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Capitolo XVII

"E stando così fermo, sospeso il fruscìo de' piedi nel fogliame, tutto tacendo d'intorno a lui, cominciò a sentire un rumore, un mormorìo, un mormorìo d'acqua corrente. Sta in orecchi; n'è certo; esclama: - è l'Adda! - Fu il ritrovamento d'un amico, d'un fratello, d'un salvatore..."

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I Promessi Sposi
 · 6 years ago
G. Carnovali, Lungo l'Adda (1859)
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G. Carnovali, Lungo l'Adda (1859)

Personaggi: Renzo, Bortolo, il pescatore, i mendicanti

Luoghi: L'Adda, il Bergamasco, il paese di Bortolo

Tempo: Dalla sera del 12 alla mattina del 13 novembre 1628

Temi: La giustizia, La carestia, Il tumulto di S. Martino

Trama: Renzo si allontana da Gorgonzola e si dirige verso l'Adda. Si addentra nella boscaglia, finché raggiunge il fiume. Pernotta in un capanno, poi al mattino passa il fiume con l'aiuto di un pescatore. Raggiunge il paese di Bortolo e incontra il cugino, che gli offre aiuto e lavoro.

F. Gonin, Renzo in cammino
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F. Gonin, Renzo in cammino


Renzo si incammina verso l'Adda

Sono circa le cinque e mezzo di pomeriggio e Renzo lascia il paese di Gorgonzola, dirigendosi a piedi verso l'Adda: è combattuto tra il desiderio di correre e di star nascosto, poiché le parole del mercante all'osteria lo hanno messo in grande agitazione. Il giovane ora sa che la sua vicenda a Milano ha fatto chiasso e che la giustizia è davvero decisa a catturarlo, anche se si rincuora pensando che nessuno, a parte i due birri che l'hanno arrestato, lo ha visto in faccia e che non ha il suo nome scritto in fronte. Percorre la via maestra, intenzionato a imboccare il primo viottolo fuori mano per non fare brutti incontri, e vuole raggiungere ad ogni costo il fiume, del quale sentirà il forte scroscio (se non potrà attraversarlo subito è deciso a passare la notte in qualche ricovero di fortuna, che sarà sempre meglio che finire in prigione). Imbocca un sentiero sulla sinistra e inizia a pensare tra sé, non incontrando nessuno.
Il giovane ripensa alle parole del mercante sul suo conto ed è in collera per le falsità che ha sentito, specie riguardo ai suoi presunti propositi di "ammazzare tutti i signori": ricorda a se stesso di aver solo aiutato Ferrer e il vicario di Provvisione, rischiando oltretutto di essere linciato dalla folla, mentre il "fascio di lettere" che, secondo il mercante, sarebbe nelle mani della giustizia, è in realtà la sola lettera scritta da padre Cristoforo e ancora in possesso di Renzo, e contiene le parole di un religioso che, secondo il giovane, vale assai più del mercante che va in giro a parlare dei fatti altrui senza conoscerli.

F. Gonin, Renzo accanto a una cascina
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F. Gonin, Renzo accanto a una cascina

Renzo si addentra nella boscaglia

Renzo prosegue il cammino e a un certo punto arresta il corso dei suoi pensieri: è buio e non ha timore di essere seguito o scoperto, ma la solitudine e la stanchezza iniziano a pesargli e la brezza serale lo infreddolisce, dal momento che indossa vestiti leggeri. Quando passa accanto a case o cascinali vede solo dei lumicini attraverso le finestre chiuse, mentre tende invano l'orecchio per sentire il rumore dell'Adda; dalle case sente il mugolare dei cani, che diventa un abbaiare furioso se si avvicina troppo. Potrebbe bussare a una porta per chiedere asilo, ma teme di suscitare domande curiose o, peggio, di mettere in allarme gli abitanti facendo credere di essere un ladro, per cui decide di continuare a camminare fino a giungere al fiume, per non essere costretto a cercarlo anche alla luce del sole.
Il giovane abbandona l'abitato per addentrarsi in una fitta boscaglia, che gli sembra preannunciare la vicinanza del fiume; procede in luoghi selvatici e lontani dalle colture umane, recitando tra sé le preghiere per i morti onde scacciare il timore che sente nascere in cuore, al ricordo di certe storie paurose sentite da bambino. Procede ancora e si accorge di entrare in un vero e proprio bosco, passo che affronta non senza un qualche ribrezzo: la sagoma oscura degli alberi gli sembra spettrale e mostruosa, ogni minimo rumore lo fa sobbalzare, le gambe sembrano non reggere più e, come se non bastasse, la brezza notturna lo rende intirizzito dal freddo. La situazione lo riempie di terrore e sta per smarrirsi del tutto, poi riesce a riaversi e a fare appello a tutto il suo coraggio, ormai sul punto di ritrovare una strada battuta e chiedere ricovero in qualche posto abitato, anche in un'osteria. Si ferma e resta in silenzio per qualche attimo, finché sente un mormorio indistinto che, ascoltando con più attenzione, gli sembra uno scroscio d'acqua: capisce con enorme sollievo che si tratta dell'Adda e, quasi non sentendo più la stanchezza, procede senza paura verso il rumore, certo di essere ormai vicinissimo al fiume.

Renzo arriva al fiume (ed. 1840)
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Renzo arriva al fiume (ed. 1840)

Renzo raggiunge l'Adda

Dopo pochi attimi Renzo raggiunge la riva dell'Adda e vede l'acqua del fiume che scorre luccicante in basso: alza lo sguardo e scorge vari paesi sulla riva opposta, compresa una gran macchia biancastra che dev'essere la città di Bergamo. Raggiunge la riva e osserva se per caso ci sia qualche barca nelle vicinanze, o se si senta il battere dei remi, poiché però non vede né sente nulla decide di attendere l'indomani prima di fare qualunque cosa, poiché l'Adda non è fiume di cui si possa tentare il guado a cuor leggero. Il giovane pensa dove sia meglio passare la notte ed esclude di arrampicarsi su un albero, poiché il freddo rischierebbe di farlo congelare, e anche di camminare avanti e indietro, poiché le sue gambe sono troppo stanche per reggere la stanchezza. Si ricorda di aver visto poco prima un capanno di paglia e fango usato dai contadini per custodire il raccolto d'estate e abbandonato d'autunno, per cui decide di passare lì la notte e si rimette in marcia per raggiungerlo. Una volta arrivato al capanno, ne apre facilmente l'uscio e vi entra, trovandovi una specie di amaca sospesa in cui tuttavia non si azzarda a salire; vede in terra poca paglia e decide di stendersi lì per dormire le poche ore che lo separano dal mattino.

F. Gonin, Renzo in preghiera
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F. Gonin, Renzo in preghiera

Renzo passa la notte nel capanno

Renzo si inginocchia sulla paglia ringraziando la Provvidenza di avergli fatto trovare quel ricovero, quindi recita le preghiere a differenza della sera prima, quando è andato a letto ubriaco (e forse per questo, pensa, il risveglio è stato tanto spiacevole). Quindi il giovane si copre con la paglia per difendersi dal freddo, che è pungente anche dentro al capanno, e si stende deciso a dormire, anche se la cosa gli riesce difficile in quanto la mente è piena di immagini e pensieri relativi alle recenti esperienze. Renzo vede davanti a sé tutti i personaggi da lui incontrati negli ultimi due giorni (il mercante, il notaio criminale, i birri, il poliziotto, l'oste della Luna Piena, Ferrer, il vicario...), nonché don Abbondio e don Rodrigo, tutta gente con cui ha dei conti in sospeso; vede anche nella sua mente i volti delle persone care, Agnese, Lucia, padre Cristoforo, specie gli ultimi due che sono strettamente associati in lui a ricordi piacevoli. Ma anche questo pensiero ha qualcosa di doloroso, sia per il rammarico di non aver seguito i saggi consigli del frate, sia per i sentimenti che il giovane prova per la sua promessa; quanto ad Agnese, Renzo la ricorda con affetto ma anche col triste pensiero che la donna è stata costretta a lasciare la sua casa, incerta dell'avvenire, tutto a causa di quel matrimonio che lei aveva così felicemente approvato. Tra i pensieri angosciosi e il freddo pungente, Renzo dispera di prender sonno e attende con impazienza la venuta del giorno, misurando il lento scorrere delle ore grazie ai rintocchi del campanile di un paese vicino, probabilmente Trezzo d'Adda.

