Capitolo XIII incompleto
"La folla, da una parte e dell'altra, stava tutta in punta di piedi per vedere: mille visi, mille barbe in aria: la curiosità e l'attenzione generale creò un momento di generale silenzio. Ferrer, fermatosi quel momento sul predellino, diede un'occhiata in giro, salutò con un inchino la moltitudine, come da un pulpito, e messa la mano sinistra al petto, gridò: - Pane e giustizia; - e franco, diritto, togato, scese in terra, tra l'acclamazioni che andavano alle stelle..."
Personaggi: Renzo, Antonio Ferrer, il vicario di Provvisione, il vecchio mal vissuto, il popolo di Milano, il cocchiere Pedro
Luoghi: Milano
Tempo: 11 novembre 1628
Temi: La giustizia, La carestia, Il tumulto di S. Martino, Nobiltà e potere
Trama: La folla assedia la casa del vicario di Provvisione per linciarlo. Renzo assiste al tumulto e disapprova il proposito di uccidere il vicario. Arrivo di Ferrer in carrozza. Il gran cancelliere porta in salvo il vicario, promettendo falsamente di condurlo in prigione.
La folla assalta la casa del vicario di Provvisione
Il vicario di Provvisione è a casa sua, intento a digerire un magro pasto consumato senza pane fresco, quando alcuni cittadini giungono a informarlo che la folla si dirige alla sua abitazione per linciarlo. I servi lo avvertono che i rivoltosi sono in arrivo e la fuga è ormai impossibile, così sprangano porte e finestre mentre si sente l'urlo della sommossa che si avvicina minacciosamente. Il pover'uomo è in preda al terrore e si rifugia in soffitta, da dove si affaccia da un pertugio nella parete e scorge la folla che si avvicina, per poi rannicchiarsi in un angolo appartato e sperare vanamente che i disordini cessino.
Intanto i rivoltosi hanno raggiunto la porta della casa iniziando a sconficcarla in tutti i modi e Renzo si trova in mezzo al tumulto, questa volta cacciatosi in mezzo ai disordini per scelta deliberata: il giovane non ha disapprovato il saccheggio dei forni, tuttavia non condivide l'intento della folla di mettere a morte il vicario e, pur essendo convinto che il funzionario sia un affamatore di popolo, è inorridito all'idea di spargere sangue e si è unito alla sommossa col fine di dare una mano a salvare il vicario dal linciaggio. I più esagitati nel frattempo cercano di abbattere la porta colpendola con sassi, o lavorando con scalpelli e attrezzi vari, mentre altri cercano di aprire una breccia nel muro e altri ancora si limitano a incitare a parole, essendo tuttavia di impaccio con la loro sola presenza (per fortuna, osserva con amara ironia l'autore, accade talvolta che i sostenitori più accaniti di un'opera ne siano poi l'impedimento principale).
L'arrivo dei soldati
I magistrati di Milano che sono stati informati dell'accaduto avvertono a loro volta il comandante della guarnigione del Castello Sforzesco, presso porta Giovia, il quale invia sul posto alcuni soldati: al loro arrivo, tuttavia, essi trovano la casa del vicario cinta d'assedio dai rivoltosi e si fermano a una certa distanza, mentre l'ufficiale che li guida riflette sul da farsi. Sparare sulla folla sarebbe crudele e pericoloso, poiché aizzerebbe i più violenti contro i soldati; del resto anche tentare di disperdere i rivoltosi è rischioso, in quanto i soldati potrebbero non mantenere i ranghi serrati ed essere facilmente sopraffatti da quella massa di esagitati. L'esitazione dell'ufficiale viene interpretata come paura e così i popolani più vicini ai soldati li provocano con grida di scherno e un atteggiamento di noncuranza, mentre quelli più vicini alla casa non si accorgono neppure della loro presenza e proseguono imperterriti la loro opera di scardinamento della porta.
