva reputazione. Anzi, le fa intestardire ancora di più!
– Come ha ragione – disse Poirot.
– Quando ero giovane – continuò la signora Lacey -... oh, povera me, quanto tempo è passato da allora!... anche noi venivamo messe in guardia contro certi giovanotti e, naturalmente, questo non faceva che renderli più interessanti; facevamo di tutto per ballare con loro, oppure per incontrarli a quattr’occhi nel buio della sera... – Si mise a ridere. – Ecco perché non ho voluto che Horace facesse a modo suo.
– Mi dica – chiese Poirot – cos’è esattamente che vi preoccupa?
– Nostro figlio è stato ucciso in guerra – disse la signora Lacey. – E mia nuora è morta dando alla luce Sarah, così lei è sempre rimasta con noi, l’abbiamo cresciuta. Forse non l’abbiamo fatto nel modo più saggio... non lo so. Ma abbiamo sempre pensato che era meglio concederle la massima libertà possibile.
– È consigliabile, credo – disse Poirot. – Non si può andare contro lo spirito dei tempi.
– No – rispose la signora Lacey. – È proprio quello che pensavo anch’io. E poi, oggi, le ragazze fanno cose di questo genere.
Poirot la guardò con aria interrogativa.
– Credo che potrei esprimermi così – disse la signora Lacey. – Vede, Sarah si è messa a frequentare gente di quart’ordine, diciamo. Non va ai balli, non vuole essere presentata in società. Abita in due brutte stanzette a Chelsea, giù vicino al fiume, e si mette quei buffi vestiti che piacciono tanto a quelle del suo gruppo, e calze nere oppure verde prato. Molto pesanti. Chissà come pizzicano, ho sempre pensato! E va in giro senza pettinarsi o lavarsi i capelli.
– È la moda del momento – disse Poirot. – Poi cassa.
– Sì, lo so – disse la signora Lacey. – E infatti tutto questo non mi preoccupa. Ma, vede, ora è innamorata di Desmond Lee-Wortley, e lui ha proprio una reputazione antipatica: vive alle spalle delle ragazze ricche. Sembra che perdano la testa per lui. C’è mancato poco che non sposasse la figlia degli Hope, ma i suoi sono riusciti a metterla sotto tutela per mezzo del tribunale o qualcosa del genere. Naturalmente è proprio quello che vorrebbe fare Horace. Dice che è necessario, per proteggerla. Io, invece, signor Poirot, non sono convinta che sia una buona idea. Finirebbero semplicemente per scappare in Scozia o in Irlanda o in Argentina o chissà dove, a sposarsi oppure a vivere insieme senza essere sposati. E non sarebbe affatto una soluzione, le pare? Specialmente se ci fosse in viaggio un bambino. Perché allora finiremmo per arrenderci e lasciarli sposare. E poi, quasi sempre, dopo un anno o due c’è il divorzio. Così la ragazza se ne ritorna a casa e, passato un altro paio di anni, sposa un ragazzo talmente a posto da essere addirittura noioso, e si sistema. A me sembra, però, che sia tremendamente triste, se c’è di mezzo un bambino, perché non è la stessa cosa essere cresciuto da un patrigno, per quanto bravo e buono. No, credo che sarebbe molto meglio se facessimo come quando io ero giovane. Voglio dire, il primo giovanotto di cui ci si innamorava non era mai una persona raccomandabile. Ricordo di aver avuto una vera e propria passione per un ragazzo che si chiamava... be‘, come si chiamava?... che strano, non riesco neanche a ricordarmi il suo nome! Tibbitt, ecco. Il giovane Tibbitt. Naturalmente, mio padre gli aveva proibito di entrare in casa nostra, però io e lui venivamo sempre invitati alle stesse feste, e ballavamo insieme. Qualche volta andavamo a sederci in un angolino, da soli, e di tanto in tanto i nostri amici organizzavano qualche picnic al quale andavamo tutti e due. Naturalmente, era tutto molto emozionante e proibito e ci si divertiva enormemente. E così, dopo un po‘, il signor Tibbitt cominciò a diventare meno interessante. Sa che, rivedendolo quattro anni dopo, mi sono chiesta che cosa mai ci avevo trovato? Mi sembrava un giovanotto così noioso!
– Si pensa sempre che i giorni della propria gioventù siano stati i migliori – disse Poirot, un po‘ sentenzioso.
– Lo so – rispose la signora Lacey. – Che noia, vero? E io non voglio essere noiosa. Però, non voglio neppure che Sarah, una così cara ragazza, finisca per sposare Desmond Lee-Wortley. Erano così buoni amici, lei e David Welwyn, così affezionati l’uno all’altro, che Horace e io speravamo di vederli sposati. Invece adesso lei lo trova noioso, ed è completamente infatuata di questo Desmond.
– Non capisco del tutto, madame – disse Poirot. – Adesso è qui in casa come ospite, questo Desmond Lee-Wortley?
– Quella è stata un’idea mia – disse la signora Lacey. – Horace voleva semplicemente impedirle di vederlo e cose simili. Gli ho detto che era proprio l’atteggiamento sbagliato! «No» gli ho detto. «Invitalo qui, alla festa di Natale, con tutta la famiglia.» Naturalmente, mio marito ha ribattuto che ero pazza! Ma io ho detto: «Proviamo, almeno. Facciamo in modo che lo veda nella nostra atmosfera e nella nostra casa, e chissà che, magari, lui non le sembri più così interessante!»
– Credo che non sia stata una cattiva idea, madame! – disse Poirot. – Mi pare che il suo punto di vista sia molto saggio. Più saggio di quello di suo marito.
– Speriamo! – rispose dubbiosa la signora Lacey. – Finora sembra che non abbia funzionato. Però, naturalmente, sono qui solo da un paio di giorni. – Una fossetta insospettata si disegnò sulla sua guancia rugosa. – Le confesserò una mia debolezza, signor Poirot. Non posso fare a meno di trovarlo simpatico, quel Desmond. Non voglio dire che mi piaccia sul serio, però devo ammettere di subirne il fascino! Oh, sì, capisco benissimo quello che Sarah trova in lui. Ma io sono abbastanza vecchia e ho sufficiente esperienza per capire che non è affatto un bravo ragazzo. Anche se la sua compagnia mi piace. Per quanto, devo ammettere – aggiunse la signora Lacey, un po‘ meditabonda – che qualcosa di buono ce l’ha anche lui! Ha chiesto se poteva far venire qui sua sorella, che è stata operata di recente. E a lui dispiaceva talmente che trascorresse il Natale in una casa di cura, da domandarci se non sarebbe stato un disturbo troppo grosso farla venire qui. Ha detto che le avrebbe portato i pasti in camera con le sue mani, e via dicendo. Be‘, non trova che sia stato piuttosto carino da parte sua, signor Poirot?
– Rivela una natura premurosa – rispose Poirot, pensieroso – che sembrerebbe quasi in contrasto con il resto del suo carattere.
– Oh, non saprei. Si può voler bene alla propria sorella e allo stesso tempo tentare di fare un colpo grosso sposando una ragazza ricca. E Sarah diventerà molto ricca, non tanto per via di quello che le lasceremo noi, che non sarà moltissimo, perché quasi tutto il nostro patrimonio va a Colin, mio nipote, insieme alla casa. Ma sua madre era ricchissima e Sarah erediterà tutto il suo denaro, il giorno in cui compirà ventun anni. Adesso ne ha solo venti. No, credo che Desmond sia stato molto carino, con sua sorella! Da quello che ho capito, lavora come stenodattilografa... fa la segretaria a Londra. E lui ha mantenuto la parola: le porta in camera il vassoio con i pasti. Non sempre, naturalmente, ma molto spesso. Evidentemente ha qualche lato buono. Con tutto ciò – disse la signora Lacey in tono estremamente deciso – non voglio che Sarah lo sposi.
– Da tutto quello che ho sentito e che mi è stato raccontato – ammise Poirot – sarebbe un vero disastro.
– Crede che le sia possibile aiutarci in qualche modo?
– domandò la signora Lacey.
– Credo che sia possibile, sì – rispose Hercule Poirot – ma non mi sento di promettere troppo. Perché i Desmond Lee-Wortley che popolano questo mondo sono furbi, madame. Tuttavia, non disperi. Forse riuscirò a far qualcosa. Mi ci metterò d’impegno, anzi, se non altro in segno di gratitudine per avermi invitato qui. – Si guardò intorno. – Non è così facile, di questi tempi, festeggiare adeguatamente il Natale!
– No, davvero – sospirò la signora Lacey. Si sporse verso di lui. – Lo sa, signor Poirot, qual è il mio grande sogno... che cosa mi piacerebbe immensamente?
– No. Me lo dica, madame.
– Oh, come vorrei avere una villetta! No, magari non proprio una villetta, ma una casa piccola, moderna, facile da mandare avanti, costruita qui, in un punto del parco... con una cucina modernissima e niente corridoi chilometrici! Tutto sarebbe così facile e semplice!
– Un’idea molto pratica, madame.
– Per me non lo è affatto – disse la signora Lacey. – Mio marito adora questo posto. Gli piace immensamente vivere qui. Non bada ai fastidi, e odierebbe vivere in una casetta moderna!
– Così lei si sacrifica per soddisfare i suoi desideri?
La signora Lacey si raddrizzò. – Non lo considero un sacrificio, signor Poirot – disse. – In tutti questi anni è stato un buon marito e mi ha reso felice, e voglio ricambiarlo per tutto questo!
– E dunque continuerete a vivere qui – disse Poirot.
