Capitolo XXV incompleto
"Don Abbondio stava a capo basso: il suo spirito
si trovava tra quegli argomenti, come un pulcino
negli artigli del falco, che lo tengono sollevato
in una regione sconosciuta, in un'aria che non ha mai respirata. Vedendo che qualcosa bisognava rispondere,
disse, con una certa sommissione forzata:
- monsignore illustrissimo, avrò torto. Quando la vita
non si deve contare, non so cosa mi dire.
Ma quando s'ha a che fare con certa gente,
con gente che ha la forza, e che non vuol sentir ragioni,
anche a voler fare il bravo, non saprei cosa ci si potrebbe guadagnare. È un signore quello,
con cui non si può né vincerla né impattarla..."
Personaggi: ucia, Agnese, don Abbondio, don Rodrigo, il Griso e i bravi, il podestà di Lecco, l'Azzecca-garbugli, il cardinal Borromeo, il sarto e sua moglie, don Ferrante, donna Prassede, il cappellano crocifero
Luoghi: Il paese di Renzo e Lucia, il palazzotto di don Rodrigo, il paese vicino al castello dell'innominato
Tempo: Novembre-dicembre 1628
Temi: La giustizia, La cultura del Seicento, Nobiltà e potere, Chiesa e religione
Trama: La notizia della liberazione di Lucia si sparge nel territorio di Lecco. Don Rodrigo lascia il paese e va a Milano. Il cardinal Borromeo si reca in visita al paese dei due promessi e chiede a don Abbondio notizie di Renzo. Donna Prassede incontra Lucia e Agnese, proponendo di accogliere la ragazza in casa sua. Le due donne tornano al paese e parlano col cardinale. Borromeo parla con don Abbondio e gli chiede conto del mancato matrimonio, rimproverandolo per non aver adempiuto ai suoi doveri.
Le voci della liberazione di Lucia arrivano in paese
Il giorno seguente a quello della liberazione di Lucia il fatto di cui la ragazza è stata protagonista ha vasta eco nel suo paese e in tutto il territorio di Lecco, specie perché nella vicenda sono implicati anche due personaggi di alto rango e di grande fama come il cardinal Borromeo e l'innominato. Tutti iniziano a parlare anche del coinvolgimento di don Rodrigo, il quale farebbe a meno volentieri di essere oggetto di tante chiacchiere: ovviamente si parlava di lui anche prima, sia pure in maniera segreta e quasi nascosta per timore di sue reazioni, mentre ora il suo nome è sulla bocca di tutti in quanto la sua figura odiosa viene paragonata a quelle del cardinale e dell'innominato, ovvero di due grandissimi personaggi (uno con la fama di santo, l'altro di assassino e appaltatore di delitti che si è tuttavia ravveduto) rispetto ai quali il signorotto diventa assai poca cosa. Tutti i paesani accusano don Rodrigo di aver voluto perseguitare Lucia e gli vengono attribuite tante altre scelleratezze passate, anche se ovviamente nessuno lo fa di fronte a lui temendo la reazione dei suoi bravi, così come viene criticato il podestà suo amico, ma con prudenza per paura dei suoi birri. L'odio del popolo si riversa invece senza troppi riguardi sui cortigiani minori del signorotto, soprattutto sul dottor Azzecca-garbugli che viene additato in strada e fatto oggetto di improperi da parte dei paesani, cosicché per qualche tempo l'avvocato ritiene più prudente non farsi vedere in giro.
Don Rodrigo se ne va a Milano
Don Rodrigo sulle prime è sbalordito dallo sviluppo imprevisto degli eventi e per due giorni resta rintanato nel suo palazzotto circondato dai bravi, mentre il terzo decide di lasciare il paese e di andare a Milano: non che sia intimorito dalle chiacchiere della gente, poiché anzi sarebbe ansioso di usare qualche prepotenza contro i popolani più arditi per dare un esempio agli altri, ma ciò che lo induce a sloggiare è la notizia che il cardinal Borromeo è sul punto di recarsi in visita al paese, cosa che lo obbligherebbe a fargli qualche dimostrazione pubblica (specie per compiacere le attese del conte zio, ignaro di buona parte dell'intrigo) e il signorotto vuole ovviamente evitare un impegno così imbarazzante. Così una mattina don Rodrigo si alza molto presto e sale su una carrozza, circondato dal Griso e da altri bravi, e lascia il paese per Milano come Catilina in partenza da Roma, giurando fra sé che tornerà presto per vendicarsi dei torti e delle ingiurie subite.