Il vecchio mal vissuto
Tra gli esagitati si nota un vecchio dall'aspetto trasandato e lo sguardo pieno di odio, il quale agita in aria un martello, una corda e quattro chiodi coi quali dice di voler attaccare il corpo del vicario a un battente della porta, quando il funzionario sarà stato ucciso. Renzo è inorridito da tali parole e, vedendo che altri sembrano condividere la sua disapprovazione, si lascia sfuggire delle esclamazioni con cui incita i rivoltosi a non abbandonarsi ad atti insensati di violenza, contrari alla volontà di Dio. Uno dei rivoltosi vicino a lui sente le sue parole e lo accusa con rabbia di essere un traditore, mentre in men che non si dica si diffonde tra la folla la voce che lì in mezzo c'è una spia del vicario, o un suo servo, o addirittura il vicario che scappa travestito da contadino. Renzo vorrebbe sparire ed è protetto da alcuni che si trovano vicini a lui, quando a un tratto si sente gridare qualcuno che chiede alla folla di fare spazio, il che salva probabilmente il giovane dalla reazione inferocita degli altri popolani.
La scala a pioli. Si sparge la voce dell'arrivo di Ferrer
Alcuni rivoltosi stanno portando sulle spalle una lunga e pesante scala a pioli, con cui intendono arrampicarsi per entrare nella casa del vicario da una finestra: l'operazione è tuttavia assai difficile, poiché nell'avanzare tra la folla la scala sfugge di mano a chi la trasporta e picchia sulle spalle e le costole degli altri, così essa (paragonata ironicamente dall'autore a una macchina da assedio) si avvicina molto lentamente alla casa. Renzo approfitta della confusione per sgomitare e allontanarsi dal punto in cui si trova, onde evitare rappresaglie da parte di quelli che lo hanno sentito difendere il vicario.
A un tratto si sparge tra la folla la voce che sta arrivando Ferrer in carrozza, notizia che suscita le più varie reazioni e l'iniziale incredulità dei rivoltosi: tutti si voltano a guardare verso il punto indicato (senza tuttavia veder nulla a causa del gran numero di persone) e da quella parte sta proprio arrivando il gran cancelliere per cercare di trarre in salvo il vicario, approfittando della popolarità che ha acquistato con la scriteriata decisione di imporre il calmiere sul prezzo del pane. Ben presto tra la folla si diffonde la convinzione che Ferrer sia venuto per portare il vicario in prigione e un certo numero di rivoltosi sono dunque favorevoli all'arrivo dell'alto funzionario di Stato, mentre altri sono contrari in quanto vorrebbero esser loro a farsi giustizia da sé e linciare il malcapitato vicario di Provvisione.
Digressione dell'autore sui tumulti popolari
L'autore osserva che nelle rivolte popolari c'è sempre un certo numero di esagitati, che per i motivi più vari (perché eccitati dagli eventi, o per fanatismo, o ancora per scelleratezza o semplice gusto del soqquadro) cercano di tirare le cose al peggio e vogliono rinnovare i disordini non appena questi sembrino acquietarsi: ci sono tuttavia anche coloro che si adoperano con altrettanto impegno per ottenere l'effetto contrario, per vicinanza alle persone minacciate o soltanto per sincero orrore verso qualunque atto di violenza. In ciascuna delle due fazioni si crea subito un comune sentire e un'identità d'intenti, mentre nel grosso della folla ci sono uomini di diverse idee e sentimenti che possono inclinare all'uno o all'altro partito, in quanto bisognosi di credere a qualcosa e facili dunque ad essere persuasi ad appoggiare un'idea o quella opposta. I rivoltosi sono come delle banderuole che si muovono senza volontà propria e possono essere usati per i fini altrui, e poiché hanno una grande forza ci sono sempre nei tumulti degli abili oratori in grado di tirarli dalla loro parte, istigandoli a fare qualcosa di bene o di male, e di suscitare in loro speranze e timori, paure e sentimenti vari.