– Non è poi così scomodo, dopo tutto – sussurrò la signora Lacey. – No, no – si affrettò a dire Hercule Poirot. – Anzi, è comodissimo. Il riscaldamento centrale e l’acqua calda sono perfetti.
– Abbiamo speso un mucchio di soldi per rendere accogliente la casa – disse la signora Lacey. – Siamo riusciti a vendere certi terreni, all’altra estremità del parco, e a un ottimo prezzo. Così abbiamo potuto fare tutte le migliorie possibili.
– Ma la servitù, madame?
– Oh, naturalmente non ci si può aspettare di essere serviti come una volta. Ma dal villaggio vengono diverse persone: due donne al mattino, altre due per preparare il pranzo e rigovernare, e altre ancora alla sera. C’è moltissima gente disposta a lavorare per poche ore al giorno. E per Natale siamo molto fortunati. La mia cara signora Ross viene sempre, per le feste: è un’ottima cuoca, veramente di prim’ordine. Ormai sono dieci anni che è andata in pensione, però non manca mai di aiutarci, nei momenti di emergenza. E poi c’è Peverell.
– Il vostro maggiordomo?
– Sì. Anche lui, ormai, non lavora più e vive in una casetta vicino alla portineria, ma ci è tanto affezionato e insiste sempre per servire in tavola, a Natale. A dire il vero, signor Poirot, sono piuttosto preoccupata perché è così vecchio e gli tremano talmente le mani che, se dovesse portare qualcosa di pesante, lo lascerebbe sicuramente cadere. È un’angoscia guardarlo! E poi ha il cuore malato, e ho sempre paura che si stanchi troppo. Ma ci resterebbe malissimo se non lo lasciassi venire! Sentisse come borbotta quando vede com’è ridotta la nostra argenteria, ma dopo tre giorni che è qui, tutto torna lucido e splendente. Sì, è un caro amico fedele. – Sorrise a Poirot. – Così, vede, siamo pronti per un Natale felice. E tutto bianco, anche! – aggiunse, guardando fuori dalla finestra. – Comincia a nevicare. Ah, stanno rientrando i ragazzi. Deve conoscerli, signor Poirot.
Poirot venne presentato con le dovute cerimonie. Prima a Colin e a Michael, il nipote dei Lacey e il suo compagno di scuola, due simpatici ed educati quindicenni, uno bruno e uno biondo. Poi alla cugina e loro coetanea, la bruna Bridget, che sembrava dotata di una prodigiosa vitalità.
– E questa è mia nipote Sarah – disse la signora Lacey.
Poirot considerò con discreto interesse Sarah, una bella ragazza con una gran chioma rossa arruffata; gli sembrò che avesse una certa aria di sfida, però mostrava di nutrire un sincero affetto per la nonna.
– E questo è il signor Desmond Lee-Wortley.
Il signor Desmond Lee-Wortley portava un maglione di grossa lana da pescatore e un paio di jeans neri, attillatissimi; aveva i capelli piuttosto lunghi e non si riusciva a capire se si fosse fatto la barba, quella mattina. Accanto a lui c’era un giovanotto del tutto diverso, che venne presentato come David Welwyn: un tipo solido e taciturno, con un bel sorriso e l’aspetto di chi ama senz’altro l’acqua e il sapone. Il gruppo comprendeva anche una bella ragazza dall’espressione sensibile, di nome Diana Middleton.
Fu servito il tè, con accompagnamento di panini dolci, pasticcini, tartine e tre diversi tipi di torte. I più giovani lo apprezzarono molto. Il colonnello Lacey arrivò per ultimo, osservando con voce distratta: – Ah, il tè? Oh, sì, il tè.
Ne prese una tazza dalle mani della moglie, si servì di due panini dolci, lanciò un’occhiata severa a Desmond Lee-Wortley e andò a sedersi il più lontano possibile da lui. Era un omone grande e grosso con sopracciglia cespugliose e il viso rosso, cotto dal sole e dalle intemperie. Sembrava quasi un contadino, piuttosto che il padrone di quella grande casa.
– Ha cominciato a nevicare – disse. – Sarà proprio un bianco Natale.
Dopo il tè, il gruppo si disperse.
I due ragazzi e Bridget avevano deciso di andare giù fino al lago, per vedere se era possibile pattinare sul ghiaccio.
– Volevamo farlo già stamattina – disse Colin. – Ma il vecchio Hodgkins ha detto di no. È sempre terribilmente prudente, quello!
– Andiamo a fare quattro passi, David – mormorò dolcemente Diana Middleton.
David esitò per un attimo, gli occhi fissi sulla testa rossa di Sarah, che, in piedi accanto a Desmond Lee-Wortley, gli teneva una mano sul braccio.
– Va bene – disse David Welwyn. – Sì, andiamo.
Diana lo prese sottobraccio e si avviarono verso la porta del giardino. Sarah disse: – Vogliamo andare anche noi, Desmond? Si soffoca, qui in casa.
– E chi ha voglia di camminare? – disse Desmond. – Tiro fuori la macchina. Andiamo fino al Cinghiale Pezzato a bere qualcosa. Sarah esitò per un attimo, prima di rispondere: – Andiamo alla Lepre Bianca di Market Ledbury. È molto più divertente.
Anche se non lo avrebbe ammesso per tutto l’oro del mondo, l’idea di andare al pub del paese non le piaceva affatto. Era troppo in contrasto con le tradizioni di Kings Lacey, le cui donne non avevano mai frequentato il Cinghiale Pezzato. Aveva la sensazione che sarebbe stato come tradire il vecchio colonnello e sua moglie. E perché no?, avrebbe detto Desmond. Per un attimo si sentì esasperata, perché lui avrebbe dovuto capire il suo rifiuto. Non bisognava dare un dispiacere a due adorabili vecchietti come il nonno e la nonna, a meno che non fosse assolutamente necessario! Erano stati molto buoni, in fondo, a lasciarla vivere come voleva e ad accettare che abitasse da sola a Chelsea. Tutto merito di Em, naturalmente. Non fosse stato per lei, chissà le scenate del nonno! Sarah non si faceva illusioni sull’atteggiamento del colonnello. Non era stato certo lui, a invitare Desmond per le feste. Il merito era di Em. La nonna era un vero tesoro.
Desmond andò a prendere la macchina e Sarah fece di nuovo capolino in salotto. – Andiamo a Market Ledbury – disse. – Pensavamo di bere qualcosa alla Lepre Bianca.
C’era un lieve tono di sfida nella sua voce, ma la signora Lacey sembrò non notarlo.
– Bene, cara – rispose – sono sicura che ti divertirai. David e Diana sono andati a fare una passeggiata, invece. Sono così contenta. Credo proprio che sia stata una buona idea, quella di invitare Diana. È così triste restare vedova a soli ventidue anni! Spero proprio che si risposi presto.
Sarah la osservò attentamente: – Cosa stai macchinando, Em?
– Oh, un mio piccolo progetto – rispose tutta allegra la signora Lacey. – Secondo me è proprio la persona che ci vuole per David. So benissimo che era innamorato di te, Sarah, ma a quanto pare non è il tuo tipo. Però non voglio vederlo infelice, e credo che Diana sia l’ideale, per lui.
– Ti metti a combinare matrimoni, Em? – l’accusò Sarah.
– Già – rispose la signora Lacey. – Le vecchie signore lo fanno sempre. Mi pare che a Diana lui piaccia moltissimo. Non trovi che sarebbero una bella coppia?
– Non direi – rispose Sarah. – Diana è troppo... be‘, troppo seria. Credo che David finirebbe per annoiarsi, se si sposassero.
– Bene, vedremo – disse la signora Lacey. – Ad ogni modo tu non lo vuoi, vero, cara?
– No davvero! – ribatté Sarah, troppo precipitosamente. Poi aggiunse, d’impeto: – Ti piace Desmond, vero, Em?
– Sono sicura che dev’essere molto simpatico – disse la signora Lacey.
– Al nonno non piace – disse Sarah.
– Non potevi aspettarti nient’altro, ti sembra? – osservò la signora Lacey, in tono ragionevole. – Però credo che finirà per piacergli, quando si sarà abituato. Non devi fargli fretta, Sarah. I vecchi cambiano idea lentamente, e tuo nonno è piuttosto ostinato.
– Non me ne importa niente di quello che dice o pensa il nonno – replicò Sarah. – Sposerò Desmond quando vorrò!
– Lo so, cara, lo so. Ma cerca di essere realistica. Tuo nonno potrebbe crearti un sacco di guai, lo sai, vero? Non sei ancora maggiorenne. Fra un anno potrai fare quello che vorrai. E mi aspetto che Horace avrà accettato l’idea molto prima di quel giorno. – Tu sei dalla mia parte, vero, cara? – disse Sarah, e buttò le braccia al collo alla nonna, dandole un bacio affettuoso.
– Voglio che tu sia felice – disse la signora Lacey. – Ah! ecco il tuo ragazzo che arriva con la macchina. Sai, mi piacciono quei pantaloni stretti che si portano oggi. Sono molto eleganti... Peccato che mettano in risalto le gambe storte.
Sì, pensò Sarah, effettivamente Desmond aveva proprio le gambe storte, e lei non se n’era mai accorta prima...
– Vai, cara, divertiti – disse la signora Lacey.
La seguì con gli occhi finché non la vide raggiungere la macchina e poi, ricordandosi dell’ospite, si diresse verso la biblioteca. Tuttavia, quando guardò dentro, si accorse che Hercule Poirot stava facendo un piacevole pisolino e, sorridendo tra sé, attraversò l’atrio ed entrò in cucina per confabulare con la signora Ross.