Il cardinale giunge in visita al paese
Intanto il cardinal Borromeo sta visitando le parrocchie del territorio di Lecco e il giorno in cui è previsto il suo arrivo al paese di Lucia una gran folla si reca sulla strada ad attenderlo. Vicino all'ingresso nel villaggio, accanto alla casetta di Lucia e della madre Agnese, è stato posto un rudimentale arco trionfale ornato di paglia ed erbe, mentre la facciata della chiesa è bardata con tendaggi e alle finestre delle case i popolani appendono lenzuoli e fasce da neonati per accogliere festosamente il cardinale; verso le quattro del pomeriggio gran parte dei paesani va incontro al prelato in arrivo, preceduti da don Abbondio che sembra stizzito in mezzo a tutta quella confusione e allegria (il curato teme che Lucia e Agnese possano aver rivelato al cardinale le sue mancanze riguardo al matrimonio). A un tratto si vede spuntare la portantina su cui è il Borromeo, circondata dal suo seguito e da altri popolani che gli fanno da scorta, mentre spunta in aria la croce portata dal cappellano crocifero che cavalca una mula: tutti i paesani accorrono in modo disordinato verso il corteo, invano trattenuti da don Abbondio che li invita a muoversi con maggiore ordine, finché anche lui si rassegna a infilarsi nella chiesa ancora vuota e ad attendere qui l'arrivo del cardinale.
Il cardinale chiede a don Abbondio ragguagli su Renzo
Il cardinale avanza in mezzo alla folla, dando e ricevendo benedizioni dai presenti, mentre i membri del suo seguito hanno un bel daffare a tenere a distanza i popolani più scalmanati: questi vogliono far festa al prelato per via della vicenda di Lucia, anche se il Borromeo riceve accoglienze analoghe ovunque vada (in occasione del suo primo solenne ingresso nel duomo di Milano, infatti, la calca era stata tale che alcuni nobili avevano dovuto tenere a bada la folla con le spade e due giovani preti avevano dovuto sollevare di peso Federigo e portarlo all'altare, per evitare che fosse schiacciato dalla ressa dei fedeli). Il cardinale entra nella chiesa del paese e rivolge un breve discorso di contenuto edificante ai presenti, quindi si apparta con don Abbondio nella sua casa e gli chiede informazioni relative a Renzo: il curato risponde che il giovane filatore ha un carattere un po' testardo e collerico, anche se deve riconoscere che è sempre stato un galantuomo e che nemmeno lui sa spiegarsi come possa essersi messo nei guai con la giustizia. Federigo chiede se Lucia possa tornare a vivere sicura in paese, al che don Abbondio ribatte che al momento non c'è pericolo per lei, data l'assenza del suo persecutore, ma bisognerebbe che il cardinale fosse sempre presente. Federigo afferma di voler trovare per la ragazza un rifugio sicuro e dispone di far venire lei e la madre in paese il giorno dopo, congedandosi poi dal curato: questi crede ingenuamente che Agnese non abbia rivelato al superiore della sua condotta e dunque si rallegra, ignorando che il prelato attende il momento più opportuno per rimproverarlo delle sue mancanze.
Lucia e Agnese in casa del sarto. Donna Prassede
In realtà le preoccupazioni del cardinale riguardo a Lucia sono inutili, perché nei giorni precedenti sono accadute alcune cose che l'autore riferisce facendo un passo indietro: Lucia e Agnese sono ospiti nella casa del sarto, nel villaggio vicino al castello dell'innominato, dove la ragazza chiede di lavorare e passa tutto il tempo a cucire, mentre la madre nutre speranze per l'avvenire e sogna una riunificazione con Renzo, senza immaginare che tali discorsi suonano molto penosi alle orecchie della figlia (Lucia, infatti, non le ha ancora rivelato per vergogna la faccenda del voto). Con i padroni di casa è nata un'affettuosa amicizia e Agnese chiacchiera amabilmente con la moglie del sarto, mentre quest'ultimo racconta talvolta alle due donne delle storie che trae dai libri popolari che ama leggere.
Poco lontano dal paese, in una casa di villeggiatura, è presente in quei giorni una coppia di nobili milanesi, don Ferrante e donna Prassede: quest'ultima è una gentildonna che sente il bisogno di fare del bene a tutti, non tanto per inclinazione caritatevole quanto piuttosto per capriccio personale, cosicché usa spesso dei mezzi sconvenienti e impone le sue attenzioni anche a chi non le vorrebbe, finendo per apparire il più delle volte grottesca e ridicola. La donna ha sentito parlare di Lucia e delle sue traversie, quindi decide di incontrarla e un giorno manda una carrozza alla casa del sarto per portare madre e figlia alla sua villa, cosa che imbarazza non poco la ragazza che vorrebbe rifiutare l'invito: il sarto, tuttavia, insiste con la giovane perché non faccia un torto a una signora potente che potrebbe esserle d'aiuto, per cui alla fine Lucia si convince e si reca con la madre alla casa di donna Prassede, che riserva loro una calorosa accoglienza.
