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L’avventura dei Faggi Rossi

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Avventure di Sherlock Holmes
 · 7 years ago

«A chi ama l’arte per se stessa» osservò Sherlock Holmes, mettendo via la pagina con gli annunci pubblicitari del Daily Telegraph «piacciono di più gli aspetti meno importanti. E voi, caro Watson, appartenete a questa schiera; ho notato che nei casi e nelle vicende che mi riguardano e di cui avete preso nota, magari abbellendoli un po’, avete scartato le cause celebri, i processi clamorosi per porre l’accento sugli episodi, in apparenza banali, che mi hanno permesso di esplicare quelle facoltà di deduzione e di sintesi logica che considero i miei pregi maggiori.»
«Tuttavia» risposi, sorridendo «non riesco a farmi assolvere del tutto dall’accusa di aver dato ai miei scritti l’impronta del sensazionale.»
Holmes afferrò con le molle un tizzone che ardeva nel caminetto, ci accese la lunga pipa di legno di ciliegio che preferiva a quella di gesso quando era in uno stato d’animo più cavilloso che contemplativo e disse:
«Forse avete sbagliato cercando di aggiungere colore e vita in ciascuno degli episodi invece di limitarvi a registrare la rigida connessione tra causa ed effetto, che costituisce l’aspetto principale e più significativo delle nostre imprese.»
«Quanto a questo, mi sembra di avervi reso piena giustizia» replicai con una certa freddezza perché consideravo l’egocentrismo una delle caratteristiche salienti del carattere del mio amico.
«No, non si tratta né di egoismo né di vanità» disse Holmes, come se mi avesse letto nel pensiero. «Se chiedo piena giustizia per la mia arte è perché è qualcosa di impersonale, al di fuori di me. Il crimine è una cosa comune, la logica è rara. Perciò è sulla logica e non sul crimine che dovete soffermarvi. Invece a volte avete trasformato in una serie di racconti ciò che avrebbe dovuto essere un corso di conferenze.»
Era una fredda mattina all’inizio della primavera e, dopo aver fatto colazione ce ne stavamo seduti davanti a un bel fuoco nel vecchio salotto di Baker Street. Una nebbia spessa aleggiava intorno alle lunghe file di case grigiastre le cui finestre sembravano occhiaie vuote. Nella nostra stanza la lampada a gas era accesa e illuminava la tovaglia, traeva lievi barbagli dalle porcellane e dalle posate perché la tavola non era stata ancora sparecchiata. Quella mattina Holmes era di umore poco ciarliero e non aveva fatto che immergersi nella lettura delle colonne pubblicitarie di diversi giornali finché, abbandonate le sue ricerche, era emerso da quel silenzio con uno stato d’animo tutt’altro che disponibile per farmi un predicozzo sulle mie deficienze letterarie.
«Al tempo stesso» riprese dopo una pausa durante la quale aveva tirato lunghe boccate di fumo dalla sua pipa con lo sguardo fisso sul fuoco, «non posso neanche accusarvi di essere andato alla ricerca del sensazionale a ogni costo perché buona parte dei casi su cui avete scritto non riguardava delitti, non nel senso legale.
Comunque, direi che, pur avendo evitato il sensazionale, a volte, siete sconfinato nel banale.»
«Forse il risultato è stato questo» risposi, «ma i metodi che ho usato mi sembravano nuovi e interessanti.»
«Be’, mio caro, che importanza può avere questo per un pubblico superficiale e senza spirito di osservazione? E poi, se a volte siete caduto nella banalità non si può rimproverarvi perché il tempo dei casi clamorosi è ormai finito. I criminali hanno perduto originalità e intraprendenza. Per quel che riguarda il mio campo d’azione, mi sembra che assomigli sempre più a quello di un’agenzia specializzata in ricerche di oggetti smarriti o in consigli alle giovani allieve di un collegio femminile. E oggi penso proprio di aver toccato il fondo, con questo biglietto che ho ricevuto poco fa. Leggetelo, prego.»
E, così dicendo, Holmes mi porse un foglio spiegazzato. La data era quella del giorno prima e il luogo di provenienza Montague Place. C’era scritto:
“Egregio signor Holmes,
sono molto ansiosa di consultarvi prima di accettare o no il posto di istitutrice che mi è stato offerto. Se non vi è di disturbo, verrò da voi domattina alle dieci e mezzo. Vostra Violet Hunter”
«Conoscete questa signorina, Holmes?» chiesi.
«No.»
«Sono già le dieci e mezzo.»
«Sì, e questa scampanellata è di certo la sua.»