– Vieni, bellezza – disse Desmond. – La tua famiglia ti tiene il muso perché vai al pub? Sono antidiluviani!
– Non hanno detto una parola, invece – disse Sarah con asprezza, salendo in macchina.
– Come mai i tuoi hanno invitato quel tizio straniero? È un detective, vero? Non dirmi che hanno bisogno di lui!
– Oh, non è venuto per un incarico – disse Sarah.
– Edwina Morecombe, la mia madrina, ci ha chiesto di invitarlo. Credo che si sia ritirato dalla professione molto tempo fa.
– Sembra un vecchio ronzino sfiancato...
– Voleva vedere un Natale inglese all’antica, credo – disse Sarah, piuttosto vaga.
Desmond scoppiò in una risata sprezzante. – Un mucchio di scemenze! – disse. – Non capisco come fai a sopportarlo.
Sarah buttò indietro i capelli rossi e sporse aggressivamente il mento. – A me piace! – disse in tono di sfida.
– Non ci credo! Domani tagliamo la corda. Andiamocene a Scarborough o da qualche altra parte.
– No, impossibile.
– Ma perché?
– Li offenderei.
– Oh, cavoli! Sai benissimo che tutte queste stupidaggini sentimentali fanno venire il vomito!
– Forse non mi piacciono alla follia, però... – Sarah si interruppe. Si stava accorgendo, con un certo senso di colpa, che invece aspettava con ansia la celebrazione del Natale. E si vergognava di ammetterlo con Desmond. Secondo lui era da stupidi trovare piacevole il Natale in famiglia. Per un attimo, rimpianse che Desmond fosse venuto a Kings Lacey; anzi, a dire la verità, avrebbe quasi preferito che non ci avesse messo piede. Era molto più divertente vederlo a Londra che non qui, a casa.
Bridget e i ragazzi, intanto, tornavano dal lago e discutevano sul fatto che fosse o no possibile pattinarci sopra. Cominciava a cadere qualche fiocco di neve, e bastava guardare il cielo per prevedere una nevicata abbondante.
– Nevicherà tutta la notte – disse Colin. – Scommetto che la mattina di Natale avremo almeno mezzo metro di neve.
La prospettiva era piacevole.
– Facciamo un pupazzo di neve – disse Michael.
– Oh, Dio – disse Colin – non faccio un pupazzo di neve da... be‘, da quando avevo quattro anni, almeno!
– Secondo me non è così facile – disse Bridget. – Ci vuole una certa abilità.
– Potremmo farlo somigliante al signor Poirot – suggerì Colin. – Con due baffoni finti. Dovrebbero essercene un paio, nella scatola dei costumi di Carnevale.
– Sapete una cosa? – disse Michael pensieroso. – Mi sembra incredibile che Poirot fosse un detective. Con quei baffi, non poteva certo passare inosservato.
– Già – disse Bridget – e non si riesce neanche a immaginarselo mentre cerca indizi con la lente di ingrandimento o rileva le impronte!
– Mi è venuta un’idea – esclamò Colin. – Prepariamogli una sorpresa!
– Cosa vorresti dire? – domandò Bridget.
– Mettiamo in scena un delitto tutto per lui.
– Che idea fantastica! – disse Bridget. – Vuoi dire un cadavere nella neve... roba del genere, insomma?
– Sì. Si sentirebbe come a casa sua, non ti pare?
Bridget scoppiò in una risatina. – Non so se me la sento di arrivare fino a questo punto!
– Se nevica – continuò Colin – avremo uno sfondo perfetto. Un cadavere e tante orme... dovremo progettare la scena con la massima cura, sgraffignare uno dei pugnali del nonno, e soprattutto procurarci il sangue!
I ragazzi si fermarono e, senza badare alla neve che cadeva sempre più fitta, si immersero in una animata discussione.
– Nella vecchia nursery c’è la scatola degli acquerelli. Potremmo mescolare un po‘ di colori per fare il sangue... di un bel rosso lacca, per esempio.
– È un po‘ troppo rosa, secondo me – disse Bridget. – Ci vuole un tocco di ruggine.
– Chi farà il cadavere? – domandò Michael.
– Io – disse Bridget, pronta.
– Oh, senti un po‘ – esclamò Colin. – Sono stato io ad avere l’idea! – No, no, meglio io – disse Bridget. – Dev’essere una ragazza. È più emozionante. Una ragazza affascinante, morta nella neve.
– Una ragazza affascinante... aha, aha! – la prese in giro Michael ridacchiando.
– E poi, ho anche i capelli neri – disse Bridget.
– E che cosa c’entra?
– Faranno un bellissimo contrasto sulla neve, e metterò il pigiama rosso.
– Se metti il pigiama rosso, non si vedono più le macchie di sangue – disse Michael in tono pratico.
– Però farebbe sicuramente un effettone, sulla neve – disse Bridget – e poi ha i risvolti bianchi, così ci possiamo spruzzare sopra il sangue. Oh, sarà fantastico! Credete che abboccherà?
– Certo, se facciamo le cose per bene – disse Michael. – Sulla neve dovranno esserci soltanto le tue orme e quelle di un’altra persona, che vanno verso il corpo e poi tornano indietro... orme maschili, naturalmente. Poirot non potrà avvicinarsi troppo per paura di rovinarle, e così non capirà che non sei veramente morta. Ma non pensate... -esclamò Michael, fermandosi, colpito improvvisamente da un’idea. Gli altri lo guardarono. – Non pensate che potrebbe prendersela?
– Oh, non direi – ribatté Bridget con facile ottimismo. – Capirà che lo abbiamo fatto solo per divertirlo. Una specie di regalo di Natale. – Secondo me, non dovremmo farlo proprio il giorno di Natale – disse Colin, pensandoci su. – Credo che il nonno non sarebbe molto contento.
– Allora, per Santo Stefano – disse Bridget.
– Sì... Santo Stefano andrebbe benissimo – disse Michael.
– Così avremo un po‘ più di tempo – continuò Bridget. – Ci sono tante cose da organizzare. Andiamo a vedere se in casa c’è tutto quello che serve.
E si affrettarono a rientrare.
La serata trascorse in grandi preparativi. C’erano vischio e agrifoglio in quantità e l’albero di Natale era stato sistemato in un angolo della sala da pranzo. Tutti contribuirono a decorarlo, a infilare rami di agrifoglio dietro le cornici dei quadri e ad appendere un mazzo di vischio nell’atrio.
– Non immaginavo che qualcuno seguisse ancora queste usanze preistoriche – mormorò Desmond a Sarah, con una smorfia.
– Lo abbiamo sempre fatto – disse Sarah, sulla difensiva.
– Non è una buona ragione!
– Oh, non essere noioso, Desmond. Io invece lo trovo divertente!
– Sarah, amore mio, non è possibile!
– Be‘, non... forse non proprio divertente, ma... in un certo senso, sì.
– Chi ha il coraggio di affrontare la neve per andare alla messa di mezzanotte? – domandò la signora Lacey alle dodici meno venti.
– Io no – disse Desmond. – Vieni, Sarah.
Le mise una mano sul braccio e la guidò in biblioteca, dirigendosi verso l’armadietto dei dischi.
– Ci sono dei limiti, tesoro – disse. – La messa di mezzanotte!
– Sì – disse Sarah. – Oh, certo.
Tra grandi risate e imbacuccati fino agli occhi, quasi tutti gli altri si misero in cammino. I due ragazzi, Bridget, David e Diana si avviarono verso la chiesa, distante una decina di minuti, mentre la neve continuava a cadere. Le loro risate si spensero, a mano a mano che si allontanavano.
– Messa di mezzanotte! – brontolò sbuffando il colonnello Lacey. – Mai andato alla messa di mezzanotte, quando ero ragazzo. La funzione del mattino dovrebbe essere più che sufficiente, secondo me. E poi subito a casa, per il pranzo di Natale. Non è così, eh, Em? – Sì, caro – disse la signora Lacey. – Ma ai ragazzi piace la funzione di mezzanotte. Ed è bello che vogliano andarci!
– Sarah e quel bel tipo non ci sono voluti andare.
– Forse ti sbagli, mio caro – disse la signora Lacey. – Sarah in fondo voleva andarci... ma le seccava ammetterlo.
– Non riesco a capire perché le importi tanto dell’opinione di quello là.
– È molto giovane, ecco tutto! – disse placidamente la signora Lacey. – Lei va a letto, signor Poirot? Buona notte. Spero che dorma bene.
– E lei, madame? Non va ancora a letto?
– No, non ancora – disse la signora Lacey. – Ho le calze da riempire. Oh, Io so che ormai non sono più bambini, ma adorano trovare la sorpresa nella calza! Ci metto dentro delle stupidaggini, ma per loro è così divertente!
– Lei fa di tutto per rendere felici gli ospiti di questa casa – disse Poirot. – Lo apprezzo molto.
E si portò alle labbra la mano della signora Lacey, con un gesto pieno di galanteria.
– Uhmm – borbottò il colonnello Lacey quando Poirot si fu ritirato. – Com’è complimentoso quel tizio... Però... ti apprezza.
La signora Lacey gli rivolse un sorriso che era tutto una fossetta. – Horace, non ti sei accorto che sono sotto il vischio? – gli domandò, con il candore di una ragazza di diciannove anni.
Poirot entrò nella sua stanza, molto grande e ben provvista di termosifoni. Avvicinandosi al letto notò una busta posata sul cuscino, la aprì e ne tirò fuori un foglio di carta. Sopra c’era scritto, in un incerto stampatello:
Non mangiare il dolce di Natale.