Donna Prassede offre ospitalità a Lucia
I modi di donna Prassede, per quanto ispirati da una certa superiorità, risultano alquanto accattivanti agli occhi di Lucia e Agnese, tanto più che la nobildonna, avendo sentito dire che il cardinal Borromeo sta cercando un rifugio per la ragazza, propone di ospitarla nella sua casa di Milano, dove la giovane potrà dare una mano alla servitù senza essere addetta a nessun lavoro in particolare. Donna Prassede si offre di comunicare la cosa al cardinale ed è determinata in questo suo progetto non solo perché vuole giovare a Lucia, ma soprattutto perché è convinta che la ragazza, promessa a un poco di buono e ricercato dalla giustizia come Renzo, sia su una cattiva strada e dunque ha preso l'impegno di rimetterla sulla retta via, benché ovviamente non dica nulla in proposito (l'aspetto di Lucia, ritroso e pudico in apparenza, la convince ancor di più nella sua convinzione, poiché è persuasa che la ragazza nasconda un animo caparbio). Lucia e Agnese si guardano in viso e convengono sull'opportunità di accettare la proposta, se non altro in quanto la villa di donna Prassede è molto vicina al loro paese, quindi rispondono di sì e la nobildonna promette che invierà una lettera al cardinale per informarlo della cosa. La lettera viene poi scritta dal marito don Ferrante, che passa per un letterato e la compone con la consueta maestria, quindi la missiva viene mandata a casa del sarto (di lì a pochi giorni giunge la portantina mandata dal cardinale, che porta le due donne al loro paese).
Lucia e Agnese tornano al paese
Lucia e Agnese arrivano al paese e smontano alla casa parrocchiale, dove il cardinale le attende e dove il cappellano crocifero si affretta a dare loro qualche ragguaglio su come dovranno comportarsi col prelato (il prete è sempre preoccupato del poco ordine che regna intorno al Borromeo, per la sua troppa bontà). Il cardinale sta parlando con don Abbondio, che dunque deve allontanarsi senza poter dare a sua volta l'imbeccata alle due donne e limitandosi a una veloce occhiata; in seguito Agnese, dopo uno scambio di cortesie con Federigo, gli mostra la lettera di don Ferrante e il prelato, dopo averla letta, conviene che l'invito di donna Prassede è benevolo e che la casa dei due nobili sarà un rifugio sicuro per Lucia. Il prelato ha parole di consolazione e di conforto per le due donne, che vengono esortate a confidare nella Provvidenza divina, quindi sono congedate dal cardinale ed escono dalla chiesa, venendo festeggiate con grande affetto da molti amici e amiche di paese, che le portano a casa tra mille domande e offrendo il loro aiuto, in modo sincero ma certo alquanto tardivamente (l'anonimo, osserva con ironia l'autore, ha coniato il proverbio in base al quale si hanno molte offerte di aiuto quando meno se ne ha bisogno). Tutte quelle attenzioni perlomeno distraggono Lucia dai suoi pensieri, così come la breve permanenza nella loro casa, poi le due donne si recano in chiesa dove hanno luogo le funzioni officiate dal cardinale.
Il cardinale e don Abbondio: le giustificazioni del curato
Alla fine delle funzioni don Abbondio corre a vedere se Perpetua ha predisposto tutto per la cena, ma viene chiamato dal cardinale che inizia con lui un discorso che preannuncia di non essere molto breve, poiché il prelato gli chiede per quale motivo non abbia celebrato il matrimonio tra Renzo e Lucia. Don Abbondio capisce con amarezza che Agnese deve aver raccontato tutto e tenta di opporre al suo superiore delle deboli giustificazioni, che però Federigo rintuzza tornando a chiedere il motivo della condotta del curato. Questi rivela di aver ricevuto delle minacce e non vorrebbe aggiungere altri dettagli, ma poiché il cardinale torna a chiedere conto di quanto avvenuto don Abbondio è costretto a raccontare tutta la storia e il solo particolare che omette è il nome di don Rodrigo, da lui definito un "gran signore".
Il cardinale si mostra assai stupito delle giustificazioni del curato e don Abbondio ribadisce che era in pericolo la sua vita, al che tuttavia Federigo lo rimprovera ricordandogli che il ministero del sacerdozio non dà certo alcuna garanzia di incolumità e, anzi, i parroci sono come agnelli tra i lupi, inviati a predicare il Vangelo anche a chi obbedisce alle leggi della violenza e dell'odio, chiamati ad addossarsi tutti i rischi connessi a questa funzione (come del resto, ricorda il cardinale, fece lo stesso Gesù Cristo una volta sceso sulla Terra). Nessun prete può porre come condizione per fare il proprio dovere quella di aver salva la vita, nel che don Abbondio ha mancato in modo vergognoso e sarebbe assai grave se tutti gli uomini di Chiesa si comportassero come lui, che ha piegato il capo di fronte alla violenza e alla prevaricazione.
fonte: http://promessisposi.weebly.com/capitolo-xxv.html