Ferrer è acclamato dalla folla
L'arrivo di Ferrer, da solo e senza alcuna scorta né apparato in mezzo a quella folla tumultuante, suscita la viva approvazione di molti che lo acclamano come un benefattore del popolo e ridà forza a coloro che stanno cercando di rabbonire i rivoltosi, perché non commettano atti di violenza. Si diffonde anche la convinzione che egli voglia portare in prigione il vicario di Provvisione, per cui i suoi sostenitori si danno da fare per far passare la carrozza tra la folla e ripetono a tutti le sue parole, ricordando che il gran cancelliere è colui che ha messo il pane a buon mercato. Poco alla volta prevale il partito favorevole a Ferrer e alcuni rivoltosi allontanano con modi bruschi quelli che stanno ancora sconficcando la porta e il muro della casa, dicendo a coloro che stanno all'interno di tenersi pronti a fare uscire il vicario (è chiaro che il vero scopo del cancelliere è condurlo in salvo e la cosa non sfugge ad alcuni dei presenti).
Renzo chiede se si tratti di quel Ferrer che"aiuta a far le gride", poiché si rammenta della sua firma che ha visto sotto la grida mostratagli dal dottor Azzecca-garbugli, e dopo che la cosa gli viene confermata si convince che il gran cancelliere è un galantuomo venuto a castigare il vicario, per cui il giovane decide di dare una mano e, a forza di urti e spinte, arriva di fianco alla carrozza dove si adopera per fare stare indietro la folla e consentire al veicolo di passare.
La carrozza avanza tra la folla
La carrozza avanza con estrema lentezza e spesso deve fermarsi, occasione in cui Ferrer si affaccia dallo sportello e, atteggiandosi all'umiltà e alla benevolenza, con l'espressione che ha tenuto in serbo per l'incontro con re Filippo IV, si rivolge ai rivoltosi cercando di quietarli e dicendo nel chiasso infernale qualche parola. Il gran cancelliere manda baci alla folla, chiede con la mano di fare spazio e silenzio, quindi dice di voler fare "giustizia" e promette pane e abbondanza, un po' intimorito dalla calca tremenda intorno alla sua carrozza. Egli aggiunge di essere venuto a portare il vicario in prigione, anche se precisa in spagnolo "si es culpable" (se è colpevole), poi sollecita il cocchiere Pedro a procedere tra la folla se gli è possibile. Pedro sorride anche lui ai rivoltosi con fare manierato e chiede gentilmente che facciano passare la carrozza, mentre alcuni popolani ricacciano indietro gli altri e fanno un po' di spazio in cui, pur con grande fatica, essa riesce ad avanzare. Tra questi è particolarmente attivo anche Renzo, il quale ha deciso di aiutare Ferrer nella sua opera e non intende andar via finché l'uomo non sarà riuscito a portare con sé il vicario, per cui il giovane si dà un gran da fare con urti e spintoni ed è talmente suggestionato dagli eventi che gli sembra quasi di aver stretto un legame di amicizia col gran cancelliere.
Le parole di Ferrer alla folla
La carrozza continua a procedere lentamente e a fermarsi di quando in quando, ostacolata dalla folla che ondeggia intorno ad essa come un mare in tempesta e fa sembrare un percorso assai lungo le poche decine di metri che la separano dalla casa del vicario. Ferrer continua a rivolgersi alla folla cercando di capire cosa dicano i rivoltosi e dando le risposte più gradite alle loro orecchie, ripetendo cioè le parole "pane" e "giustizia" e promettendo di portare il vicario in prigione, mentre la folla si tira indietro a fatica e qualche popolano rischia seriamente di essere schiacciato da una delle ruote della carrozza. Finalmente il veicolo giunge vicino alla casa del vicario e qui, proprio di fronte alla porta, si è creato uno spazio vuoto grazie all'opera incessante dei partigiani favorevoli a Ferrer, tra i quali Renzo che si trova in prima fila, in mezzo a una delle due ali di folla che accompagnano la carrozza sino alla porta dell'abitazione. Il gran cancelliere vede la porta mezza scardinata e un po' di spazio libero di fronte ad essa, quindi si affretta ad uscire dalla carrozza e si sofferma per qualche istante sul predellino, acclamato dai presenti a cui rivolge un profondo inchino promettendo "pane e giustizia".