F. Gonin, Renzo sulla barca
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F. Gonin, Renzo sulla barca

Renzo attraversa il fiume sulla barca del pescatore

Quando il campanile batte le cinque del mattino, Renzo decide che è il momento di alzarsi ed esce dal capanno, ancora tutto infreddolito e con le membra intorpidite, guardandosi intorno per sincerarsi che non ci sia nessuno. Imbocca poi il sentiero percorso la notte prima e si dirige al fiume, mentre il cielo promette una giornata serena all'incerto chiarore lunare e l'alba proietta una luce rossastra sull'orizzonte, disegnando un paesaggio assai diverso da quello cui il giovane è abituato tra le sue montagne. Percorre nuovamente la strada della sera prima, ridendo tra sé per il terrore ispiratogli dalle piante che ora gli sembrano innocue, e alla fine raggiunge la riva dell'Adda, dove vede un pescatore che si avvicina alla sponda con la sua barchetta remando controcorrente. Renzo chiama il pescatore e gli fa cenno di approdare, e dopo che l'uomo ha accostato con mille cautele il giovane salta dentro il battello, chiedendo di essere traghettato sull'altra sponda in cambio di una ricompensa. Il pescatore accetta e inizia a muovere la barca verso la riva opposta, mentre Renzo afferra un secondo remo e aiuta a sua volta a fendere le acque, dimostrando al barcaiolo che sa come manovrare un'imbarcazione. Il battello procede a zig-zag, ora fendendo la corrente e ora assecondandola, quindi Renzo chiede al pescatore se il paese dall'altra parte sia Bergamo: l'altro risponde di sì e aggiunge che la riva opposta è terra di S. Marco, al che Renzo si lascia andare a un'esclamazione di gioia.
Una volta approdati sull'altra sponda, Renzo dà al pescatore una berlinga e si allontana, mentre l'uomo intasca la moneta e augura al giovane buon viaggio. Il pescatore è solito svolgere un servizio simile ai contrabbandieri e ai banditi che chiedono di essere traghettati sulla sponda veneta del fiume, non tanto per avidità di guadagno quanto per non farsi dei nemici fra quel genere di individui, badando a non incorrere nella giustizia.

Renzo nel Bergamasco (ed. 1840)
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Renzo nel Bergamasco (ed. 1840)

Renzo in cammino verso il paese di Bortolo

Renzo si sofferma un momento sulla riva, guardando la patria che ha appena lasciato e rallegrandosi dello scampato pericolo, anche se è triste al pensiero delle persone care che sono rimaste laggiù. Si incammina poi verso Bergamo, chiedendo lungo la strada con disinvoltura ai viandanti come raggiungere il paese del cugino Bortolo, apprendendo che gli restano da percorrere nove miglia. Si mette in marcia inoltrandosi nel territorio e non tarda a rendersi conto che la carestia è tristemente presente anche qui: attraversando i villaggi vede molti accattoni che non sono soliti esercitare questo mestiere e contadini impoveriti che chiedono l'elemosina insieme alle loro famiglie, per cui si domanda se troverà lavoro a dispetto di tanta penuria. Si consola pensando che Bortolo è un uomo benestante e non lo abbandonerà, confidando anche nell'aiuto della Provvidenza.
Mentre cammina si rende conto di essere affamato e pensa che non sarebbe una bella cosa presentarsi al cugino chiedendo un pasto, quindi vuota le tasche per sincerarsi di quanto denaro gli rimanga: non è gran che, ma è sufficiente per un pasto frugale e perciò entra in un'osteria (dopo aver pagato il conto, gli rimane ancora qualche moneta).

F. Gonin, Renzo fa l'elemosina
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F. Gonin, Renzo fa l'elemosina

Renzo spende gli ultimi soldi in elemosina

Mentre esce dall'osteria in cui ha mangiato, Renzo vede due donne accasciate in terra, una anziana e l'altra più giovane con un bambino fra le braccia che tenta inutilmente di allattare, mentre in piedi accanto a loro c'è un uomo che un tempo doveva essere robusto e che ora le privazioni hanno reso debole e fiacco. Tutti e tre stendono la mano per chiedere qualcosa e Renzo esclama che c'è la Provvidenza, estraendo dalla tasca le ultime monete e mettendole nella mano più vicina, riprendendo subito dopo il suo cammino.
L'opera buona e il pasto consumato hanno rallegrato il giovane, che si è privato degli ultimi soldi ma confida maggiormente nell'avvenire, poiché la Provvidenza ha fatto in modo che lui, forestiero e per giunta fuggiasco, facesse l'elemosina a quelle povere persone, quindi non potrà certo abbandonarlo nel momento del bisogno. Renzo pensa inoltre che la carestia prima o poi finirà, che è abile come lavoratore della seta e che a casa ha un po' di denaro, che provvederà a farsi spedire; fantastica circa il fatto che, una volta tornata l'abbondanza, troverà lavoro in un filatoio e metterà da parte dei risparmi, con cui potrà fare in modo che le due donne lo raggiungano, mentre pensa che anche in quella terra ci sono curati e che potrà sposare Lucia senza troppi problemi. Sogna la loro vita insieme in quei luoghi, dove mostrerà alla promessa sposa e ad Agnese il punto in cui ha attraversato l'Adda, lasciandosi alle spalle il triste passato.

Renzo e Bortolo (ediz. 1840)
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Renzo e Bortolo (ediz. 1840)

Renzo ritrova il cugino Bortolo

Renzo arriva finalmente al paese del cugino e vede un edificio alto con più ordini di lunghe finestre, che riconosce subito come un filatoio: entra e chiede se si trova lì Bortolo Castagneri, al che un lavorante gli indica il "signor Bortolo" poco lontano. Sentendo che il cugino è chiamato "signore" Renzo si rincuora, quindi raggiunge il cugino all'interno dello stabilimento: dopo uno scambio di affettuosi saluti Bortolo porta Renzo in una stanza appartata, lontano dalle macchine e dai curiosi, dove lo rimprovera bonariamente di averlo raggiunto solo ora, in un momento critico per la produzione delle seta. Renzo spiega le circostanze in cui ha dovuto compiere quel passo e il cugino lo rassicura dicendogli che, se anche il lavoro è scarso e non c'è grande richiesta di operai, lui farà in modo di aiutarlo grazie al favore che gode presso il padrone del filatoio, di cui è il factotum. Bortolo ricorda poi con piacere Lucia e la povera casetta in cui viveva con Agnese, aggiungendo parole di condanna per don Rodrigo, quindi chiede a Renzo se ha mangiato e quanti denari gli restano. Il giovane dice di aver fatto colazione e di aver finito gli ultimi soldi, ripromettendosi di farsi inviare quelli che ha a casa, quindi Bortolo afferma che sarebbe inutile per lui aver messo da parte del benessere se non lo usasse per aiutare parenti e amici. Chiede inoltre a Renzo ragguagli sulla rivolta avvenuta a Milano e aggiunge che, quanto alla carestia, nel Bergamasco le cose vanno diversamente e la città ha acquistato da un mercante di Venezia del grano proveniente dalla Turchia, per provvedere alla popolazione; le città di Verona e Brescia hanno cercato di imporre dazi doganali, ma un avvocato di nome Lorenzo Torre è andato di persona a Venezia per convincere il doge dell'insensatezza del provvedimento ed esso è stato revocato. In seguito il senato veneziano ha spedito una quantità di miglio nel Bergamasco, per provvedere alle necessità delle popolazioni rurali.

Bortolo dà a Renzo alcuni utili consigli


Bortolo spiega poi a Renzo che lo presenterà al padrone del filatoio, un uomo generoso al quale lui ha già parlato del cugino e che gli troverà certamente un impiego, quindi informa il giovane che i Milanesi vengono chiamati dai Bergamaschi col titolo non molto onorevole di "baggiani" (sciocchi), sia pure in senso affettuoso. Renzo non accoglie bene la notizia e si mostra irritato da questa bizzarra abitudine, ma Bortolo gli spiega che la cosa è normale in quel territorio e se un Milanese vuol vivere lì ci si deve rassegnare, altrimenti dovrebbe venire alle mani tutto il tempo; può darsi che in futuro questa strana consuetudine verrà meno, ma per il momento le cose stanno così e Renzo si dovrà abituare, specie pensando a ciò che volevano fargli i suoi compatrioti milanesi. Bortolo accompagna poi Renzo dal padrone e fortunatamente riesce a sistemarlo in modo dignitoso, cosa provvidenziale perché il giovane non potrà certo fare assegnamento sui denari lasciati a casa (vedremo presto il motivo).