Una persona che ti augura ogni bene.
Hercule Poirot fissò il messaggio per un istante, poi inarcò le sopracciglia e mormorò tra sé: – Ermetico e del tutto inaspettato.
Il pranzo di Natale cominciò alle due del pomeriggio e fu davvero una gran festa. Enormi ceppi scoppiettavano allegramente nel grande camino, e il loro crepitio era sovrastato dalle allegre chiacchiere di molte voci che parlavano tutte insieme. La zuppa di ostriche era già stata consumata, due enormi tacchini erano arrivati in tavola per tornarsene indietro ridotti a nude carcasse. E ora il momento più atteso: il dolce di Natale stava per essere servito con tutte le cerimonie! Il vecchio Peverell, mani e ginocchia tremanti, nonostante gli ottant’anni suonati non permetteva a nessun altro di portarlo in tavola. La signora Lacey teneva le mani strette in grembo per l’apprensione. Un Natale o l’altro, ne era certa, Peverell sarebbe finito lungo disteso sul pavimento, morto. Ma tra il rischio di vederlo cadere a terra stecchito e quello di offenderlo a morte, lei aveva scelto il primo.
Il dolce di Natale riposava su un piatto d’argento, in tutto il suo splendore. Era grosso come un pallone da football, e al centro era stato infilato un rametto di agrifoglio, come una bandierina. Dall’impasto inzuppato di brandy si levavano fiammelle blu e rosse. Ci furono grida di entusiasmo ed esclamazioni ammirate.
La signora Lacey aveva convinto Peverell a posare il piatto con il dolce davanti a lei, invece di fare il giro della tavola per servire i commensali a uno a uno. Avrebbe distribuito lei le porzioni. I piatti furono fatti passare rapidamente, con le fiamme che lambivano ancora le singole porzioni.
– Esprima un desiderio, signor Poirot – esclamò Bridget. – Esprima un desiderio prima che le fiamme si spengano. Presto, nonna, presto.
La signora Lacey si appoggiò allo schienale della sedia con un sospiro di soddisfazione. L’operazione Dolce di Natale era stata un successo. Ciascuno ne aveva davanti una fetta ancora fiammeggiante. Ci fu un momento di silenzio mentre tutti, intorno alla tavola, esprimevano tacitamente il loro desiderio.
Così nessuno si accorse della bizzarra espressione di Poirot, mentre esaminava la porzione che aveva sul piatto.
“Non mangiare il dolce di Natale. ”
Cosa diavolo poteva significare? Possibile che ci fosse qualcosa di diverso fra la sua fetta e quella di chiunque altro? Sospirando, ammise con se stesso di sentirsi sconcertato, e ammetterlo non gli piaceva affatto. Poi prese le posate.
– Un po‘ di salsa di mele, signor Poirot?
Poirot si servì abbondantemente di salsa.
– Hai adoperato di nuovo il mio brandy migliore, eh, Em? – disse bonariamente il colonnello, dall’altro capo della tavola.
La signora Lacey gli strizzò l’occhio. – La signora Ross insiste sempre per avere il brandy migliore, caro – disse. – Secondo lei, fa una gran differenza.
– Bene, bene – disse il colonnello Lacey. – Natale capita solo una volta all’anno e la signora Ross è una gran donna! Una gran donna e una gran cuoca.
– Proprio vero – disse Colin. – Un dolce da favola. Mmmmmm... – E si riempì golosamente la bocca.
Delicatamente, quasi con precauzione, Hercule Poirot attaccò la propria fetta di dolce. Ne mangiò un boccone. Era squisito! Ne mangiò un altro. Qualcosa tintinnò lievemente sul suo piatto. Indagò con la forchetta, e Bridget, che sedeva alla sua sinistra, gli venne in aiuto. – Ha trovato qualcosa, signor Poirot? – disse. – Chissà che cos’è.
Poirot liberò un oggettino d’argento dall’uva passa che gli si era appiccicata.
– Oooh! – esclamò Bridget. – Il bottone dello scapolo! Il signor Poirot ha trovato il bottone dello scapolo!
Hercule Poirot immerse il bottoncino d’argento nella coppetta lavadita che si trovava di fianco al piatto, e lo ripulì con cura.
– È molto carino – disse.
– Vuol dire che lei è destinato a rimanere scapolo, signor Poirot – esclamò Colin.
– C’era da aspettarselo – disse Poirot, serio. – Sono stato scapolo per talmente tanti anni! Ed è abbastanza improbabile che cambi proprio adesso!
– Oh, non si può mai sapere – disse Michael. – L’altro giorno ho letto sul giornale che un tale di novantacinque anni ha sposato una ragazza di ventidue.
– È un incoraggiamento, per me – disse Hercule Poirot.
Il colonnello Lacey lanciò un’improvvisa esclamazione e, paonazzo, si portò una mano alla bocca.
– Accidenti, Emmeline – ruggì – perché diavolo hai permesso alla cuoca di mettere del vetro nel dolce?
– Vetro! – esclamò la signora Lacey, sbalordita.
Il colonnello Lacey si tolse qualcosa di bocca.
– Potevo rompermi un dente – bofonchiò. – O inghiottire questo coso e farmi venire l’appendicite.
Lasciò cadere il pezzetto di vetro nella coppetta per le dita, lo lavò e lo sollevò.
– Che Dio mi benedica! – esclamò sbalordito. – È una pietra rossa. Dev’essere saltata via da una di quelle spillette fasulle che si trovano nei petardi a sorpresa!
– Permette?
Poirot si allungò con destrezza oltre la sua vicina di tavola, prese la pietra dalle mani del colonnello e la esaminò attentamente. Come aveva detto il padrone di casa, si trattava di una enorme pietra color rubino. Mentre la rigirava fra le dita, la luce traeva scintillii da ogni sfaccettatura. In un punto imprecisato, intorno al tavolo, una sedia venne sospinta bruscamente indietro e poi avvicinata di nuovo.
– Perbacco! – esclamò Michael. – Che colpo se fosse vera!
– Forse lo è – disse Bridget speranzosa.
– Oh, non dire scemenze, Bridget. Figuriamoci! Un rubino di quella grossezza varrebbe migliaia e migliaia e migliaia di sterline. Non è vero, signor Poirot?
– Proprio così – confermò Poirot.
– Ma quello che non capisco – disse la signora Lacey – è come ha fatto a finire nel dolce.
– Ooooh! – esclamò Colin, distratto dall’ultimo boccone – mi è capitato il porcello. Non è giusto.
Bridget si mise subito a fargli il verso: – Colin ha avuto il porcello! Colin ha avuto il porcello! Colin è un porcello che mangia da scoppiare!
– Io ho avuto l’anello – disse Diana con voce alta e limpida.
– Buon per te, Diana. Vuol dire che ti sposerai prima di tutti gli altri.
– A me è capitato il ditale! – piagnucolò Bridget.
– Bridget diventerà una vecchia zitella – cantilenarono a gran voce i due ragazzi. – Sì, Bridget diventerà una vecchia zitella!
– Chi ha avuto la monetina? – domandò David. – Nel dolce c’è anche una moneta d’oro da dieci scellini! Lo so perché me lo ha detto la signora Ross.
– Credo di essere io il fortunato – disse Desmond Lee-Wortley.
I due vicini di tavolo del colonnello Lacey lo sentirono borbottare: – Sì, c’era da immaginarselo.
– Oh! – disse David. – Anch’io ho trovato un anello. – E guardò Diana. – Che coincidenza, vero?
Le risate continuarono. Nessuno si accorse che il signor Poirot, come soprappensiero, si era infilato in tasca la pietra rossa.
Al dolce seguirono la frutta secca e i biscotti natalizi. Poi i più anziani si ritirarono per un meritato riposino fino all’ora del tè, quando si sarebbero accese le luci dell’albero. Solo Hercule Poirot non andò a riposarsi, e raggiunse l’enorme cucina all’antica.
– È permesso? – chiese, guardandosi intorno con aria raggiante. –
Posso congratularmi con la cuoca per il magnifico pranzo?
Ci fu un attimo di silenzio e poi la signora Ross si fece maestosamente avanti. Era un donnone grande e grosso, che sembrava recitare la parte di una duchessa da commedia. Alle sue spalle due donnine esili, con i capelli grigi, stavano lavando i piatti, mentre una ragazza biondissima andava e veniva dall’acquaio alla cucina. Ma quelle, evidentemente, erano soltanto le schiave: lì la vera regina era la signora Ross.
– Sono lieta che le sia piaciuto – disse la donna con degnazione.
– Piaciuto! – esclamò Hercule Poirot. Con gesto stravagante, si portò il dorso della mano alle labbra, lo baciò e poi soffiò il bacio verso il soffitto. – Ma lei è un genio, signora Ross! Un autentico genio! Non ho mai gustato un pranzo più squisito. La zuppa di ostriche... – Schioccò espressivamente le labbra. – E il ripieno. Il ripieno di castagne del tacchino, quello è stato un’esperienza unica! – È una ricetta assolutamente speciale, quella del ripieno – disse con benevolenza la signora Ross. – Me l’ha data uno chef austriaco con il quale ho lavorato molti anni fa. Ma tutto il resto – aggiunse – è semplice, buona cucina inglese.
– C’è forse qualcosa di meglio? – domandò Hercule Poirot.
– È molto gentile da parte sua, signore. Naturalmente, visto che lei è forestiero, forse avrebbe preferito un menu continentale. Per quanto, credo di cavarmela anche con la cucina continentale...