«Potrebbe trattarsi di qualcosa di più interessante di quanto pensiate, in fondo.
Ricordate la vicenda del carbonchio azzurro che in principio sembrava roba da niente e poi è diventata un caso estremamente interessante? Può darsi che anche questa volta vada così.»
«Speriamo. Comunque i nostri dubbi si chiariranno presto perché, se non mi sbaglio, sta arrivando la persona in questione.»
Holmes aveva appena pronunciato quelle parole che la porta si aprì e una giovane donna entrò nella stanza. Era vestita semplicemente ma con cura, aveva un viso luminoso, espressivo, punteggiato di lentiggini e l’aria disinvolta di chi fin dalla prima gioventù ha dovuto farsi strada nel mondo con le proprie forze. A Holmes che si era alzato per salutarla, disse:
«Spero che mi scuserete per il disturbo, signor Holmes, ma purtroppo sono alle prese con un’esperienza decisamente insolita e, non avendo né amici né parenti a cui rivolgermi per un consiglio, ho pensato di ricorrere a voi.»
«Prego, sedetevi, signorina Hunter. Sarò felice di fare il possibile per aiutarvi.»
Notai che il mio amico era rimasto favorevolmente impressionato dai modi e dal linguaggio della nuova cliente. La osservò a lungo con aria scrutatrice, poi si dispose ad ascoltare il suo racconto con le palpebre socchiuse.
«Per cinque anni sono stata istitutrice presso la famiglia del colonnello Spencer Munro» cominciò la ragazza, «ma due mesi orsono il colonnello è stato trasferito ad Halifax, nella Nuova Scozia e i suoi figli lo hanno seguito; così mi sono trovata senza
lavoro. Ho messo degli annunci sui giornali, ho risposto a tutti quelli che ho trovato, invano. Alla fine il poco denaro che avevo messo da parte ha cominciato ad esaurirsi, tanto che non sapevo più come fare.
Nel West End c’è una nota agenzia di collocamento, la Westaway, e ci andavo una volta alla settimana con la speranza che ci fosse un lavoro adatto alle mie capacità. Westaway è il nome del fondatore dell’agenzia, ma in realtà a mandarla avanti è la signorina Stoper. Se ne sta chiusa nel suo piccolo ufficio e le ragazze in cerca d’impiego aspettano in anticamera; vengono introdotte una a una, la signorina consulta i registri e vede se c’è qualcosa di conveniente per loro.
Bene, quando andai all’agenzia, la settimana scorsa, venni introdotta come al solito nell’ufficietto. Questa volta la signorina Stoper non era sola. Accanto a lei era seduto un uomo eccezionalmente robusto con un faccione sorridente e il doppio mento, occhialuto; quando entrai, costui mi lanciò un’occhiata, sobbalzò sulla sedia ed esclamò, rivolto alla signorina Stoper:
“Magnifico, magnifico! Non avrei potuto chiedere di meglio!”
Sembrava entusiasta e si fregava le mani. Era un uomo dall’aspetto rassicurante che faceva piacere guardare. Poi si rivolse a me e chiese:
“Voi cercate un impiego, signorina?” “Sì, signore.”
“Come istitutrice?”
“Sì.”
“Quale salario chiedete?”
“Ricevevo quattro sterline al mese presso la famiglia del colonnello Spencer Munro.”
“Oh, via, questo è sfruttamento bello e buono” gridò il grassone, alzando le braccia al cielo. “Come si può offrire una somma così ridicola a una ragazza con il vostro aspetto e le vostre doti?”
“Forse, signore, le mie doti sono minori di quanto pensiate” risposi. “Conosco un po’ di francese e di tedesco, la musica, il disegno...”
“Basta, basta!” esclamò lui. “Tutto questo non ha la minima importanza. Il punto essenziale è questo: avete o no i metodi e il portamento di una vera signora? Questo è il nocciolo della faccenda. Se non possedete queste doti non siete all’altezza di educare un fanciullo che forse, un giorno, giocherà un ruolo importante nella storia del nostro paese. Se invece le possedete, come può un gentiluomo offrirvi uno stipendio inadeguato? Con me, signorina, comincereste con cento sterline all’anno.”
Potete immaginare, signor Holmes, che per me, bisognosa com’ero, un’offerta del genere era una cosa di sogno; stentavo a crederci. Quel signore dovette leggermi in viso l’incredulità, perché prese il portafogli e mi tese una banconota.
“È mia abitudine” disse, sorridendo così largamente che i suoi occhi diventarono due puntini scintillanti tra le pieghe del grasso “anticipare a coloro che lavorano per me metà del salario, in modo che possano provvedere alle piccole spese di viaggio e di guardaroba.”