Temi principali e collegamenti


- Il capitolo narra la conclusione della fuga di Renzo dal territorio di Milano, con il cammino notturno verso l'Adda che risulta la parte più difficile e insidiosa del viaggio, non tanto per i pericoli materiali ma per l'angoscia interiore che il giovane deve affrontare nel bosco (l'arrivo al fiume coincide con la fine di un incubo e l'inizio di una nuova fase nella vita del protagonista, per cui si veda oltre). Renzo si dimostra in questo episodio un vero "eroe cercatore", che affronta la strada e i pericoli che essa presenta, mostrando spirito d'iniziativa e una buona dose di coraggio (specie nel trovare il cammino al buio e nel decidere poi di non tentare il guado perché troppo rischioso, passando la notte nel capanno). Per approfondire: E. Raimondi, Renzo eroe cercatore.

- Nel soliloquio iniziale Renzo ripensa alle assurde calunnie che il mercante ha detto su di lui all'osteria di Gorgonzola, immaginando di spiegare all'interlocutore le sue ragioni: insiste soprattutto sul fatto di aver agito a fin di bene e di essere finito nei guai per questo, ripromettendosi di essere più prudente in avvenire (viene ridicolizzata anche la trasformazione della lettera di padre Cristoforo in un "fascio" di carte, come il fatto che essa conterrebbe la "cabala" della rivolta, poiché è la lettera di un religioso a un altro frate). Il discorso di Renzo è un esempio di retorica popolare, non privo di una certa efficacia.

- La veglia angosciosa di Renzo, assillato dai pensieri delle persone care e dal rammarico di essersi cacciato nei guai, rimanda ad altre analoghe notti insonni di vari personaggi del romanzo, sia pure con sfumature diverse: da quella comica di don Abbondio prima del matrimonio (cap. II), a quella ben più seria dell'innominato dopo il rapimento di Lucia (XXI) e di Lucia stessa prigioniera nel suo castello, fino all'incubo di don Rodrigo che sogna l'ammonimento di fra Cristoforo e si scopre ammalato di peste (XXXIII). A parte l'intermezzo più leggero del curato, in tutti gli altri casi i personaggi sono angustiati da pensieri legati alla coscienza e al giudizio divino, anche se gli esiti saranno volta a volta diversi (la fiducia nella Provvidenza per Renzo e Lucia, la più tetra disperazione per l'innominato, il terrore della morte imminente per don Rodrigo).

- Il barcaiolo che traghetta Renzo sull'altra sponda dell'Adda è una figura analoga a quello che ha trasportato lui e le due donne in fuga dal paese (cap. VIII), con la differenza che quello agiva per spirito caritatevole e in modo disinteressato, questo svolge abitualmente un tale servizio in cambio di denaro.

- Compare finalmente il personaggio di Bortolo Castagneri, il cugino di Renzo emigrato nel Bergamasco che si mostra subito sollecito nel dare asilo e lavoro al giovane fuggiasco (vedremo in seguito che il suo aiuto non sarà del tutto disinteressato). Il discorso con cui illustra i provvedimenti assunti dalla città di Bergamo e dal senato veneziano per alleviare le sofferenze della carestia è importante, perché mostra il modello economico privilegiato da Manzoni (fondato sul libero commercio e la circolazione delle merci, senza dazi doganali) ed è polemicamente contrapposto alla politica insensata delle autorità milanesi, con l'imposizione del calmiere sul prezzo del pane. L'autore ha tratto le notizie su Lorenzo Torre e G.B. Bava dal trattato di Lorenzo Ghirardelli, Il memorando contagio seguito in Bergamo l'anno 1630 (pubblicato nel 1681), in cui si parla della peste (l'autore lo citerà come fonte nel cap. XXXIII).

- Il termine "baggiani" con cui i Bergamaschi chiamano i Milanesi corrisponde al lombardo bagiann, "sciocco", e ciò che Bortolo spiega a Renzo si rifà a un'usanza ancora attiva al tempo di Manzoni in quei territori. Dalla parola è derivato l'italiano "baggianata", che significa appunto "sciocchezza".

- Renzo non potrà fare affidamento sul denaro lasciato in paese perché questo verrà sequestrato dalla giustizia in seguito a una rovinosa perquisizione, come narrato all'inizio del cap. XVIII. Col cap. XVII si conclude un ampio tratto di narrazione (iniziato alla fine del cap. XI) che ha descritto le vicissitudini di Renzo dopo la fuga dal paese e che ha visto lui solo tra i personaggi principali sulla scena; dal successivo inizierà un altro gruppo di capitoli dedicati alle tribolazioni di Lucia (XVIII-XXVII), mentre Renzo farà la sua ricomparsa solo nel XXVI quando dovrà trasferirsi in un altro paese e assumere il falso nome di Antonio Rivolta.