Ferrer entra nella casa e ne porta fuori il vicario
Ferrer si affretta a scendere dalla carrozza e ad avvicinarsi all'uscio sconficcato della casa, che nel frattempo è stato aperto da coloro che si trovano all'interno: il gran cancelliere sguscia rapidamente in mezzo ai battenti semichiusi, preoccupandosi che la sua toga non venga strappata, quindi scompare alla vista dei rivoltosi (l'autore lo paragona, non senza sarcasmo, a una serpe che si infila in un buco per sfuggire agli inseguitori). All'interno il vicario scende le scale mezzo morto dalla paura e si rianima un poco alla vista di Ferrer, che si affretta a riempire di ringraziamenti: il gran cancelliere lo rassicura e lo invita a seguirlo, informandolo che è sua intenzione condurlo via sulla sua carrozza, quindi lo accompagna verso la porta, invocando tra sé l'aiuto di Dio per affrontare quel passo pericoloso e difficile.
I due escono dalla casa, Ferrer per primo e il vicario che lo segue piccino piccino, appiattito dietro alla sua toga, mentre i popolani lì vicino li aiutano a passare e cercano di sottrarre il vicario alla vista della moltitudine: quest'ultimo e il suo salvatore si affrettano a entrare nella carrozza e qui il vicario si nasconde in un angolo, mentre la folla applaude all'indirizzo di Ferrer e impreca contro l'odiato funzionario. La carrozza si allontana dalla casa e questa volta riesce ad avanzare più celermente, sia perché tutti sono abbastanza favorevoli a lasciare andare in prigione il vicario, sia perché si è ormai creato un corridoio in mezzo alla folla che agevola il passaggio del veicolo.
La carrozza si allontana dalla folla
Ferrer raccomanda al vicario di stare ben nascosto sul fondo della carrozza per non farsi vedere dalla folla, mentre il gran cancelliere si affaccia ora all'uno ora all'altro sportello rivolgendosi ai popolani e cercando di blandirli con parole accorte, promettendo cioè pane e giustizia, nonché di portare il vicario alle prigioni dove sarà castigato. Ogni tanto, tuttavia, si volta verso l'interno e parla in spagnolo al vicario, spiegandogli che dice quelle cose solo per rabbonire i rivoltosi: così facendo riesce a tenere a bada la folla e intanto la carrozza si allontana dal cuore del tumulto, raggiungendo infine i soldati spagnoli che sono rimasti inerti e che rappresentano per il cancelliere una sorta di "soccorso di Pisa". L'uomo politico risponde con ironia al saluto dell'ufficiale in comando, che capisce di essere in torto e si stringe nelle spalle, quindi il cocchiere Pedro si rianima alla vista delle armi dei "micheletti" e sprona a dovere i cavalli, facendo imboccare alla carrozza la strada che conduce al Castello Sforzesco.
Ferrer esorta il vicario a rialzarsi, dal momento che il pericolo è cessato, così il funzionario si rianima e inizia a coprire di ringraziamenti il suo salvatore: il gran cancelliere è in realtà preoccupato degli sviluppi della vicenda, nonché delle reazioni del governatore di Milano, don Gonzalo de Cordoba, del primo ministro conte duca di Olivares, del re di Spagna, di fronte allo sconquasso provocato dalla rivolta di quella giornata. Dal canto suo il vicario esprime il proposito di dimettersi dalla sua carica e di ritirarsi in una grotta o sulla cima di una montagna, lontano dalla folla inferocita dei Milanesi, ma il Ferrer gli risponde con tono grave che lui dovrà fare ciò che sarà più conveniente per il servizio al re, benché il vicario non sembri molto convinto di questa affermazione. La carrozza raggiunge il Castello Sforzesco e l'anonimo non dice quale sia poi il destino del vicario di Provvisione.