Non avevo mai incontrato, signor Holmes, un uomo così affascinante e generoso. Poiché ero già in debito con alcuni negozianti, quell’acconto mi era utilissimo;
tuttavia c’era qualcosa di anormale in quella transazione e volli informarmi meglio prima di impegnarmi definitivamente.
“Posso chiedervi dove abitate, signore?” chiesi.
“Nell’Hampshire, in un posto di campagna, i Faggi Rossi, a cinque miglia da Winchester. Sia il luogo che la vecchia casa di campagna sono il meglio che si possa desiderare, cara signorina.”
“E quali sarebbero le mie mansioni, signore? Sarei lieta di sapere qualcosa in proposito.”
“Accudire un bambino, un simpatico monello di sei anni. Dovreste vedere come è bravo a uccidere gli scarafaggi con una pantofola. In un batter di ciglia è capace di farne fuori tre.”
Il grassone si rovesciò all’indietro sulla sedia e rise. E di nuovo gli occhi quasi gli scomparvero nel grasso delle guance.
Mi sconcertò un poco il tipo di divertimento esercitato dal bambino, ma le risate del padre mi indussero a pensare che forse stava scherzando.
“Allora” dissi “i miei compiti si limiterebbero ad accudire un solo bambino?”
“No, non si tratta di questo soltanto, cara signorina” fu la risposta. “Dovrete anche, come di sicuro il vostro buon senso vi suggerirà, obbedire agli ordini di mia moglie, purché, naturalmente, siano ordini che non intacchino la vostra dignità. Spero che non abbiate niente da obiettare.”
“No certo, sarò lieta di rendermi utile.”
“Molto bene. Per quel che riguarda i vestiti, ad esempio: noi siamo gente un po’ stramba, sapete? Ma di buon cuore. Se vi chiedessimo di indossare un vestito che vogliamo darvi non vi opporreste a questo nostro piccolo capriccio, vero?”
“Be’... no” dissi, piuttosto stupita per quella richiesta.
“E sedervi da una parte piuttosto che da un’altra non vi spiacerebbe?”
“Oh no.”
“E acconsentireste a tagliarvi i capelli molto corti prima di trasferirvi da noi?”
Non credevo alle mie orecchie. Come avete notato, signor Holmes, i miei capelli
sono folti e abbondanti, di un bel colore castano dorato e tutti li hanno sempre lodati. Non mi sarei mai sognata di sacrificarli senza ragione.
“Temo che sia impossibile accondiscendere a questa richiesta” replicai.
L’uomo, che fino a quel momento non mi aveva tolto gli occhi di dosso, si oscurò in viso.
“Purtroppo questa è una condizione essenziale” disse. “È un innocuo capriccio di mia moglie e i capricci delle signore, mia cara, bisogna rispettarli. Così, non intendete tagliarvi i capelli?”
“No, signore, proprio non potrei” risposi, altrettanto decisa.
“Bene, allora non c’è altro da dire; peccato, perché voi eravate proprio la persona che cercavo. Vi prego, signorina Stoper, mostratemi qualche altra ragazza.”
La signorina fino a quel momento se n’era stata china sulle sue carte senza intervenire nel colloquio, ma quando sentì che rifiutavo mi lanciò un’occhiata piena di risentimento; pensai che la mia risposta negativa le faceva perdere una buona percentuale sull’affare. Poi mi chiese:
“Volete che il vostro nome continui a comparire sui nostri registri?”
“Se non vi dispiace, signorina Stoper, sì.”
“In realtà mi sembra inutile; visto che rifiutate delle eccellenti offerte” ribatté con asprezza lei. “Non pretenderete che continuiamo a darci daffare per trovarvi un altro impiego. Buongiorno, signorina Hunter.”
Percosse il gong che teneva sul tavolo e mi fece accompagnare alla porta da un fattorino.
Bene, signor Holmes, quando tornai al mio alloggio e trovai la dispensa vuota e diversi conti da saldare sul tavolo, cominciai a chiedermi se non avessi agito da stupida. Dopotutto, se quella gente aveva delle strane manie e chiedeva obbedienza su bizzarri particolari, era anche pronta a pagare lautamente la propria eccentricità. Ben poche istitutrici, in Inghilterra, vengono pagate cento sterline l’anno. Inoltre, a che mi servivano i miei capelli? Ci sono tante donne a cui i capelli corti donano e forse io sarei stata tra quelle.