– Sono sicuro, signora Ross, che lei sa cavarsela con qualsiasi cucina! Ma deve sapere che quella inglese, quella buona, non quella che si trova negli alberghi o nei ristoranti di seconda categoria, è molto apprezzata dai buongustai continentali, e credo di non sbagliare dicendo che, al principio del Settecento, un gruppo di cuochi francesi vennero a Londra per imparare le ricette dei meravigliosi dolci inglesi. «Non abbiamo niente di simile, in Francia» scrissero i cuochi. «Vale la pena di fare un viaggio a Londra soltanto per gustare la varietà e la squisitezza dei dolci inglesi.» E più di tutti gli altri – continuò Poirot, ormai lanciato in una specie di rapsodia – venne apprezzato il dolce di Natale, proprio come quello che abbiamo mangiato oggi. Era fatto in casa, vero, non comperato fuori?
– Certo, signore. L’ho preparato io, secondo una mia ricetta speciale. Quando sono arrivata la signora Lacey mi ha detto di aver ordinato il dolce di Natale in una pasticceria di Londra, per non farmi stancare. Molto gentile da parte sua, ho detto, ma nessun dolce comprato è buono come quello fatto in casa – continuò la signora Ross, accalorandosi come una vera artista. – E infatti un dolce di Natale dev’essere preparato alcune settimane prima e poi lasciato lì a riposare. Più riposa, e più è buono. Ricordo ancora che, quando ero bambina e andavamo in chiesa ogni domenica, aspettavamo sempre la preghiera che dice: «Dacci la forza, o Signore, noi ti preghiamo» perché era il segnale che il dolce doveva essere preparato proprio quella settimana. Avremmo dovuto fare lo stesso anche quest’anno. Invece lo abbiamo preparato soltanto tre giorni fa, il giorno in cui è arrivato lei, signore. Comunque, io ci tengo a rispettare le antiche usanze. Tutte le persone di casa sono venute in cucina a dargli una mescolatina e a esprimere un desiderio. È una vecchia tradizione, signore, ed è giusto conservarla.
– Molto interessante – disse Hercule Poirot. – Molto interessante. Così tutte le persone di casa sono venute in cucina?
– Sissignore. I signorini, la signorina Bridget e quel signore di Londra che sta qui, e sua sorella e il signor David e la signorina Diana... cioè, la signora Middleton, dovrei dire... Sissignore, e tutti gli hanno dato una mescolatina.
– Quanti dolci ha fatto? Oppure questo è l’unico?
– Nossignore, ne ho fatti quattro. Due grossi e due piccoli. Uno l’abbiamo mangiato oggi, un altro pensavo di servirlo a Capodanno, e quelli piccoli sono per il colonnello e la signora Lacey, quando gli altri saranno partiti.
– Già, già – disse Poirot.
– Anzi, a dire la verità – continuò la signora Ross – oggi è stato servito il dolce sbagliato.
– Il dolce sbagliato? – Poirot aggrottò le sopracciglia. – Come sarebbe?
– Ecco, signore, lo stampo in cui cuociamo il dolce di Natale è molto grande, di porcellana, con sopra un disegno di agrifoglio e vischio. Ma stamattina, mentre Annie lo tirava giù dallo scaffale della dispensa, le è caduto e si è rotto. Naturalmente, signore, non potevo più portare in tavola il dolce che c’era dentro, le pare? Poteva esserci finita qualche scheggia! Così abbiamo dovuto servire l’altro... quello per Capodanno, che era stato messo in uno stampo molto più semplice. Chissà se riusciremo a trovarne un altro come quello! Ormai non fanno più roba di quelle dimensioni. Figuriamoci, non si riesce neanche a trovare un bel tegame da prima colazione come quelli di un tempo, dove si potevano mettere otto o dieci uova e la pancetta!
– Già, proprio così – disse Poirot. – Oggi è tutto diverso. Però questo Natale è stato proprio come quelli di un tempo, non è vero? La signora Ross sospirò. – Sono contenta di sentirglielo dire, signore, ma, a dire il vero, io non ho più l’aiuto che avevo una volta. Le ragazze di oggi... – abbassò leggermente la voce – sono piene di buona volontà ma non sono state addestrate, signore, lei mi capisce!
– I tempi cambiano, certo – ammise Hercule Poirot.
– Che tristezza.
– Questa casa, signore – disse la signora Ross – è troppo grande per la signora e per il colonnello. La signora lo sa benissimo! Oggi ne adoperano solo una parte, e non è più la stessa cosa! Sembra che torni a vivere soltanto a Natale, quando viene tutta la famiglia. – È la prima volta che il signor Lee-Wortley e sua sorella vengono qui, vero?
– Sì, signore. – Un vago accenno di riserbo si insinuò nella voce della signora Ross. – Un signore simpatico, questo sì, ma mi sembra un amico un po‘ strano, per la signorina... Ma a Londra è tutto diverso. Che peccato per sua sorella! Sembrava che stesse bene, il giorno che è arrivata, ma dopo essere venuta in cucina a mescolare il dolce ha ricominciato a star male e da allora è sempre rimasta a letto. Secondo me si è alzata troppo presto, dopo l’operazione. Ah, oggi i dottori ti cacciano via dall’ospedale che ancora non ti reggi in piedi. Si figuri che la moglie di mio nipote, anche lei... – E si addentrò nella lunga e animata descrizione del trattamento ospedaliero ricevuto dai suoi parenti.
Poirot la commiserò doverosamente.
– Non mi resta – disse – che ringraziarla per questo pranzo squisito. Mi permette di offrirle un piccolo segno del mio apprezzamento? – Un biglietto da cinque sterline nuovo di zecca passò dalla sua mano a quella della signora Ross, che disse, per salvare le apparenze:
– Non dovrebbe disturbarsi, signore.
– Insisto. Insisto.
– È davvero molto gentile da parte sua! – La signora Ross accettò l’omaggio come se le fosse dovuto.
– Le auguro, signore, un felice Natale e un prospero anno nuovo.
Il giorno di Natale si concluse come sempre: le luci dell’albero vennero accese, e insieme al tè venne servita una meravigliosa torta che fu accolta con entusiasmo ma gustata con moderazione. Poi ci fu una cena fredda.
Poirot e i padroni di casa andarono a letto presto.
– Buona notte, signor Poirot – disse la signora Lacey. – Spero che si sia divertito.
– E stata una giornata magnifica, madame, magnifica.
– Mi sembra molto pensieroso – disse la signora Lacey.
– Sto pensando al dolce di Natale.
– Lo ha trovato un po‘ pesante, forse? – si informò con delicatezza la signora Lacey.
– No, no, non parlo dal punto di vista gastronomico. Penso al suo significato.
– È tradizionale, naturalmente – disse la signora Lacey. – Buona notte, signor Poirot e non sogni troppi dolci di Natale!
– Sì – mormorò tra sé Hercule Poirot, spogliandosi. – È proprio un bel problema, quel dolce di Natale. C’è qualcosa che non capisco. – Scosse la testa con aria seccata. – Bene... staremo a vedere.
Dopo aver fatto certi preparativi, Poirot si mise a letto, ma non per dormire.
All’incirca due ore dopo, la sua pazienza venne premiata. La porta della camera da letto si aprì delicatamente e lui sorrise tra sé. Proprio come aveva previsto. Ripensò alla tazzina di caffè che Desmond Lee-Wortley gli aveva offerto con tanta cortesia. Poco dopo, mentre Desmond gli voltava le spalle, aveva posato la tazzina su un tavolo per pochi minuti. Poi, almeno in apparenza, aveva ripreso in mano quella medesima tazzina e Desmond finalmente aveva avuto la soddisfazione di vedergli bere il caffè fino all’ultima goccia. Però un sorrisetto aveva increspato i baffi di Poirot, mentre rifletteva che non sarebbe stato lui a dormire sodo tutta la notte. “Quel simpatico David” aveva pensato Poirot “è preoccupato, infelice. Una notte di sonno profondo non gli farà male. E adesso, vediamo un po‘ che cosa succede. ”
Rimase dov’era, disteso e immobile, respirando ritmicamente e fingendo addirittura di russare un po‘.
Qualcuno si avvicinò al letto e si chinò su di lui; poi, soddisfatto, si diresse verso la toilette. Alla luce di una sottile torcia elettrica, il visitatore esaminò gli oggetti disposti in bell’ordine sul ripiano, esplorò il portafoglio, aprì cautamente i cassetti e frugò nelle tasche degli abiti di Poirot. Infine tornò verso il letto e, con mille cautele, insinuò una mano sotto il cuscino. Poi la ritirò e rimase per un attimo incerto. Girò per la camera, guardò in ogni angolo, poi passò nel bagno e ne uscì quasi subito. E finalmente con una sommessa esclamazione di disappunto, uscì dalla camera.
– Ah! – mormorò Poirot, sottovoce. – Hai avuto una delusione. Sì, sì, una grossa delusione. Bah! Come si fa a pensare che Poirot nasconda qualcosa in un posto dove è facile trovarlo?
Poi si girò dall’altra parte e si addormentò pacificamente.
La mattina dopo fu svegliato da un sommesso e insistente bussare alla porta.
– Qui est là? Avanti, avanti.
La porta si spalancò. Ansante e rosso in faccia, Colin apparve sulla soglia. Dietro di lui c’era Michael.
– Monsieur Poirot, monsieur Poirot...
– Sì? – Poirot si mise a sedere sul letto. – È il mio tè? Ah, no. Sei tu, Colin. Cosa è successo?