G. Doré, Pollicino nel bosco
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G. Doré, Pollicino nel bosco

Il cammino di Renzo verso l'Adda come il percorso di un eroe fiabesco

Nei capp. XI-XVII dei Promessi sposi Renzo è protagonista di una sorta di "romanzo di formazione", un viaggio che egli compie verso l'ignoto in cerca di giustizia e che diventa per lui un percorso ricco di ostacoli e prove da superare, al termine del quale si ritroverà più maturo e più saggio di fronte alle vicende della vita (è il modello del Bildungsroman proprio della letteratura tedesca e europea, in cui l'eroe "cercatore" affronta un viaggio con spirito picaresco e dove la strada è l'ambientazione principale, con le sue insidie e i suoi pericoli; cfr. E. Raimondi, Renzo eroe cercatore). Non c'è dubbio che tale modello abbia agito fortemente sull'autore nel delineare le avventure di Renzo a Milano e successivamente la sua fuga nel Bergamasco, tuttavia vi sono forti analogie anche con lo schema narrativo della fiaba e con la tipologia di "eroe" al centro di questo racconto tradizionale, specie se si guarda ad alcuni elementi che sono propri dell'intreccio fiabesco: Renzo è un giovane che deve lasciare la sua patria e affrontare un viaggio pieno di incognite, che ha per "oggetto del desiderio" la giustizia e, dunque, il modo per ricongiungersi all'amata Lucia; ha un "mandante" in padre Cristoforo che lo indirizza a Milano e gli consegna la lettera da presentare al convento, che diventa una sorta di "dono" per il protagonista; lungo la strada incontra vari personaggi "antagonisti" che tentano di ostacolarlo (la folla che vuole linciarlo, il notaio criminale, i birri...), alcuni "falsi aiutanti" che si fingono suoi alleati (l'oste della Luna Piena, il poliziotto travestito) e alcuni "aiutanti" che lo agevolano nella fuga in seguito al tumulto (il cittadino di Milano, il viandante che gli mostra la strada, il pescatore che lo traghetta al di là dell'Adda...). La stessa entrata in Milano diventa l'ingresso, almeno inizialmente, in una dimensione presentata come "fiabesca", un mondo alla rovescia in cui la rivolta in atto è presentata come sovvertimento momentaneo della realtà sociale (Renzo trova a terra pane e farina, il che lo porta ad affermare che questo è il "paese di cuccagna"), mentre in seguito la città in tumulto diventa uno spazio ricco di insidie e potenzialmente pericoloso che sottopone Renzo a una serie di "prove", e se anche il giovane in un primo momento fallisce e rischia di perdersi, in seguito si ravvede e intraprende il cammino verso il Bergamasco che è anche un percorso di redenzione, che lo porterà a imparare dagli errori commessi e a diventare più forte nell'avvenire.
Infatti è soprattutto durante il cammino verso l'Adda (cap. XVII) che la cifra "fiabesca" del viaggio di Renzo risulta in maniera più evidente, in particolare per il taglio narrativo scelto dall'autore nel descrivere il suo avvicinamento al confine con lo Stato veneto: il giovane procede a piedi, come solitamente fanno gli eroi delle fiabe ("Cammina, cammina", come già nel cap. XVI: "Cammina, cammina; trova cascine, trova villaggi... è certo d'allontanarsi da Milano, spera d'andar verso Bergamo"), e man mano che cala la notte si addentra in luoghi sconosciuti e sempre più selvaggi, che lo allontanano da ogni segno di presenza umana e fanno nascere in lui strane inquietudini. Il momento più drammatico è l'ingresso in un bosco, che nelle fiabe rappresenta solitamente lo spazio dell'ignoto e del pericolo e in cui Renzo si inoltra non senza provare una forte inquietudine: emerge la paura dei racconti sentiti da bambino, vede ombre e minacce dappertutto, sta per essere sopraffatto da un orrore ancestrale e per ciò più profondo, anche se, a differenza dei racconti fiabeschi, il giovane non deve combattere con mostri in carne ed ossa ma con la sua angoscia interiore (dunque il bosco è la proiezione fisica delle paure che egli coltiva dentro di sé e che è chiamato a vincere per superare la "prova" più difficile in questo suo percorso di formazione, per crescere come individuo). E infatti Renzo vince la paura appellandosi al suo coraggio e alla sua forza, atterrito dalla stessa idea di venire sopraffatto da un terrore irrazionale, e mentre medita di tornare indietro e chiedere ricovero in qualche casa ecco che sente il rumore dello scorrere dell'Adda, che in questa situazione assume la valenza simbolica della sua salvezza e la vittoria sui fantasmi dell'oscurità: l'autore sottolinea il sollievo del protagonista con un triplice climax ascendente ("Fu il ritrovamento d'un amico, d'un fratello, d'un salvatore") ed è chiaro che il viaggio di Renzo ha raggiunto una prima importante tappa, un momento essenziale del suo processo di formazione e maturazione. Non a caso, infatti, è solo a questo punto che il giovane si rende conto degli errori commessi in precedenza e ne chiede perdono in preghiera, mentre il successivo passaggio del fiume segna l'ingresso in uno spazio che non sarà più insidioso come la città di Milano, ma segnerà l'inizio di una nuova vita in cui Renzo, tra l'altro, getterà le basi della futura esistenza quando finalmente riuscirà a sposare la sua promessa, trasferendosi con lei proprio in questo territorio.
La dimostrazione di ciò è il secondo viaggio che Renzo compirà a Milano al tempo della peste (XXXIII-XXXIV), che avrà caratteristiche del tutto diverse e non sarà più un percorso di formazione, ma la messa a frutto delle passate esperienze e dell'avvenuta maturazione nel corso del primo viaggio e della permanenza nel Bergamasco: questa volta la decisione di mettersi in cammino è assunta da Renzo in piena autonomia, lungo la strada è abile a evitare ostacoli e "falsi aiutanti" e, soprattutto, quando giunge a Milano dimostra di aver imparato dai propri errori, evitando accuratamente di mettersi nei guai con una condotta incauta. La città non ha del resto più nulla di "fiabesco", poiché in essa regna l'orrore della peste e il suo attraversamento diventa per Renzo una sorta di "discesa agli inferi", in cui le "prove" da superare consistono nella razionalizzazione della tragedia e, soprattutto, nel coraggio di andare fino in fondo per scoprire la verità su Lucia, che potrebbe essere ammalata o addirittura morta: ciò non toglie che anche in questa occasione Renzo passerà i suoi guai e rischierà il linciaggio come già avvenuto durante il tumulto, tuttavia riuscirà a salvarsi con fortuna e destrezza trovando l'aiuto inaspettato dei monatti, che come "aiutanti" sono davvero molto diversi dai personaggi rassicuranti del primo viaggio e somigliano piuttosto ai demoni che affollano la città sconvolta dal contagio. Anche nell'affrontare questa situazione Renzo dimostra scaltrezza e maturità, per cui si può affermare che al suo arrivo al lazzaretto il suo percorso di formazione sia quasi concluso, benché gli resti da affrontare l'ultima e decisiva prova che consiste nel perdono dell'odiato don Rodrigo: questa, tuttavia, sarà una difficoltà tutta e solo interiore, il cui superamento consentirà a Renzo di completare con successo la sua maturazione e di trasformarsi in un individuo migliore di quanto non fosse all'inizio della vicenda, come dimostra la morale ingenua ma efficace che egli esprime nelle pagine finali del romanzo e in cui elenca le cose che ha "imparato" nel corso delle sue peregrinazioni, tutte tra l'altro avvenute proprio nelle spazio "insidioso" della città di Milano.