Il giorno seguente ero già convinta di aver commesso un errore e quello dopo ancora ero amaramente pentita. Ero sul punto di passar sopra al mio orgoglio e tornare all’agenzia per chiedere se quel posto era ancora disponibile, quando ricevetti questa lettera di pugno del grassone. L’ho portata con me e ve la leggerò:
“Gentile signorina Hunter,
la signorina Stoper mi ha gentilmente dato il vostro indirizzo e vi scrivo per chiedervi se non siete per caso tornata sulle vostre decisioni. Mia moglie è ansiosa di avervi tra noi dopo che vi ho descritta con tanto entusiasmo. Siamo disposti a offrivi trenta sterline a trimestre, vale a dire centoventi all’anno, per ricompensarvi dei piccoli fastidi che potrebbero causarvi i nostri ghiribizzi. Dopotutto, non siamo poi tanto esigenti. Mia moglie ha una predilezione particolare per il colore blu elettrico e gradirebbe che voi indossaste un vestito di quella tinta, in casa, la mattina. Non dovete però spendere per procurarvelo, ne abbiamo già uno di mia figlia Alice, che ora si trova a Filadelfia, che penso vi andrebbe a pennello. Quanto a sedervi in un posto o in un altro e comportarvi nei modi cui vi ho accennato, penso che non avrete difficoltà. Riguardo ai capelli è un peccato sacrificarli, ho notato quanto fossero belli durante il nostro colloquio, ma purtroppo su questo punto non posso transigere. Mi auguro comunque che l’aumento di stipendio vi ripaghi della perdita che vi impongo. I vostri doveri nei riguardi del bambino, poi, saranno tutt’altro che gravosi. Spero proprio di vedervi presto ai Faggi Rossi; fatemi sapere l’orario del treno e sarò ad aspettarvi a Winchester con il calesse. Vostro devotissimo Jephro Rucastle”
Questa è la lettera che ho appena ricevuto, signor Holmes e penso proprio che accetterò quel posto. Però, prima di fare il passo definitivo, ho voluto sottoporvi il caso.»
«Be’, signorina Hunter, se avete deciso di andare, la questione è chiusa» disse Holmes con un sorriso.
«Voi mi consigliereste di rifiutare?»
«Confesso che non è una situazione che mi sembrerebbe valida per una sorella, se ne avessi.»
«Che cosa pensate di tutto questo?»
«Non ho dati sufficienti per pronunciarmi. E voi, vi siete già formata un’opinione?»
«Mah, a me sembra che ci sia un’unica spiegazione. Il signor Rucastle mi è sembrato un uomo molto gentile, di buon carattere, ma forse sua moglie è un po’ pazza e lui, per paura che venga rinchiusa in manicomio cerca di assecondare le sue manie impedendole così di entrare in crisi.»
«Questa è un’ipotesi accettabile, per la verità e, così come stanno le cose, la più attendibile. Ma continuo a pensare che quel posto non è adatto a una personcina come voi.»
«Ma, signor Holmes, il denaro è tanto!»
«Certo, lo stipendio è buono, troppo buono, direi. È questo che mi impensierisce. Perché darvi centoventi sterline all’anno quando avrebbero potuto avervi per quaranta? Dev’esserci qualche grave ragione per agire così.»
«Ho pensato di sottoporvi i miei problemi, prima di accettare, in modo che, se in seguito avessi bisogno di aiuto, voi non rifiutereste di intervenire. Mi sentirei più protetta e sicura se sapessi di poter contare sul vostro appoggio.»
«Su questo non ci sono dubbi. Vi assicuro che il vostro piccolo problema si sta rivelando il più interessante di tutti quelli che mi si sono presentati negli ultimi mesi. Se vi trovaste in dubbio o in pericolo...»
«Pericolo! Prevedete che dovrò correrne?»
Holmes scosse la testa.
«Non ci sarebbe pericolo se potessimo prevederlo» disse. «Comunque basterà che
mi inviate un telegramma a qualsiasi ora del giorno o della notte e io accorrerò al vostro fianco.»
La ragazza si alzò, con un’aria più serena, ora.
«Questo mi basta, signor Holmes, per recarmi nell’Hampshire senza più problemi. Scriverò subito al signor Rucastle, stasera stessa mi taglierò i capelli e poi raggiungerò il mio nuovo posto di lavoro.»
Aggiunse qualche frase di ringraziamento, ci salutò con garbo e se ne andò verso il suo destino.
«Fortuna» dissi, mentre i suoi passi si allontanavano giù per le scale «che mi sembra una ragazza in grado di cavarsela benissimo da sola.»
«E dovrà farlo» disse Holmes con aria pensosa. «Se non mi sbaglio, entro breve tempo avremo sue notizie.»