Colin rimase per un attimo senza parole. Sembrava in preda a una forte emozione. In realtà, era stata la visione della berretta da notte indossata da Poirot ad avergli tolto la parola. Ma riacquistò subito il controllo e disse: – Ecco, credo... signor Poirot, può aiutarci? È successa una cosa terribile.
– È successo qualcosa? E di che si tratta?
– È... è Bridget. È fuori, nella neve. Io credo... Non si muove e non parla e... oh, sarebbe meglio che venisse a vedere con i suoi occhi! Ho una paura terribile che... sia morta.
– Cosa? – esclamò Poirot, buttando da parte le coperte: – Mademoiselle Bridget... morta!
– Io credo... io credo che qualcuno l’abbia ammazzata. C’è... c’è anche del sangue e... oh, venga, presto!
– Ma certo. Certo. Vengo immediatamente.
Poirot infilò i piedi in un paio di scarpe da passeggio e indossò sul pigiama il cappotto bordato di pelliccia.
– Vengo – disse. – Vengo all’istante. Avete già svegliato gli altri di casa?
– No. Finora lo abbiamo detto solo a lei. Ho pensato che fosse meglio. I nonni non sono ancora alzati. Stanno apparecchiando per la colazione, in sala da pranzo, ma non ho detto niente a Peverell. Lei... Bridget è dall’altra parte della casa, vicino alla terrazza e alla finestra della biblioteca.
– Capisco. Fatemi strada. Vi seguo.
Voltandosi per nascondere un sorrisetto di gioia, Colin lo precedette al piano terreno. Uscirono da una porta secondaria. Era una mattina limpida e il sole non era ancora alto. Non nevicava più, però la neve doveva essere caduta abbondantemente durante la notte e, tutt’intorno, il manto nevoso appariva intatto. Il mondo sembrava purissimo, bianco e bello.
– Ecco! – disse Colin ansante. – È... là... – E indicò un punto con gesto drammatico.
La scena, in effetti, era abbastanza drammatica. A pochi metri di distanza, Bridget era distesa sulla neve. Portava un pigiama rosso vivo e intorno alle spalle aveva una sciarpa di lana bianca macchiata di rosso. La testa era girata da un lato e nascosta dalla massa scomposta dei capelli neri. Aveva un braccio sotto il corpo e l’altro all’infuori, con le dita contratte; al centro della grossa macchia di sangue si vedeva sporgere l’impugnatura di un pugnale curdo dalla lama ricurva, che il colonnello Lacey aveva mostrato ai suoi ospiti appena la sera prima.
– Moti Dieu! – esclamò Poirot. – Sembra una scena da commedia! Michael fece un lieve rumore, come se qualcosa gli fosse andato di traverso. Colin gli venne in aiuto. – Lo so – disse. – Effettivamente... non sembra del tutto reale eh? Vede le impronte dei piedi? Forse sarebbe meglio non calpestarle.
– Ah, sì, le impronte. No, dobbiamo badare a non rovinarle.
– Proprio come pensavo – disse Colin. – Ecco perché non ho voluto che qualcuno si avvicinasse, mentre venivamo a chiamarla.
Pensavo che lei avrebbe saputo cosa fare.
– Ad ogni modo – disse Hercule Poirot in tono pratico – prima di tutto dobbiamo sapere se è ancora viva, non vi pare?
– Be‘... sì... certo... – disse Michael, un po‘ dubbioso. – Ma vede, noi pensavamo... voglio dire, non volevamo...
-Avete letto troppi romanzi polizieschi. È importante non toccare niente, soprattutto il cadavere. Ma ancora non sappiamo se è davvero un cadavere, no? La prudenza è ammirevole, ma l’umanità viene prima di tutto. Bisogna chiamare il dottore ancor prima della polizia.
– Oh, sì. Certamente... – disse Colin, sempre un po‘ perplesso.
– Allora voi due restate dove siete – disse Poirot. – Io mi avvicinerò dall’altro lato, in modo da non rovinare le impronte. Sono eccellenti, no?... Così chiare e nette! Le impronte dei piedi di un uomo e di una ragazza che si avviano insieme verso questo punto. E poi le impronte dell’uomo tornano indietro, ma quelle della ragazza... no.
– Devono essere le impronte dell’assassino – disse Colin, con un filo di voce.
– Esattamente – disse Poirot. – Le impronte dell’assassino. Un piede lungo e stretto, con un tipo particolare di scarpa. Molto interessante. Facili da riconoscere. Sì, queste impronte sono molto importanti.
In quel momento Desmond Lee-Wortley uscì di casa con Sarah e li raggiunse. – Cosa diavolo state facendo lì? – domandò in tono un po‘ drammatico. – Vi ho visti dalla mia camera da letto. Cosa c’è? Dio mio! E quella cosa sarebbe... Sembra... sembra proprio...
– Esattamente! – disse Hercule Poirot. – Sembra proprio un delitto, eh?
Sarah sussultò e lanciò un’occhiata sospettosa ai due ragazzi.
– Vuol dire che qualcuno ha ammazzato la ragazza... come-si- chiama... Bridget? – domandò Desmond. – Ma chi poteva avere interesse a ucciderla? È incredibile!
– Ci sono molte cose che appaiono incredibili – sentenziò Poirot. E aggiunse: – Per favore, aspettate qui, tutti.
Facendo cautamente un lungo giro, si avvicinò a Bridget e si chinò per un attimo su di lei. Colin e Michael, a questo punto, cercavano disperatamente di trattenere le risate. Sarah si avvicinò, mormorando: – Cosa avete combinato, voi due?
– Brava, vecchia Bridget! – mormorò Colin sottovoce. – È fantastica! Neanche un fremito!
– Non ho mai visto nessuno con l’aria così... morta – sussurrò Michael.
Hercule Poirot si rialzò. – È una cosa terribile – disse. Nella sua voce c’era una commozione nuova.
Tra risate convulse e soffocate, Colin e Michael gli voltarono le spalle.
Con voce strozzata, Michael riuscì a dire: – Cosa... cosa dobbiamo fare?
-C’è una sola cosa da fare – disse Poirot. – Chiamare la polizia. Qualcuno di voi vuole telefonare o preferite che lo faccia io?
– Ecco... secondo me... – disse Colin. – Tu, Michael, cosa ne pensi?
– Sì – disse Michael. – Penso che il divertimento sia finito. – Fece un passo avanti e per la prima volta sembrò un po‘ meno sicuro di sé. – Sono terribilmente spiacente – aggiunse. – Spero che non si arrabbierà. Era... ehm... una specie di scherzo natalizio. Abbiamo pensato di mettere in scena un delitto apposta per lei.
– Avete pensato di mettere in scena un delitto? Ma allora questo... questo è...
– È stata solo una recita preparata da noi – spiegò Colin – per farla sentire a suo agio, capisce?
– Aha! – esclamò Hercule Poirot. – Capisco. Mi avete fatto un pesce d’aprile, eh? Ma oggi non è il primo aprile: è il ventisei dicembre!
– Forse non avremmo dovuto farlo, sul serio! – disse Colin. – Ma... ma lei non se l’è presa, vero, signor Poirot? Su, Bridget – gridò – alzati. Ormai devi essere mezza congelata.
La figura nella neve, però, non si mosse.
– Strano – disse Poirot – sembra che non vi abbia sentito. – Li guardò pensieroso. – È uno scherzo, dite? Ne siete proprio sicuri?
– Certo – ribatté Colin, imbarazzato. – Noi... non volevamo fare niente di male.
– Ma allora perché mademoiselle non si alza?
– Davvero non lo so – disse Colin.
– Su, Bridget, andiamo! – esclamò Sarah, spazientita. – Smettila di fare la stupida.
– Ci dispiace davvero, signor Poirot – disse Colin, con una certa apprensione. – Ci scusiamo moltissimo.
– Non ce n’è bisogno – disse Poirot, con voce soffocata.
– Cosa vuol dire? – Colin lo fissò, preoccupato. Poi tornò a voltarsi. – Bridget! Bridget! Ma si può sapere che succede? Perché non si rialza? Perché continua a star lì distesa?
Poirot chiamò con un cenno Desmond Lee-Wortley.
– Lei, signor Lee-Wortley. Venga qui...
Desmond lo raggiunse.
– Provi a sentirle il polso – disse Poirot.
Desmond Lee-Wortley si chinò e sfiorò il braccio della ragazza, poi le prese il polso... – Ma non si sente niente – e fissò Poirot. – Ha il braccio rigido. Dio mio, è morta sul serio!
Poirot annuì. – Sì, è morta – disse. – Qualcuno ha trasformato la commedia in tragedia.
– Qualcuno... chi?
– C’è una serie di impronte che vanno sino al cadavere e poi tornano indietro. Impronte che somigliano stranamente a quelle che lei, signor Lee-Wortley, ha appena lasciato venendo qui.
Desmond Lee-Wortley si voltò di scatto. – Che accidenti... Mi sta forse accusando? Accusando me? È impazzito! Perché diavolo avrei dovuto uccidere la ragazza?
– Ah... perché? Mi domando... vediamo un po‘... Si chinò e sollevò delicatamente la mano contratta di Bridget, aprendole le dita già irrigidite.
A Desmond mancò il fiato. Sul palmo della ragazza morta, c’era quello che sembrava un grosso rubino.
– È quella maledetta pietra che hanno trovato nel dolce! – gridò.
– Già – disse Poirot. – Ma è sicuro che sia proprio quella?
– Certo che lo è.
Con un rapido movimento, Desmond si chinò e strappò la pietra rossa dalla mano di Bridget.