Capitolo XVII
Basta spesso una voglia, per non lasciar ben avere un uomo [1]; pensate poi due alla volta, l’una in guerra coll’altra. Il povero Renzo n’aveva, da molte ore, due tali in corpo, come sapete: la voglia di correre, e quella di star nascosto: e le sciagurate parole del mercante gli avevano accresciuta oltremodo l’una e l’altra a un colpo. Dunque la sua avventura aveva fatto chiasso; dunque lo volevano a qualunque patto; chi sa quanti birri erano in campo per dargli la caccia! quali ordini erano stati spediti di frugar ne’ paesi, nell’osterie, per le strade! Pensava bensì che finalmente i birri che lo conoscevano, eran due soli, e che il nome non lo portava scritto in fronte; ma gli tornavano in mente certe storie che aveva sentite raccontare, di fuggitivi colti e scoperti per istrane combinazioni, riconosciuti all’andare, all’aria sospettosa, ad altri segnali impensati: tutto gli faceva ombra. Quantunque, nel momento che usciva di Gorgonzola, scoccassero le ventiquattro [2], e le tenebre che venivano innanzi, diminuissero sempre più que’ pericoli, ciò non ostante prese contro voglia la strada maestra, e si propose d’entrar nella prima viottola che gli paresse condur dalla parte dove gli premeva di riuscire. Sul principio, incontrava qualche viandante; ma, pieno la fantasia di quelle brutte apprensioni, non ebbe cuore d’abbordarne nessuno, per informarsi della strada. “Ha detto sei miglia, colui, - pensava: - se andando fuor di strada, dovessero anche diventar otto o dieci, le gambe che hanno fatte l’altre, faranno anche queste. Verso Milano non vo di certo; dunque vo verso l’Adda. Cammina, cammina, o presto o tardi ci arriverò. L’Adda ha buona voce; e, quando le sarò vicino, non ho più bisogno di chi me l’insegni. Se qualche barca c’è, da poter passare, passo subito, altrimenti mi fermerò fino alla mattina, in un campo, sur una pianta, come le passere: meglio sur una pianta, che in prigione”.
Ben presto vide aprirsi una straducola a mancina; e v’entrò. A quell’ora, se si fosse abbattuto in qualcheduno, non avrebbe più fatte tante cerimonie per farsi insegnar la strada; ma non sentiva anima vivente. Andava dunque dove la strada lo conduceva; e pensava.
“Io fare il diavolo! Io ammazzare tutti i signori! Un fascio di lettere, io! I miei compagni che mi stavano a far la guardia! Pagherei qualche cosa a trovarmi a viso a viso con quel mercante, di là dall’Adda (ah quando l’avrò passata quest’Adda benedetta!), e fermarlo, e domandargli con comodo dov’abbia pescate tutte quelle belle notizie. Sappiate ora, mio caro signore, che la cosa è andata così e così, e che il diavolo ch’io ho fatto, è stato d’aiutar Ferrer, come se fosse stato un mio fratello; sappiate che que’ birboni che, a sentir voi, erano i miei amici, perché, in un certo momento, io dissi una parola da buon cristiano [3], mi vollero fare un brutto scherzo; sappiate che, intanto che voi stavate a guardar la vostra bottega, io mi faceva schiacciar le costole, per salvare il vostro signor vicario di provvisione, che non l’ho mai né visto né conosciuto. Aspetta che mi mova un’altra volta, per aiutar signori... È vero che bisogna farlo per l’anima: son prossimo anche loro. E quel gran fascio di lettere, dove c’era tutta la cabala [4], e che adesso è in mano della giustizia, come voi sapete di certo; scommettiamo che ve lo fo comparir qui, senza l’aiuto del diavolo? Avreste curiosità di vederlo quel fascio? Eccolo qui... Una lettera sola?... Sì signore, una lettera sola; e questa lettera, se lo volete sapere, l’ha scritta un religioso che vi può insegnar la dottrina, quando si sia; un religioso che, senza farvi torto, val più un pelo della sua barba che tutta la vostra; e è scritta, questa lettera, come vedete, a un altro religioso, un uomo anche lui... Vedete ora quali sono i furfanti miei amici. E imparate a parlare un’altra volta; principalmente quando si tratta del prossimo”.
Ma dopo qualche tempo, questi pensieri ed altri simili cessarono affatto: le circostanze presenti occupavan tutte le facoltà del povero pellegrino. La paura d’essere inseguito o scoperto, che aveva tanto amareggiato il viaggio in pieno giorno, non gli dava ormai più fastidio; ma quante cose rendevan questo molto più noioso! Le tenebre, la solitudine, la stanchezza cresciuta, e ormai dolorosa; tirava una brezzolina sorda, uguale, sottile, che doveva far poco servizio [5] a chi si trovava ancora indosso quegli stessi vestiti che s’era messi per andare a nozze in quattro salti, e tornare subito trionfante a casa sua; e, ciò che rendeva ogni cosa più grave, quell’andare alla ventura, e, per dir così, al tasto, cercando un luogo di riposo e di sicurezza.
Quando s’abbatteva a passare per qualche paese, andava adagio adagio, guardando però se ci fosse ancora qualche uscio aperto; ma non vide mai altro segno di gente desta, che qualche lumicino trasparente da qualche impannata. Nella strada fuor dell’abitato, si soffermava ogni tanto; stava in orecchi, per veder se sentiva quella benedetta voce dell’Adda; ma invano. Altre voci non sentiva, che un mugolìo di cani, che veniva da qualche cascina isolata, vagando per l’aria, lamentevole insieme e minaccioso. Al suo avvicinarsi a qualcheduna di quelle, il mugolìo si cambiava in un abbaiar frettoloso e rabbioso: nel passar davanti alla porta, sentiva, vedeva quasi, il bestione, col muso al fessolino della porta, raddoppiar gli urli: cosa che gli faceva andar via la tentazione di picchiare, e di chieder ricovero. E forse, anche senza i cani, non ci si sarebbe risolto. “Chi è là? - pensava: - cosa volete a quest’ora? Come siete venuto qui? Fatevi conoscere. Non c’è osterie da alloggiare? Ecco, andandomi bene, quel che mi diranno, se picchio: quand’anche non ci dorma qualche pauroso che, a buon conto, si metta a gridare: aiuto! al ladro! Bisogna aver subito qualcosa di chiaro da rispondere: e cosa ho da rispondere io? Chi sente un rumore la notte, non gli viene in testa altro che ladri, malviventi, trappole: non si pensa mai che un galantuomo possa trovarsi in istrada di notte, se non è un cavaliere in carrozza”. Allora serbava quel partito all’estrema necessità, e tirava innanzi, con la speranza di scoprire almeno l’Adda, se non passarla, in quella notte; e di non dover andarne alla cerca, di giorno chiaro.
Cammina, cammina; arrivò dove la campagna coltivata moriva in una sodaglia sparsa di felci e di scope [6]. Gli parve, se non indizio, almeno un certo qual argomento di fiume vicino, e s’inoltrò per quella, seguendo un sentiero che l’attraversava. Fatti pochi passi, si fermò ad ascoltare; ma ancora invano. La noia del viaggio veniva accresciuta dalla salvatichezza del luogo, da quel non veder più né un gelso, né una vite, né altri segni di coltura umana, che prima pareva quasi che gli facessero una mezza compagnia. Ciò non ostante andò avanti; e siccome nella sua mente cominciavano a suscitarsi certe immagini, certe apparizioni, lasciatevi in serbo dalle novelle sentite raccontar da bambino, così, per discacciarle, o per acquietarle, recitava, camminando, dell’orazioni per i morti.
A poco a poco, si trovò tra macchie più alte, di pruni, di quercioli, di marruche [7]. Seguitando a andare avanti, e allungando il passo, con più impazienza che voglia, cominciò a veder tra le macchie qualche albero sparso; e andando ancora, sempre per lo stesso sentiero, s’accorse d’entrare in un bosco. Provava un certo ribrezzo a inoltrarvisi; ma lo vinse, e contro voglia andò avanti; ma più che s’inoltrava, più il ribrezzo cresceva, più ogni cosa gli dava fastidio. Gli alberi che vedeva in lontananza, gli rappresentavan figure strane, deformi, mostruose; l’annoiava l’ombra delle cime leggermente agitate, che tremolava sul sentiero illuminato qua e là dalla luna; lo stesso scrosciar delle foglie secche che calpestava o moveva camminando, aveva per il suo orecchio un non so che d’odioso. Le gambe provavano come una smania, un impulso di corsa, e nello stesso tempo pareva che durassero fatica a regger la persona. Sentiva la brezza notturna batter più rigida e maligna sulla fronte e sulle gote; se la sentiva scorrer tra i panni e le carni, e raggrinzarle, e penetrar più acuta nelle ossa rotte dalla stanchezza, e spegnervi quell’ultimo rimasuglio di vigore. A un certo punto, quell’uggia, quell’orrore indefinito con cui l’animo combatteva da qualche tempo, parve che a un tratto lo soverchiasse. Era per perdersi affatto; ma atterrito, più che d’ogni altra cosa, del suo terrore, richiamò al cuore gli antichi spiriti, e gli comandò che reggesse. Così rinfrancato un momento, si fermò su due piedi a deliberare; risolveva d’uscir subito di lì per la strada già fatta, d’andar diritto all’ultimo paese per cui era passato, di tornar tra gli uomini, e di cercare un ricovero, anche all’osteria. E stando così fermo, sospeso il fruscìo de’ piedi nel fogliame, tutto tacendo d’intorno a lui, cominciò a sentire un rumore, un mormorìo, un mormorìo d’acqua corrente. Sta in orecchi; n’è certo; esclama: - è l’Adda! - Fu il ritrovamento d’un amico, d’un fratello, d’un salvatore. La stanchezza quasi scomparve, gli tornò il polso, sentì il sangue scorrer libero e tepido per tutte le vene, sentì crescer la fiducia de’ pensieri, e svanire in gran parte quell’incertezza e gravità delle cose; e non esitò a internarsi sempre più nel bosco, dietro all’amico rumore.
Arrivò in pochi momenti all’estremità del piano, sull’orlo d’una riva profonda; e guardando in giù tra le macchie che tutta la rivestivano, vide l’acqua luccicare e correre. Alzando poi lo sguardo, vide il vasto piano dell’altra riva, sparso di paesi, e al di là i colli, e sur uno di quelli una gran macchia biancastra, che gli parve dover essere una città, Bergamo sicuramente. Scese un po’ sul pendìo, e, separando e diramando, con le mani e con le braccia, il prunaio, guardò giù, se qualche barchetta si movesse nel fiume, ascoltò se sentisse batter de’ remi; ma non vide né sentì nulla. Se fosse stato qualcosa di meno dell’Adda, Renzo scendeva subito, per tentarne il guado; ma sapeva bene che l’Adda non era fiume da trattarsi così in confidenza.
Perciò si mise a consultar tra sé, molto a sangue freddo, sul partito da prendere. Arrampicarsi sur una pianta, e star lì a aspettar l’aurora, per forse sei ore che poteva ancora indugiare, con quella brezza, con quella brina, vestito così, c’era più che non bisognasse per intirizzir davvero. Passeggiare innanzi e indietro, tutto quel tempo, oltre che sarebbe stato poco efficace aiuto contro il rigore del sereno, era un richieder troppo da quelle povere gambe, che già avevano fatto più del loro dovere. Gli venne in mente d’aver veduto, in uno de’ campi più vicini alla sodaglia, una di quelle capanne coperte di paglia, costrutte di tronchi e di rami, intonacati poi con la mota [8], dove i contadini del milanese usan, l’estate, depositar la raccolta, e ripararsi la notte a guardarla: nell’altre stagioni, rimangono abbandonate. La disegnò subito per suo albergo; si rimise sul sentiero, ripassò il bosco, le macchie, la sodaglia; e andò verso la capanna. Un usciaccio intarlato e sconnesso, era rabbattuto [9], senza chiave né catenaccio; Renzo l’aprì, entrò; vide sospeso per aria, e sostenuto da ritorte di rami, un graticcio, a foggia d’hamac [10]; ma non sl curò di salirvi. Vide in terra un po’ di paglia; e pensò che, anche lì, una dormitina sarebbe ben saporita.