Le previsioni del mio amico come al solito si avverarono, e piuttosto presto. Trascorsero quindici giorni durante i quali il mio pensiero corse spesso alla ragazza. Mi chiedevo a quale strana esperienza fosse andata incontro. Lo stipendio troppo alto, le strane condizioni, le mansioni indefinite, tutto induceva a pensare che ci fosse sotto qualcosa di anormale; non sapevo se si trattasse di innocenti manie o di un vero e proprio complotto, se l’uomo grasso fosse un filantropo o un mascalzone.
Quanto a Holmes, spesso se ne stava seduto a lungo, con la fronte corrugata e l’aria assorta, ma ogni volta che accennavo alla ragazza, mi interrompeva con un brusco gesto della mano.
«Ci vogliono dei dati, dei dati!» esclamava. «Non posso costruire mattoni senza argilla.»
E ogni volta concludeva borbottando che, se avesse avuto una sorella, mai le avrebbe permesso di accettare un posto di lavoro del genere.
Il telegramma che alla fine ricevemmo arrivò una sera sul tardi, quando io già pensavo di andare a letto e Holmes stava per concedersi a una delle sue esperienze predilette nel campo della chimica che di solito lo tenevano occupato per tutta la notte tra storte e alambicchi. Fu lui ad aprire il telegramma e dopo aver dato un’occhiata al contenuto, me lo porse.
L’appello era breve, incalzante.
“Trovatevi all’Hotel Black Swan Winchester domani a mezzogiorno. Venite, vi supplico. Non resisto più. Hunter"
«Date un’occhiata all’orario dei treni» mi disse Holmes.
E tornò ai suoi esperimenti. Dopo un po’, alzando lo sguardo, aggiunse:
«Volete venire con me?»
«Sì, mi piacerebbe.»
«Allora sbrigatevi con l’orario.»
«C’è un treno alle nove e mezzo» risposi. «Arriva a Winchester alle undici e
mezzo.»
«Benissimo. Ora andiamo a riposare, domattina avremo bisogno di tutte le nostre
energie.»
Alle undici del giorno seguente avevamo percorso buona parte del tragitto. Holmes
si era immerso nella lettura dei giornali ma quando fummo abbastanza vicini alla meta li mise da parte per ammirare il paesaggio.
Era una magnifica giornata di primavera, il cielo era limpido a parte qualche nuvoletta sfioccata, il sole splendeva e c’era nell’aria qualcosa di esilarante, di frizzante che affilava le energie. Qua e là i tetti rossi delle fattorie emergevano dal verde delle foglie nuove.
«Non è splendido, tutto questo?» esclamai con l’entusiasmo di un cittadino che si è appena lasciato alle spalle nebbia e fumo.
Holmes scosse la testa.
«Per una mente analitica come la mia, Watson, qualsiasi particolare perde di importanza se non è legato all’interesse principale del momento. Voi, invece, guardando quelle casette dai tetti rossi, vi commuovete.»
«Certo non mi fanno pensare a un delitto!»
«In me invece suscitano un certo orrore. L’esperienza mi suggerisce che nei vicoli più malfamati di Londra non si consumano tanti delitti quanto in questo paesaggio così bello e sereno.»
«Holmes, volete spaventarmi!»
«Il motivo è ovvio. Il peso della pubblica opinione, in città, può ottenere ciò che la legge non riesce a raggiungere. Non c’è viuzza, neanche la più sordida, dove le grida di un bambino torturato o le invocazioni di un ubriaco percosso non suscitino la pietà
Hunter”
e lo sdegno dei vicini e inoltre l’ingranaggio della forza pubblica è talmente vicino che basta una parola di protesta per metterlo in moto e tra il crimine e il banco degli accusati il passo è breve. Ma guardate quelle case solitarie, isolate, abitate da gente ignorante che conosce ben poco la legge. Pensate a quante azioni malvagie possono proliferare là dentro. Se la ragazza che ha chiesto il nostro aiuto fosse andata a vivere a Winchester, non avrei avuto paura per lei neanche un attimo. Ma queste cinque miglia di aperta campagna costituiscono un pericolo. Tuttavia è chiaro che lei non è minacciata personalmente.»
«No certo. Se può venire a prenderci a Winchester, questo significa che è in grado di muoversi liberamente.»
«Giusto.»
«Allora, qual è il suo scopo? Quale spiegazione suggerite?»
«Ho escogitato sette spiegazioni diverse e ciascuna potrebbe essere quella giusta,
però, prima di pronunciarmi, ho bisogno di altre informazioni che avremo senza dubbio una volta incontrata la ragazza. Bene, ecco la torre della cattedrale, tra poco sapremo tutto ciò che ci interessa dalla viva voce della signorina Hunter.»