– Non avrebbe dovuto farlo – disse Poirot in tono di rimprovero. – Non bisogna toccare nulla, sulla scena di un delitto.
– Non ho toccato il corpo, no? Ma questo... questo potrebbe andare perduto e invece è un elemento di prova. La cosa migliore è chiamare subito la polizia. Vado immediatamente a telefonare.
Si girò di scatto e cominciò a correre verso la casa. Sarah si precipitò al fianco di Poirot. – Non capisco – disse sottovoce. Era pallidissima. – Non capisco.
– Afferrò Poirot per un braccio. – Cosa voleva dire... quando ha accennato alle impronte?
– Guardi con i suoi occhi, mademoiselle.
Le impronte che conducevano al corpo e ne ritornavano erano identiche a quelle appena fatte accompagnando Poirot sino alla ragazza e tornandone indietro.
– Vuol dire... che è stato Desmond? Assurdo!
D’un tratto il rombo di un motore squarciò l’aria. Tutti si voltarono di scatto. E videro chiaramente l’auto che imboccava il viale, e Sarah la riconobbe.
– È Desmond – disse. – È l’auto di Desmond. Deve... dev’essere andato a chiamare la polizia, invece di telefonare.
Diana Middleton uscì di casa e corse da loro.
– Cosa è successo? – gridò ansante. – Desmond è entrato in casa correndo come un pazzo, ha borbottato che Bridget era stata uccisa e poi ha provato a parlare al telefono, ma non è riuscito a prendere la comunicazione. Ha detto che secondo lui qualcuno aveva tagliato i fili e che la cosa migliore era prendere l’auto e andare alla polizia. Ma perché, la polizia?
Poirot fece un gesto.
– Bridget? – Diana lo fissò con gli occhi sbarrati. – Ma dev’essere uno scherzo! Ieri sera ho sentito qualcosa... Credevo che volessero farle uno scherzo, signor Poirot.
– Sì – ammise Poirot – l’idea era quella... farmi uno scherzo. Adesso, però, è meglio che entriamo in casa. Finiremo per prenderci una polmonite, qui fuori, e non c’è niente da fare finché il signor Lee-Wortley non torna con la polizia.
– Ma senta un po‘ – disse Colin – non possiamo... non possiamo lasciar sola Bridget.
– Restare non serve a nulla – disse Poirot con fermezza. – Su, venite! È una vera tragedia, ma non possiamo far niente per aiutare mademoiselle Bridget.
Rientriamo a riscaldarci, e, magari, a bere una tazza di tè o di caffè. Lo seguirono ubbidienti, proprio mentre Peverell stava per suonare il gong. Se trovò abbastanza strano che buona parte degli ospiti fosse già fuori di casa e che Poirot andasse in giro in pigiama e cappotto, non lo diede a vedere. Peverell, per quanto anziano, era pur sempre un maggiordomo perfetto. Non notava niente che non gli fosse stato espressamente chiesto di notare. Entrarono in sala da pranzo e si sedettero. Quando tutti ebbero una tazza di caffè davanti, Poirot parlò.
– Bisogna che vi racconti – disse – una piccola storia. Non posso darvi tutti i particolari, no. Ma posso raccontarvela a grandi linee.
Riguarda un giovane principe che è venuto in questo Paese, portando con sé un famoso gioiello a cui doveva far cambiare la montatura, per offrirlo alla donna che sta per sposare; sfortunatamente ha fatto la conoscenza di una giovane donna molto carina e molto interessata al suo gioiello... tanto interessata che un bel giorno è sparita insieme al prezioso oggetto, appartenuto per generazioni alla famiglia del giovanotto. Così il poverino si è trovato in un bel pasticcio, soprattutto se si considera il fatto che non poteva permettersi uno scandalo. Impossibile andare alla polizia. Di conseguenza è venuto da me, Hercule Poirot, e mi ha chiesto di ritrovare il suo rubino. Eh bien! La giovane donna di cui vi ho parlato ha un amico. E l’amico è immischiato in una lunga serie di affari poco puliti. Ricatti, contrabbando di gioielli. Ma è sempre stato molto furbo, perciò sul suo conto ci sono molti sospetti e nessuna prova. Poi vengo a sapere che il signore in questione passerà il Natale in questa casa. È importante che la graziosa ragazza, una volta entrata in possesso del gioiello, sparisca dalla circolazione per un po‘, e così si fa in modo che venga qui a Kings Lacey, in veste di sorella del furbo giovanotto...
Sarah trasalì. – Oh, no. Oh, no, non qui! Non con me presente!
– E invece è andata proprio così! – disse Poirot. – E, tirando i fili giusti, eccomi anch’io fra gli ospiti di questa casa. La giovane donna ha raccontato di essere appena uscita dall’ospedale, ma quando arriva sta molto meglio. Poi, però, lei e il suo amico vengono a sapere che sta per arrivare Hercule Poirot... un investigatore famoso. Così la ragazza nasconde il rubino nel primo posto che le viene in mente, e poi ha un’improvvisa ricaduta e si mette a letto. Non vuole che la veda, perché è probabile che io abbia una sua fotografia. Una cosa molto seccante, per lei: deve restarsene in camera e il sedicente fratello le porta i vassoi con i pasti.
– E il rubino? – domandò Michael.
– Credo – disse Poirot – che nel momento in cui venne annunciato il mio arrivo, la giovane donna fosse in cucina, con tutti voi, a ridere, chiacchierare e dare la famosa mescolata ai dolci di Natale. I dolci sono già nei loro stampi e lei nasconde il rubino nella pasta di uno di essi. Non quello per il giorno di Natale, sistemato in uno stampo particolare. Lo mette nell’altro, quello per Capodanno. Prima di quel giorno lei sarà pronta a partire, e il dolce partirà con lei. Ma guardate un po‘ gli scherzi del destino. Proprio la mattina di Natale capita un guaio. Il dolce, nel suo grazioso stampo decorato, cade sul pavimento di pietra della cucina, e la brava signora Ross manda in tavola quello conservato nell’altro stampo.
– Caspita! – disse Colin. – Vuol dire che, il giorno di Natale, il nonno si è ritrovato in bocca proprio quel rubino?
– Precisamente – disse Poirot. – E potete immaginare l’emozione del signor Desmond Lee-Wortley, quando l’ha visto. Eh bien! Cosa succede poi? Il rubino viene passato di mano in mano. Io lo esamino e me lo faccio scivolare in tasca con noncuranza. Ma qualcuno osserva i miei gesti, e quando vado a letto viene a frugare nella mia camera. Fruga dappertutto, ma non riesce a trovare il rubino. Perché?
– Perché – disse Michael con il fiato mozzo – lei lo aveva dato a Bridget. Ecco perché... ma non capisco... voglio dire... Insomma, cosa è successo?
Poirot gli sorrise. – Venite in biblioteca – disse – e guardate fuori dalla finestra. Vi farò vedere qualcosa che spiegherà il mistero.
Li precedette.
– Guardate ancora una volta – disse Poirot – la scena del delitto.
E indicò fuori dalla finestra. Dalle labbra dei presenti uscì un’esclamazione sbalordita. Perché non c’era nessun corpo disteso nella neve, nessuna traccia della tragedia all’infuori di un po‘ di neve smossa e calpestata.
– Non è stato un sogno, vero? – mormorò Colin debolmente. –
Io... Qualcuno ha portato via il corpo?
– Ah? – disse Poirot. – Vedete? Il Mistero del Cadavere Scomparso. – Annuì dolcemente, e i suoi occhi brillarono.
– Santo cielo! – gridò Michael. – Signor Poirot, lei è... Non ha... Oh, non ha fatto che prenderci in giro per tutto questo tempo!
Gli occhi di Poirot brillarono ancora di più. – È vero, ragazzi miei, anch’io ho voluto fare il mio piccolo scherzo. Sapevo del vostro spettacolino, vedete, e così ne ho preparato uno anch’io! Ah, voilà mademoiselle Bridget. Sana e salva e senza conseguenze, spero, per essere rimasta nella neve tanto tempo? Non me lo perdonerei mai, se si fosse presa una bronchite.
Bridget era entrata in quel momento. Portava una gonna pesante e un maglione di lana, e rideva.
– Le ho mandato in camera una tisana – disse Poirot severamente. – L’ha bevuta?
– Un sorso soltanto! – disse Bridget. – Ma sto benissimo. Sono stata brava, signor Poirot? Il braccio mi fa ancora male per quel laccio emostatico che mi ha messo.
– Lei è stata magnifica, figliola mia – disse Poirot.
– Magnifica. Ma gli altri brancolano ancora nel buio. Ieri sera sono andato da mademoiselle Bridget, le ho detto che sapevo tutto del vostro piccolo complotto e ho chiesto se voleva recitare una piccola parte per me. Lei l’ha recitata, e con molta intelligenza. E ha fatto lei le impronte, con un paio di scarpe del signor Lee-Wortley.
– Ma perché, signor Poirot? – disse Sarah, aspra.
– Perché mandare Desmond a chiamare la polizia? Saranno furibondi quando scopriranno che è uno scherzo!
Poirot scosse la testa, gentilmente. – Ma io non ho creduto neppure per un momento, mademoiselle, che il signor Lee-Wortley andasse a chiamare la polizia – disse. – Il signor Lee-Wortley non vuole assolutamente essere coinvolto in un delitto. Ha perso completamente la testa e ha pensato soltanto a non lasciarsi scappare il rubino. Lo ha preso, ha fatto finta che il telefono fosse guasto ed è fuggito, fingendo di andare ad avvertire la polizia. Secondo me, non lo vedremo per molto tempo. Mi sembra di capire che conosce diversi modi per lasciare l’Inghilterra. Ha un piccolo aereo privato, non è così, mademoiselle?