Prima però di sdraiarsi su quel letto che la Provvidenza gli aveva preparato, vi s’inginocchiò, a ringraziarla di quel benefizio, e di tutta l’assistenza che aveva avuta da essa, in quella terribile giornata. Disse poi le sue solite divozioni; e per di più, chiese perdono a Domeneddio di non averle dette la sera avanti; anzi, per dir le sue parole, d’essere andato a dormire come un cane, e peggio. “E per questo, - soggiunse poi tra sé; appoggiando le mani sulla paglia, e d’inginocchioni mettendosi a giacere: - per questo, m’è toccata, la mattina, quella bella svegliata”. Raccolse poi tutta la paglia che rimaneva all’intorno, e se l’accomodò addosso, facendosene, alla meglio, una specie di coperta, per temperare il freddo, che anche là dentro si faceva sentir molto bene; e vi si rannicchiò sotto, con l’intenzione di dormire un bel sonno, parendogli d’averlo comprato anche più caro del dovere.
Ma appena ebbe chiusi gli occhi, cominciò nella sua memoria o nella sua fantasia (il luogo preciso non ve lo saprei dire), cominciò, dico, un andare e venire di gente, così affollato, così incessante, che addio sonno. Il mercante, il notaio, i birri, lo spadaio, l’oste, Ferrer, il vicario, la brigata dell’osteria, tutta quella turba delle strade, poi don Abbondio, poi don Rodrigo: tutta gente con cui Renzo aveva che dire.
Tre sole immagini gli si presentavano non accompagnate da alcuna memoria amara, nette d’ogni sospetto, amabili in tutto; e due principalmente, molto differenti al certo, ma strettamente legate nel cuore del giovine: una treccia nera e una barba bianca. Ma anche la consolazione che provava nel fermare sopra di esse il pensiero, era tutt’altro che pretta e tranquilla. Pensando al buon frate, sentiva più vivamente la vergogna delle proprie scappate, della turpe intemperanza, del bel caso che aveva fatto de’ paterni consigli di lui; e contemplando l’immagine di Lucia! non ci proveremo a dire ciò che sentisse: il lettore conosce le circostanze; se lo figuri. E quella povera Agnese, come l’avrebbe potuta dimenticare? Quell’Agnese, che l’aveva scelto, che l’aveva già considerato come una cosa sola con la sua unica figlia, e prima di ricever da lui il titolo di madre, n’aveva preso il linguaggio e il cuore, e dimostrata co’ fatti la premura. Ma era un dolore di più, e non il meno pungente, quel pensiero, che, in grazia appunto di così amorevoli intenzioni, di tanto bene che voleva a lui, la povera donna si trovava ora snidata, quasi raminga, incerta dell’avvenire, e raccoglieva guai e travagli da quelle cose appunto da cui aveva sperato il riposo e la giocondità degli ultimi suoi anni. Che notte, povero Renzo! Quella che doveva esser la quinta delle sue nozze! Che stanza! Che letto matrimoniale! E dopo qual giornata! E per arrivare a qual domani, a qual serie di giorni! “Quel che Dio vuole, - rispondeva ai pensieri che gli davan più noia: - quel che Dio vuole. Lui sa quel che fa: c’è anche per noi. Vada tutto in isconto de’ miei peccati. Lucia è tanto buona! non vorrà poi farla patire un pezzo, un pezzo, un pezzo!”
Tra questi pensieri, e disperando ormai d’attaccar sonno, e facendosegli il freddo sentir sempre più, a segno ch’era costretto ogni tanto a tremare e a battere i denti, sospirava la venuta del giorno, e misurava con impazienza il lento scorrer dell’ore. Dico misurava, perché, ogni mezz’ora, sentiva in quel vasto silenzio, rimbombare i tocchi d’un orologio: m’immagino che dovesse esser quello di Trezzo. E la prima volta che gli ferì gli orecchi quello scocco, così inaspettato, senza che potesse avere alcuna idea del luogo donde venisse, gli fece un senso misterioso e solenne, come d’un avvertimento che venisse da persona non vista, con una voce sconosciuta.
Quando finalmente quel martello ebbe battuto undici tocchi [11], ch’era l’ora disegnata da Renzo per levarsi, s’alzò mezzo intirizzito, si mise inginocchioni, disse, e con più fervore del solito, le divozioni della mattina, si rizzò, si stirò in lungo e in largo, scosse la vita e le spalle, come per mettere insieme tutte le membra, che ognuno pareva che facesse da sé, soffiò in una mano, poi nell’altra, se le stropicciò, aprì l’uscio della capanna; e, per la prima cosa, diede un’occhiata in qua e in là, per veder se c’era nessuno. E non vedendo nessuno, cercò con l’occhio il sentiero della sera avanti; lo riconobbe subito, e prese per quello.
Il cielo prometteva una bella giornata: la luna, in un canto, pallida e senza raggio, pure spiccava nel campo immenso d’un bigio ceruleo, che, giù giù verso l’oriente, s’andava sfumando leggermente in un giallo roseo. Più giù, all’orizzonte, si stendevano, a lunghe falde ineguali, poche nuvole, tra l’azzurro e il bruno, le più basse orlate al di sotto d’una striscia quasi di fuoco, che di mano in mano si faceva più viva e tagliente: da mezzogiorno, altre nuvole ravvolte insieme, leggieri e soffici, per dir così, s’andavan lumeggiando di mille colori senza nome: quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace. Se Renzo si fosse trovato lì andando a spasso, certo avrebbe guardato in su, e ammirato quell’albeggiare così diverso da quello ch’era solito vedere ne’ suoi monti; ma badava alla sua strada, e camminava a passi lunghi, per riscaldarsi, e per arrivar presto. Passa i campi, passa la sodaglia, passa le macchie, attraversa il bosco, guardando in qua e in là, e ridendo e vergognandosi nello stesso tempo, del ribrezzo che vi aveva provato poche ore prima; è sul ciglio della riva, guarda giù; e, di tra i rami, vede una barchetta di pescatore, che veniva adagio, contr’acqua [12], radendo quella sponda. Scende subito per la più corta, tra i pruni; è sulla riva; dà una voce leggiera leggiera al pescatore; e, con l’intenzione di far come se chiedesse un servizio di poca importanza, ma, senza avvedersene, in una maniera mezzo supplichevole, gli accenna che approdi. Il pescatore gira uno sguardo lungo la riva, guarda attentamente lungo l’acqua che viene, si volta a guardare indietro, lungo l’acqua che va, e poi dirizza la prora verso Renzo, e approda. Renzo che stava sull’orlo della riva, quasi con un piede nell’acqua, afferra la punta del battello, ci salta dentro, e dice: - mi fareste il servizio, col pagare, di tragittarmi di là? - Il pescatore l’aveva indovinato, e già voltava da quella parte. Renzo, vedendo sul fondo della barca un altro remo, si china, e l’afferra.
- Adagio, adagio, - disse il padrone; ma nel veder poi con che garbo il giovine aveva preso lo strumento, e sl disponeva a maneggiarlo, - ah, ah, - riprese: - siete del mestiere.
- Un pochino, - rispose Renzo, e ci si mise con un vigore e con una maestria, più che da dilettante. E senza mai rallentare, dava ogni tanto un’occhiata ombrosa alla riva da cui s’allontanavano, e poi una impaziente a quella dov’eran rivolti, e si coceva di non poterci andar per la più corta; ché la corrente era, in quel luogo, troppo rapida, per tagliarla direttamente; e la barca, parte rompendo, parte secondando il filo dell’acqua, doveva fare un tragitto diagonale. Come accade in tutti gli affari un po’ imbrogliati, che le difficoltà alla prima si presentino all’ingrosso, e nell’eseguire poi, vengan fuori per minuto, Renzo, ora che l’Adda era, si può dir, passata, gli dava fastidio il non saper di certo se lì essa fosse confine, o se, superato quell’ostacolo, gliene rimanesse un altro da superare. Onde, chiamato il pescatore, e accennando col capo quella macchia biancastra che aveva veduta la notte avanti, e che allora gli appariva ben più distinta, disse: - è Bergamo, quel paese?
- La città di Bergamo, - rispose il pescatore.
- E quella riva lì, è bergamasca?
- Terra di san Marco.
- Viva san Marco! - esclamò Renzo. Il pescatore non disse nulla.
Toccano finalmente quella riva; Renzo vi si slancia; ringrazia Dio tra sé, e poi con la bocca il barcaiolo; mette le mani in tasca, tira fuori una berlinga, che, attese le circostanze, non fu un piccolo sproprio [13], e la porge al galantuomo; il quale, data ancora una occhiata alla riva milanese, e al fiume di sopra e di sotto, stese la mano, prese la mancia, la ripose, poi strinse le labbra, e per di più ci mise il dito in croce, accompagnando quel gesto con un’occhiata espressiva; e disse poi : - buon viaggio - , e tornò indietro.
Perché la così pronta e discreta cortesia di costui verso uno sconosciuto non faccia troppo maravigliare il lettore, dobbiamo informarlo che quell’uomo, pregato spesso d’un simile servizio da contrabbandieri e da banditi, era avvezzo a farlo; non tanto per amore del poco e incerto guadagno che gliene poteva venire, quanto per non farsi de’ nemici in quelle classi. Lo faceva, dico, ogni volta che potesse esser sicuro che non lo vedessero né gabellieri, né birri, né esploratori. Così, senza voler più bene ai primi che ai secondi, cercava di soddisfarli tutti, con quell’imparzialità, che è la dote ordinaria di chi è obbligato a trattar con cert’uni, e soggetto a render conto a cert’altri.
Renzo si fermò un momentino sulla riva a contemplar la riva opposta, quella terra che poco prima scottava tanto sotto i suoi piedi. “Ah! ne son proprio fuori! - fu il suo primo pensiero. - Sta’ lì, maledetto paese”, fu il secondo, l’addio alla patria. Ma il terzo corse a chi lasciava in quel paese. Allora incrociò le braccia sul petto, mise un sospiro, abbassò gli occhi sull’acqua che gli scorreva a’ piedi, e pensò “è passata sotto il ponte!” Così, all’uso del suo paese, chiamava, per antonomasia, quello di Lecco. “Ah mondo birbone! Basta; quel che Dio vuole”.
Voltò le spalle a que’ tristi oggetti, e s’incamminò, prendendo per punto di mira la macchia biancastra sul pendìo del monte, finché trovasse qualcheduno da farsi insegnar la strada giusta. E bisognava vedere con che disinvoltura s’accostava a’ viandanti, e, senza tanti rigiri, nominava il paese dove abitava quel suo cugino. Dal primo a cui si rivolse, seppe che gli rimanevano ancor nove miglia da fare.