Il Black Swan è una rinomata locanda a pochi passi della stazione e là trovammo la ragazza che ci aspettava. Aveva prenotato un salottino e la colazione era già in tavola. «Sono felice di vedervi» disse in tono sincero. «Siete venuti tutti e due! Non so più
come comportarmi e i vostri consigli mi saranno preziosi.»
«Diteci che cosa vi è accaduto.»
«Lo farò e in fretta, anche. Ho promesso al signor Rucastle di essere di ritorno
entro le tre. Mi ha dato il permesso di uscire, ma non sa per quale ragione.»
«Diteci tutto con ordine» consigliò Holmes.
Holmes allungò le lunghe gambe verso il fuoco e si preparò ad ascoltare.
«Prima di tutto devo ammettere che, nel complesso, non ho ricevuto un cattivo
trattamento dal signore e dalla signora Rucastle. Questo glielo devo. Ma non riesco a capirli e non mi sento a mio agio con loro.»
«Che cosa non riuscite a capire, signorina?»
«Le ragioni della loro condotta. Cercherò di spiegarmi meglio. Quando arrivai, il signor Rucastle mi aspettava alla stazione con il calesse e mi condusse ai Faggi Rossi. La casa è ben situata, ma non si può certo definirla bella: è un grande edificio quadrato, imbiancato a calce ma tutto chiazzato di muffa e umidità. Ci sono ampi terreni tutto intorno, boschi su tre lati e sul quarto un campo che scende verso la strada maestra per Southampton lontana appena un centinaio di metri dall’ingresso principale. Il campo fa parte della proprietà ma i boschi tutto intorno appartengono alla riserva di caccia di lord Southerton. Un folto gruppo di faggi rossi davanti all’entrata della casa ha dato il nome al luogo.
Il signor Rucastle, gentile come sempre, mi accompagnò fin là e quella sera stessa mi presentò a sua moglie e al bambino. Non corrisponde a verità, signor Holmes, la supposizione che facemmo quando venni a trovarvi in Baker Street. La signora Rucastle non è pazza. È una donna pallida e silenziosa, molto più giovane del marito, direi che è sui trent’anni mentre lui ne ha almeno quarantacinque. Dai loro discorsi ho capito che devono essere sposati da circa sette anni, che lui era vedovo e che l’unica figlia avuta dalla prima moglie è quella ragazza che si è recata a Filadelfia. Il signor
Rucastle mi confidò in privato che era partita perché provava una profonda avversione per la matrigna. Capisco che per una ragazza sui vent’anni, la convivenza con la giovane seconda moglie del padre fosse spiacevole.
La signora Rucastle mi è sembrata scialba nel carattere come nell’aspetto, ma affezionatissima al marito e al bambino. I suoi occhi grigi li seguono di continuo, intuendo ogni loro minimo desiderio e cercando di prevenirlo, se possibile. Il signor Rucastle è sempre gentile con la moglie alla sua maniera chiassosa e un po’ gradassa e nel complesso quei due sembrano una coppia felice. Tuttavia, quella donna deve avere qualche pena segreta. Spesso si perde in profondi pensieri e sul suo viso si dipinge una grande tristezza. Più di una volta l’ho sorpresa in lacrime; ho pensato che fosse il carattere di suo figlio, un ragazzino maligno e viziato, a tormentarla. Il rampollo è piccolo di statura con una testa grande, sproporzionata, alterna momenti di violenta collera ad altri di cupa malinconia e il suo maggior divertimento consiste nel tormentare qualsiasi creatura più debole di lui; mostra un autentico talento nel catturare topolini, uccelli e insetti. E ora chiudo con questo bambino che ha ben poco peso nella mia storia.»
«Io gradisco conoscere ogni particolare, signorina Hunter.»
«Bene, cercherò di non tralasciare niente. L’unica cosa sgradevole, in quella casa, quella che più mi ha colpito fin dal principio è l’aspetto e il comportamento della servitù. I domestici sono solo due, marito e moglie. Lui, di nome Toller, è un uomo rozzo e massiccio, con capelli e baffi grigi e un alito che puzza di alcool lontano un miglio; per ben due volte l’ho veduto ubriaco, ma il signor Rucastle non sembra farci caso.
La moglie di Toller è alta, robusta, con una faccia arcigna, taciturna come la sua padrona ma molto meno affabile. Insomma, una coppia sgradevole; per fortuna io passo la maggior parte del mio tempo nella stanza del bambino o nella mia camera che sono attigue, situate nella stessa ala della casa.