Sarah annuì. – Sì – disse. – Stavamo pensando di...
Ma si interruppe.
– Volevate scappare insieme con quell’aereo, vero? Eh bien, è un ottimo sistema per contrabbandare un gioiello fuori dal Paese. Quando si è in fuga con una ragazza, e la cosa fa scalpore, non si è sospettati di aver contemporaneamente contrabbandato un gioiello di valore inestimabile. Oh, sì, sarebbe stata un’ottima mascheratura. – Non ci credo! – disse ancora Sarah. – Non credo neppure a una parola.
– Allora lo domandi a sua sorella – la consigliò Poirot, gentilmente, accennando a qualcuno che si trovava dietro di lei. Sarah si voltò di scatto.
Sulla soglia era apparsa una bionda platinata, avvolta in una pelliccia. A giudicare dalla sua aria imbronciata, era evidente che il suo umore non era dei migliori.
– Sorella un cavolo! – disse, con una sgradevole risatina. – Quel porco non è mio fratello! Così se l’è filata, e mi ha lasciato qui nei pasticci! È stata una sua idea! È stato lui a convincermi! Ha detto che erano soldi sicuri e che non mi avrebbero mai denunciata, per paura dello scandalo. E poi, avrei sempre potuto dire che Ali me lo aveva regalato, quel gioiello! Desmond e io avremmo dovuto dividerci il malloppo a Parigi... E adesso quel porco mi pianta e se ne va... Vorrei strozzarlo! – Poi cambiò tono bruscamente: – Più presto me ne vado di qui... Nessuno può chiamarmi un taxi?
– Alla porta c’è un’automobile che la aspetta – disse Poirot.
– Lei pensa proprio a tutto, eh?
– A quasi tutto – rispose, compiaciuto.
Ma Poirot non poteva cavarsela così facilmente. Quando tornò in sala da pranzo dopo aver aiutato la falsa signorina Lee-Wortley a salire in macchina, c’era Colin ad aspettarlo.
Sul suo viso infantile c’era un’espressione pensierosa. – Ma signor Poirot, e il rubino? Vuol dire che lo ha lasciato andare con il gioiello?
Poirot si incupì e cominciò ad attorcigliarsi i baffi. Sembrava a disagio. – Lo recupererò – disse debolmente. – Forse potrei ancora...
– Non so che cosa pensare! – esclamò Michael. – Lasciare che quel farabutto se ne vada con il rubino!
Bridget fu più intuitiva. – Ci sta prendendo in giro un’altra volta – gridò. – Non è così, signor Poirot?
– Vogliamo fare un ultimo giochetto da prestigiatore, mademoiselle? Provi un po‘ a frugare nella mia tasca sinistra. Bridget ci infilò la mano e la tirò fuori con un’esclamazione trionfante, mostrando un grosso rubino che scintillava in tutto il suo purpureo fulgore.
– Quello che lei stringeva in mano – disse Poirot – era del tutto senza valore. L’ho portato con me da Londra, nel caso fosse possibile sostituirlo a quello vero. Monsieur Desmond tenterà di vendere il rubino a Parigi o in Belgio o in qualche altro posto, e così scoprirà che la gemma è falsa! Non poteva andare meglio! Lo scandalo è evitato, il mio erede al trono riavrà il suo rubino, tornerà nel suo Paese e farà un matrimonio che speriamo sia felice. Tutto finisce bene.
– Tranne che per me – mormorò Sarah sottovoce.
Aveva parlato così piano che nessuno l’aveva sentita, a eccezione di Poirot, che scosse la testa dolcemente. – Sbaglia a dire così, mademoiselle Sarah. Lei ha acquistato esperienza, e ogni esperienza è preziosa. Nel suo futuro vedo la felicità.
– Già, per lei è facile dirlo! – rispose Sarah.
– Ma senta, signor Poirot – disse Colin, ancora pensieroso. – Lei come faceva a sapere che le stavamo preparando uno scherzo?
– Sapere quello che succede intorno a me fa parte del mio lavoro – disse Hercule Poirot. E si arricciò un baffo.
– Sì, ma non capisco come ha fatto. Qualcuno ha parlato... qualcuno che è venuto a dirglielo?
– No, questo no.
– E allora? Non vuol dirci come ha fatto?
– Meglio di no – protestò Poirot. – Se vi dicessi come ho fatto a dedurlo, non ci credereste. È come il prestigiatore che rivela i suoi trucchi!
– Ce lo dica, signor Poirot! Su, ce lo dica!
– Volete davvero che risolva per voi quest’ultimo mistero? Resterete delusi.
– Su andiamo, signor Poirot. Come lo ha saputo?
– Bene, state a sentire: l’altro giorno, dopo il tè, ero in biblioteca, seduto vicino alla finestra. Avevo fatto un pisolino, e quando mi sono svegliato voi tre stavate discutendo il vostro progetto proprio sotto la finestra, e la parte alta della vetrata era socchiusa.
– Tutto qui? – gridò Colin deluso. – Troppo facile!
– Vero? – ammise Hercule Poirot sorridendo. – Avete, visto che ci siete rimasti male?
– Meglio così – finì col dire Michael. -Adesso, almeno, sappiamo proprio tutto.
– Davvero? – mormorò Hercule Poirot tra sé. – Io, no. Io, che dovrei essere quello che sa ogni cosa!
Uscì nell’atrio e, forse per la ventesima volta, si tolse di tasca un foglietto di carta piuttosto sudicio.
Non mangiare il dolce di Natale.
Una persona che ti augura ogni bene.
Hercule Poirot scosse la testa, pensieroso. Questo non riusciva proprio a spiegarlo! Umiliante. Chi l’aveva scritto? Perché era stato scritto? Finché non lo avesse saputo, non avrebbe avuto un attimo di pace. Si scosse, richiamato alla realtà da uno strano suono, e abbassò gli occhi. Accovacciata sul pavimento, con in mano uno scopino e una paletta, c’era la biondissima sguattera con il grembiule a fiori, che fissava a occhi sbarrati il foglietto in mano a Poirot.
– Oh, signore – disse l’apparizione. – Oh, signore! La prego, signore.
– E tu chi saresti, mon enfant? – domandò Poirot, gentilmente.
– Annie Bates, signore... Aiuto la signora Ross. Non volevo fare niente di male, signore... È stato per il suo bene, sa?
Per Poirot era finalmente tutto chiaro. Le mostrò il sudicio foglietto. – Lo hai scritto tu, Annie?
– Non volevo far niente di male, signore. Mi creda, non volevo.
– Ma certo che non volevi far niente di male, Annie. – Le sorrise. – Ma raccontami tutto. Perché lo hai scritto?
– Sono stati quei due, signore. Il signor Lee-Wortley e sua sorella. Ma non era per niente sua sorella, ne sono sicura! Nessuno di noi ci ha creduto, nemmeno per un attimo! E non era neanche malata. Lo avevamo capito tutti! Pensavamo... che ci fosse qualcosa che non andava. E poi, l’altro giorno ero nel bagno di quella lì a sistemare gli asciugamani puliti, e li ho sentiti parlare. Lui diceva: «Bisogna fare qualcosa, prima che arrivi Poirot. Dobbiamo liberarcene al più presto.» E ha aggiunto, ma con una voce cattiva, piano piano: «Dove l’hai messo?» E lei ha risposto: «Nel dolce.» Oh, signore, mi sono sentita il cuore in gola, e poi ho creduto che non battesse più. Ho pensato che volessero mettere il veleno nel suo dolce di Natale. Non sapevo che cosa fare! La signora Ross non dà retta alle ragazze come me! Allora mi è venuta l’idea di scrivere un biglietto e di metterlo sul cuscino, così lei lo avrebbe trovato andando a letto.
Annie si interruppe, senza fiato.
Poirot la osservò con serietà per qualche istante.
– Tu vai troppo al cinema, Annie – disse alla fine – oppure vedi troppa televisione. Ma la cosa più importante è che hai buon cuore e sei alquanto ingegnosa. Quando tornerò a Londra, ti manderò un regalino.
– Oh, grazie mille, signore.
– Cosa ti piacerebbe, Annie?
– A me, signore? Potrei avere una cosa che mi piace, sul serio?
– Basta che sia ragionevole – disse Hercule Poirot prudentemente.
– Oh, signore, potrei avere una valigetta per il trucco? Una di quelle eleganti, come ce l’aveva la sorella del signor Lee-Wortley, che poi non era sua sorella?
– Sì – disse Poirot – sì, credo che sia possibile.
– Poi, come parlando tra sé, continuò: – Interessante. L’altro giorno, in un museo, stavo osservando certi pezzi antichi trovati in Babilonia o in un altro posto del genere, oggetti che avevano mille e mille anni... e fra le altre cose c’era anche una scatola per i cosmetici. Il cuore femminile non cambia.
– Come ha detto, signore?
– Niente – disse Poirot. – Stavo riflettendo. Avrai la tua valigetta, figliola.
– Oh, grazie, signore. Mille grazie davvero.
Annie si allontanò, in estasi. Poirot la seguì con gli occhi, annuendo tra sé, soddisfatto. – Ah! – si disse. – E adesso... è ora di andarmene. Qui non ho altro da fare.
Inaspettatamente, un paio di braccia gli circondarono le spalle.
-Se volesse mettersi sotto il vischio... – disse Bridget. Hercule Poirot si divertì. Si divertì moltissimo. E si disse che aveva trascorso un magnifico Natale.