Quel viaggio non fu lieto. Senza parlare de’ guai che Renzo portava con sé, il suo occhio veniva ogni momento rattristato da oggetti dolorosi, da’ quali dovette accorgersi che troverebbe nel paese in cui s’inoltrava, la penuria che aveva lasciata nel suo. Per tutta la strada, e più ancora nelle terre e ne’ borghi, incontrava a ogni passo poveri, che non eran poveri di mestiere, e mostravan la miseria più nel viso che nel vestiario: contadini, montanari, artigiani, famiglie intere; e un misto ronzìo di preghiere, di lamenti e di vagiti. Quella vista, oltre la compassione e la malinconia, lo metteva anche in pensiero de’ casi suoi.
“Chi sa, - andava meditando, - se trovo da far bene? se c’è lavoro, come negli anni passati? Basta; Bortolo mi voleva bene, è un buon figliuolo, ha fatto danari, m’ha invitato tante volte; non m’abbandonerà. E poi, la Provvidenza m’ha aiutato finora; m’aiuterà anche per l’avvenire”.
Intanto l’appetito, risvegliato già da qualche tempo, andava crescendo di miglio in miglio; e quantunque Renzo, quando cominciò a dargli retta, sentisse di poter reggere, senza grand’incomodo, per quelle due o tre che gli potevan rimanere; pensò, da un’altra parte, che non sarebbe una bella cosa di presentarsi al cugino, come un pitocco, e dirgli, per primo complimento: dammi da mangiare. Si levò di tasca tutte le sue ricchezze, le fece scorrere sur una mano, tirò la somma. Non era un conto che richiedesse una grande aritmetica; ma però c’era abbondantemente da fare una mangiatina. Entrò in un’osteria a ristorarsi lo stomaco; e in fatti, pagato che ebbe, gli rimase ancor qualche soldo.
Nell’uscire, vide, accanto alla porta, che quasi v’inciampava, sdraiate in terra, più che sedute, due donne, una attempata, un’altra più giovine, con un bambino, che, dopo aver succhiata invano l’una e l’altra mammella, piangeva, piangeva; tutti del color della morte: e ritto, vicino a loro, un uomo, nel viso del quale e nelle membra, si potevano ancora vedere i segni d’un’antica robustezza, domata e quasi spenta dal lungo disagio. Tutt’e tre stesero la mano verso colui che usciva con passo franco, e con l’aspetto rianimato: nessuno parlò; che poteva dir di più una preghiera?
- La c’è la Provvidenza! - disse Renzo; e, cacciata subito la mano in tasca, la votò di que’ pochi soldi; li mise nella mano che si trovò più vicina, e riprese la sua strada.
La refezione e l’opera buona (giacché siam composti d’anima e di corpo) avevano riconfortati e rallegrati tutti i suoi pensieri. Certo, dall’essersi così spogliato degli ultimi danari, gli era venuto più di confidenza per l’avvenire, che non gliene avrebbe dato il trovarne dieci volte tanti. Perché, se a sostenere in quel giorno que’ poverini che mancavano sulla strada, la Provvidenza aveva tenuti in serbo proprio gli ultimi quattrini d’un estraneo, fuggitivo, incerto anche lui del come vivrebbe; chi poteva credere che volesse poi lasciare in secco colui del quale s’era servita a ciò, e a cui aveva dato un sentimento così vivo di sé stessa, così efficace, così risoluto? Questo era, a un di presso, il pensiero del giovine; però men chiaro ancora di quello ch’io l’abbia saputo esprimere. Nel rimanente della strada, ripensando a’ casi suoi, tutto gli si spianava. La carestia doveva poi finire: tutti gli anni si miete: intanto aveva il cugino Bortolo e la propria abilità: aveva, per di più, a casa un po’ di danaro, che si farebbe mandar subito. Con quello, alla peggio, camperebbe, giorno per giorno, finché tornasse l’abbondanza. “Ecco poi tornata finalmente l’abbondanza, - proseguiva Renzo nella sua fantasia: - rinasce la furia de’ lavori: i padroni fanno a gara per aver degli operai milanesi, che son quelli che sanno bene il mestiere; gli operai milanesi alzan la cresta; chi vuol gente abile, bisogna che la paghi; si guadagna da vivere per più d’uno, e da metter qualcosa da parte; e si fa scrivere alle donne che vengano... E poi, perché aspettar tanto? Non è vero che, con quel poco che abbiamo in serbo, si sarebbe campati là, anche quest’inverno? Così camperemo qui. De’ curati ce n’è per tutto. Vengono quelle due care donne: si mette su casa. Che piacere, andar passeggiando su questa stessa strada tutti insieme! andar fino all’Adda in baroccio, e far merenda sulla riva, proprio sulla riva, e far vedere alle donne il luogo dove mi sono imbarcato, il prunaio da cui sono sceso, quel posto dove sono stato a guardare se c’era un battello”.
Arriva al paese del cugino; nell’entrare, anzi prima di mettervi piede, distingue una casa alta alta, a più ordini di finestre lunghe lunghe; riconosce un filatoio, entra, domanda ad alta voce, tra il rumore dell’acqua cadente e delle rote, se stia lì un certo Bortolo Castagneri.
- Il signor Bortolo! Eccolo là.
“Signore? buon segno”, pensa Renzo; vede il cugino, gli corre incontro. Quello si volta, riconosce il giovine, che gli dice: - son qui -. Un oh! di sorpresa, un alzar di braccia, un gettarsele al collo scambievolmente. Dopo quelle prime accoglienze, Bortolo tira il nostro giovine lontano dallo strepito degli ordigni, e dagli occhi de’ curiosi, in un’altra stanza, e gli dice: - ti vedo volentieri; ma sei un benedetto figliuolo. T’avevo invitato tante volte; non sei mai voluto venire; ora arrivi in un momento un po’ critico.
- Se te lo devo dire, non sono venuto via di mia volontà, disse Renzo; e, con la più gran brevità, non però senza molta commozione, gli raccontò la dolorosa storia.
È un altro par di maniche, - disse Bortolo. - Oh povero Renzo! Ma tu hai fatto capitale di me [14]; e io non t’abbandonerò. Veramente, ora non c’è ricerca d’operai; anzi appena appena ognuno tiene i suoi, per non perderli e disviare il negozio; ma il padrone mi vuol bene, e ha della roba. E, a dirtela, in gran parte la deve a me, senza vantarmi: lui il capitale, e io quella poca abilità. Sono il primo lavorante, sai? e poi, a dirtela, sono il factotum. Povera Lucia Mondella! Me ne ricordo, come se fosse ieri: una buona ragazza! sempre la più composta in chiesa; e quando si passava da quella sua casuccia... Mi par di vederla, quella casuccia, appena fuor del paese, con un bel fico che passava il muro...
- No, no; non ne parliamo.
- Volevo dire che, quando si passava da quella casuccia, sempre si sentiva quell’aspo, che girava, girava, girava. E quel don Rodrigo! già, anche al mio tempo, era per quella strada; ma ora fa il diavolo affatto, a quel che vedo: fin che Dio gli lascia la briglia sul collo. Dunque, come ti dicevo, anche qui si patisce un po’ la fame... A proposito, come stai d’appetito?
- Ho mangiato poco fa, per viaggio.
- E a danari, come stiamo?
Renzo stese una mano, l’avvicinò alla bocca, e vi fece scorrer sopra un piccol soffio.
- Non importa, - disse Bortolo: - n’ho io: e non ci pensare, che, presto presto, cambiandosi le cose, se Dio vorrà, me li renderai, e te n’avanzerà anche per te.
- Ho qualcosina a casa; e me li farò mandare.
- Va bene; e intanto fa’ conto di me. Dio m’ha dato del bene, perché faccia del bene; e se non ne fo a’ parenti e agli amici, a chi ne farò?
- L’ho detto io della Provvidenza! - esclamò Renzo, stringendo affettuosamente la mano al buon cugino.
- Dunque, - riprese questo, - in Milano hanno fatto tutto quel chiasso. Mi paiono un po’ matti coloro. Già, n’era corsa la voce anche qui; ma voglio che tu mi racconti poi la cosa più minutamente. Eh! n’abbiamo delle cose da discorrere. Qui però, vedi, la va più quietamente, e si fanno le cose con un po’ più di giudizio. La citta ha comprate duemila some [15] di grano da un mercante che sta a Venezia: grano che vien di Turchia; ma, quando si tratta di mangiare, la non si guarda tanto per il sottile. Ora senti un po’ cosa nasce: nasce che i rettori di Verona e di Brescia chiudono i passi, e dicono: di qui non passa grano. Che ti fanno i bergamaschi? Spediscono a Venezia Lorenzo Torre, un dottore, ma di quelli! È partito in fretta, s’è presentato al doge, e ha detto: che idea è venuta a que’ signori rettori? Ma un discorso! un discorso, dicono, da dare alle stampe. Cosa vuol dire avere un uomo che sappia parlare! Subito un ordine che si lasci passare il grano; e i rettori, non solo lasciarlo passare, ma bisogna che lo facciano scortare; ed è in viaggio. E s’è pensato anche al contado. Giovanbatista Biava, nunzio di Bergamo in Venezia [16] (un uomo anche quello!) ha fatto intendere al senato che, anche in campagna, si pativa la fame; e il senato ha concesso quattro mila staia [17] di miglio. Anche questo aiuta a far pane. E poi, lo vuoi sapere? se non ci sarà pane, mangeremo del companatico. Il Signore m’ha dato del bene, come ti dico. Ora ti condurrò dal mio padrone: gli ho parlato di te tante volte, e ti farà buona accoglienza. Un buon bergamascone all’antica, un uomo di cuor largo. Veramente, ora non t’aspettava; ma quando sentirà la storia... E poi gli operai sa tenerli di conto, perché la carestia passa, e il negozio dura. Ma prima di tutto, bisogna che t’avverta d’una cosa. Sai come ci chiamano in questo paese, noi altri dello stato di Milano?
- Come ci chiamano?
- Ci chiaman baggiani [18].
- Non è un bel nome.
- Tant’è: chi è nato nel milanese, e vuol vivere nel bergamasco, bisogna prenderselo in santa pace. Per questa gente, dar del baggiano a un milanese, è come dar dell’illustrissimo a un cavaliere.
- Lo diranno, m’immagino, a chi se lo vorrà lasciar dire.
- Figliuolo mio, se tu non sei disposto a succiarti del baggiano a tutto pasto, non far conto di poter viver qui. Bisognerebbe esser sempre col coltello in mano: e quando, supponiamo, tu n’avessi ammazzati due, tre, quattro, verrebbe poi quello che ammazzerebbe te: e allora, che bel gusto di comparire al tribunal di Dio, con tre o quattro omicidi sull’anima!
- E un milanese che abbia un po’ di... - e qui picchiò la fronte col dito, come aveva fatto nell’osteria della luna piena. - Voglio dire, uno che sappia bene il suo mestiere?
- Tutt’uno: qui è un baggiano anche lui. Sai come dice il mio padrone, quando parla di me co’ suoi amici? “Quel baggiano è stato la man di Dio, per il mio negozio; se non avessi quel baggiano, sarei ben impicciato”. L’è usanza così.
- L’è un’usanza sciocca. E vedendo quello che sappiam fare (ché finalmente chi ha portata qui quest’arte, e chi la fa andare, siamo noi), possibile che non si sian corretti?
- Finora no: col tempo può essere; i ragazzi che vengon su; ma gli uomini fatti, non c’è rimedio: hanno preso quel vizio; non lo smetton più. Cos’è poi finalmente? Era ben un’altra cosa quelle galanterie che t’hanno fatte, e il di più che ti volevan fare i nostri cari compatriotti.
- Già, è vero: se non c’è altro di male...
- Ora che sei persuaso di questo, tutto anderà bene. Vieni dal padrone, e coraggio.
Tutto in fatti andò bene, e tanto a seconda delle promesse di Bortolo, che crediamo inutile di farne particolar relazione. E fu veramente provvidenza; perché la roba e i quattrini che Renzo aveva lasciati in casa, vedremo or ora quanto fosse da farci assegnamento.