Per due giorni, dopo il mio arrivo ai Faggi Rossi, tutto è filato liscio. Il terzo giorno la signora Rucastle è scesa subito dopo colazione e ha sussurrato qualcosa al marito.
“Oh, sì, certo” ha risposto lui. Poi, rivolgendosi a me, ha proseguito: “Vi siamo molto grati, signorina, per aver accettato di tagliarvi i capelli. Vi assicuro che la nuova pettinatura vi dona moltissimo. Ora vorremmo che indossaste l’abito blu elettrico. Lo troverete in camera vostra, sul letto.”
Il vestito c’era e aveva una tonalità di blu molto particolare; il tessuto era di grande pregio, ma si vedeva che quel capo era già stato indossato molte volte. Incredibile a dirsi, ma sembrava fatto su misura proprio per me.
Quando scesi dabbasso, dopo averlo indossato, i Rucastle dimostrarono un entusiasmo esagerato e mi guidarono nel salotto, una stanza vastissima che si estende lungo tutta la facciata della casa, illuminata da tre grandi porte finestre. Accanto a quella di mezzo c’era una sedia, con lo schienale rivolto verso l’esterno. Il signor Rucastle mi chiese di sedermi lì e poi cominciò a passeggiare su e giù e a raccontare una quantità di storie tra le più divertenti che io abbia mai udito. Quell’uomo ha un’autentica vena comica e mi fece ridere fino alle lacrime. La signora Rucastle deve essere del tutto priva del senso dell’umorismo perché non sorrise neanche una volta e rimase seduta, con le mani in grembo e lo sguardo perso nel vuoto.
Dopo un’ora circa, il signor Rucastle, di botto, disse che era giunto il momento di cominciare a lavorare: potevo cambiarmi d’abito e raggiungere il piccolo Edward nella sua stanza.
Due giorni dopo si ripeté la stessa storia nelle stesse circostanze. Indossai di nuovo l’abito blu elettrico, mi sedetti di nuovo sulla sedia accanto alla finestra centrale e mi divertii alle buffe storielle di cui il signor Rucastle sembrava avere un repertorio inesauribile. Poi lui mi dette un libro, un romanzo e, spostando un poco la sedia in modo che la mia ombra non offuscasse le pagine, mi pregò di leggere ad alta voce. Lo feci per una decina di minuti, poi, d’improvviso, interrompendomi a metà di una frase, il signor Rucastle disse che bastava così: potevo salire in camera mia e cambiarmi d’abito.
Tutte queste stranezze mi avevano incuriosita e, più di tutte, il fatto che la sedia era sempre disposta in modo che voltassi le spalle all’esterno. Bruciavo dalla voglia di scoprire che cosa ci fosse là fuori e, pensa e ripensa, trovai il modo. Il mio specchietto si era rotto; ne nascosi un frammento nel fazzoletto poi, alla prima occasione, fingendo di asciugarmi le lacrime per le risa suscitate da una battuta particolarmente spassosa del mio padrone, mi portai il fazzoletto agli occhi e riuscii con quell’accorgimento a vedere che cosa c’era dietro di me. Confesso che rimasi delusa: non c’era niente di speciale. Lanciai un’altra occhiata e finalmente notò qualcosa: un uomo fermo sulla Southampton Road, un uomo snello, barbuto, vestito di grigio che sembrava guardare nella mia direzione. Quella strada è molto trafficata, affollata, ma l’uomo in grigio, immobile, appoggiato alla palizzata che delimita il campo, fissava intensamente la finestra davanti alla quale io ero seduta. Riposi il fazzoletto e notai che la signora Rucastle mi stava osservando con aria sospettosa. Non disse niente, ma di sicuro aveva notato che tenevo in mano lo specchio e che lo avevo manovrato per guardarmi alle spalle perché subito si alzò.
“Jephro” disse “c’è un impertinente fermo in strada che sta osservando la signorina Hunter.”
“È forse un amico vostro, signorina?” mi chiese Rucastle.
“No. Non conosco nessuno da queste parti.”
“Diamine, che sfacciato! Giratevi, per favore, e fategli capire che deve andarsene.” “Non sarebbe meglio ignorarlo, signore?”
“No, continuerebbe ad aggirarsi nei dintorni. Per favore, giratevi e fategli cenno di
allontanarsi.”
Obbedii. Subito dopo la signora Rucastle chiuse le imposte. Tutto questo è
accaduto una settimana fa, e da allora non mi hanno più chiesto di sedermi alla finestra, non ho più indossato il vestito azzurro né visto l’uomo in grigio fermo sulla strada.»