Temi principali e collegamenti
- Il capitolo è dedicato ancora alla descrizione del tumulto del giorno di S. Martino (come il XII che ne ha spiegato l'origine e le cause) e mostra l'assalto della folla inferocita alla casa del vicario di Provvisione, accusato a torto di essere responsabile della carestia: l'episodio è storico e l'autore si è forse ispirato a quello analogo avvenuto a Milano nel 1814, quando la folla assalì la casa del ministro delle Finanze nel governo vicereale francese, Giuseppe Prina (a differenza del vicario, Prina venne ucciso). Manzoni sottolinea l'insensato modo di agire della folla, che accusa il vicario di colpe non sue e acclama invece il Ferrer che è il vero responsabile della rabbia popolare, e che è pronta a dividersi in opposte fazioni se opportunamente sollecitata da chi è fautore di un partito o di quello opposto (il riferimento, fin troppo ovvio, è ad analoghi episodi verificatisi durante la Rivoluzione francese). L'ironia del romanziere è a tratti impietosa, come quando paragona la lunga scala portata a spalle dai rivoltosi a una "macchina" da assedio con la citazione indiretta addirittura dell'Eneide, per indicare la sproporzione tra l'assalto a una città e l'azione disordinata dei tumultuanti.
- Il "vecchio mal vissuto" che vuole inchiodare il vicario alla porta, la cui "canizie vituperosa" è in certo modo opposta alla "decorosa vecchiezza" di Ferrer, suscita la viva riprovazione di Renzo che rifiuta l'idea di commettere un omicidio e che, per questo, rischia di essere a sua volta linciato dalla folla (ciò sottolinea ancora una volta l'indole aliena dalla violenza del giovane, come durante il suo monologo interiore del cap. II, dopo aver appreso delle minacce di don Rodrigo al curato). Renzo, che aiuta Ferrer a passare in carrozza in mezzo alla folla, lo considera un "galantuomo" e pensa quasi di aver acquisito dei meriti nei suoi confronti, tanto che nel cap. XV chiederà al notaio criminale di essere condotto dal gran cancelliere.
- Il gran cancelliere Antonio Ferrer fa in questo capitolo la sua unica apparizione diretta nel romanzo, impegnato nel salvataggio del vicario di Provvisione che è nei guai anche per colpa sua: il funzionario di Stato in un certo senso si riscatta e la sua azione non è priva di coraggio, anche se la sua figura è descritta in modo negativo specie nel modo in cui inganna i rivoltosi con la sua doppia parola (si veda oltre). Nel Fermo e Lucia l'episodio era in gran parte simile, con la differenza che il Ferrer non alternava spagnolo e italiano, mentre alla fine l'autore aggiungeva una breve digressione con cui condannava in modo esplicito la condotta dell'uomo politico (cfr. il brano Il salvataggio del vicario).
- Il cocchiere Pedro è uno dei "bozzetti" più felici del romanzo e la sua breve comparsa in questo episodio è una sorta di intermezzo comico nel contesto serissimo della rivolta: è quasi la controfigura ridicola del suo padrone, per cui si rivolge rispettoso e pieno di ossequio alla folla quando questa è ancora minacciosa, mentre torna ad assumere toni burberi nel momento in cui la carrozza è al sicuro e protetta dai "micheletti" (analogo atteggiamento è quello assunto dal Ferrer, come si è visto). La frase "Adelante, Pedro, con juicio" ("Avanti, Pedro, con prudenza") pronunciata dal gran cancelliere è rimasta famosa e passata quasi in proverbio.
- Renzo ricorda di aver letto la firma di Ferrer in calce alla grida letta dall'Azzecca-garbugli nel cap. III, quindi chiede ingenuamente alla folla se si tratta di colui "che aiuta a far le gride" (in realtà il cancelliere le siglava soltanto come prescriveva la sua alta carica). Anche per questo il giovane contadino si convince che Ferrer sia un "galantuomo" e lo citerà più volte come esempio di giustizia e benefattore del popolo nel suo improvvisato discorso all'inizio del cap. XIV.
fonte: http://promessisposi.weebly.com/capitolo-xiii.html