Note
1. Per non lasciar tranquillo.
2. L'Avemaria era l'ultima ora canonica del giorno e corrispondeva alle cinque e mezzo del pomeriggio.
3. Si riferisce al momento in cui ha disapprovato il proposito di uccidere il vicario, nel cap. XIII.
4. L'intrigo (secondo il mercante la rivolta era opera delle trame dei Francesi).
5. Poco piacere.
6. Piante selvatiche.
7. Pruni.
8. Il fango.
9. Socchiuso (dal franc. rabattre).
10. Di amaca (qui è una stuoia formata da un graticcio, sospesa tra due pareti).
11. Le cinque del mattino.
12. Controcorrente.
13. Non fu un esborso di poco conto.
14. Hai fatto assegnamento su di me.
15. La soma corrispondeva a circa 130 chili ed era la quantità di merce che poteva essere trasportata da un cavallo.
16. Si tratta di una sorta di rappresentante diplomatico, un ambasciatore.
17. Lo staio veneto corrispondeva a circa 83 chili (il miglio, che è un cereale povero, veniva mescolato al grano per fare il pane in tempi di carestia).
18. La baggiana è una fava grossa e in questo senso l'aggettivo baggiano era sinonimo di sciocco.


fonte: http://promessisposi.weebly.com/capitolo-xvii.html

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