«Continuate, per favore» disse Holmes. «Il vostro racconto diventa sempre più interessante.»
«Temo che lo troverete un po’ sconnesso, non attinente al nocciolo della faccenda. Bene, il giorno stesso del mio arrivo ai Faggi Rossi il signor Rucastle mi condusse in una piccola rimessa attigua alla porta della cucina. Mentre ci avvicinavamo, udii un forte rumore di catene e un suono fondo, come se un grosso animale si muovesse.
“Guardate” disse il signor Rucastle, indicandomi una fessura tra due assi. “Non è una bellezza?”
Detti una sbirciatina e intravidi due occhi di brace, una forma indistinta accovacciata in un angolo buio. Mi tirai indietro con un moto di spavento.
“Niente paura” mi rassicurò il mio datore di lavoro, ridendo della mia reazione. “Quello è Carlo, il mio mastino. Cioè, non appartiene proprio a me ma a Toller, il domestico, la sola persona che riesce a farsi obbedire davvero. Gli diamo un solo pasto al giorno, e neanche abbondante, in modo che sia sempre vigile e aggressivo. Toller lo mette in libertà ogni sera e che Dio protegga chi osa avventurarsi da queste parti. Anche voi non dovrete metter piede fuori di casa, al buio, rischiereste la vita.”
Due notti più tardi mi resi conto della grande utilità di quell’avvertimento. Stavo guardando dalla mia finestra il paesaggio splendidamente illuminato dalla luna quando vidi qualcosa muoversi all’ombra dei faggi e poi inoltrarsi nel prato. Era un cane enorme, alto come un vitello, con il pelo fulvo, la mascella cadente, il muso nero. Nonostante la forte struttura ossea era inagrissimo, quasi scheletrico. Attraversò lentamente il prato e scomparve nell’ombra dalla parte opposta. Quella spaventosa sentinella mi fece rabbrividire: la vista di un ladro mi avrebbe sicuramente spaventata di meno.
A questo punto ho da raccontarvi un’altra stranissima esperienza. Come sapete, mi ero tagliata i capelli a Londra e avevo riposto i miei poveri riccioli in fondo a un baule. Una sera, dopo che il bambino si era coricato, tanto per far qualcosa mi misi a esaminare i mobili della mia stanza e a riordinare le mie cose. C’era in un angolo un vecchio cassettone a tre cassetti; i due più in alto erano vuoti e aperti, quello in basso era chiuso a chiave. Avevo già riempito con la mia biancheria i cassetti vuoti ma avevo ancora una quantità di cose da riporre e mi infastidiva non poter usare il terzo. Supposi che fosse stato chiuso per sbaglio e cercai di aprirlo con il mazzo di chiavi che avevo in tasca. Ebbi fortuna al primo tentativo. Dentro al cassetto c’era un unico oggetto e vi sfido a indovinare che cosa fosse: ciocche di capelli identiche alle mie!
Le presi e le esaminai attentamente. Erano folte, ricciute e della stessa tonalità castano dorata dei miei. Ma era impossibile che mi appartenessero: chi mai aveva potuto chiuderle in quel cassetto? Con le mani che mi tremavano aprii il baule, lo frugai fino in fondo, ed ecco che trovai le mie ciocche tagliate a Londra! Le avvicinai alle altre: erano identiche, incredibile! Riflettei a lungo su quello strano caso ma senza trovare soluzioni, allora riposi le ciocche che non mi appartenevano nel cassetto e non aprii bocca con i Rucastle perché mi rendevo conto che, forzandolo, avevo compiuto un’azione scorretta.
Come già avrete notato, signor Holmes, io sono un’attenta osservatrice e non ho faticato a imprimermi nella mente la disposizione esatta della casa. C’era un’ala che appariva del tutto disabitata, con una porta sempre chiusa a chiave, situata di fronte a quella che conduce agli appartamenti dei Rucastle. Un giorno, però, mentre salivo le scale, mi imbattei nel signor Rucastle che usciva proprio da lì con le chiavi in mano e un’espressione ben diversa da quella bonaria che gli era abituale. Aveva le guance arrossate, la fronte corrugata e la rabbia che gli faceva gonfiare le vene sulle tempie. Chiuse la porta a chiave e mi sorpassò in fretta, senza rivolgermi né una parola né uno sguardo.
Tutto questo risvegliò la mia curiosità e quando uscii in giardino per la consueta passeggiata con Edward, feci in modo di passare sotto le finestre dell’ala disabitata. Ce n’erano quattro in tutto, tre erano sporche di polvere e ragnatele, la quarta aveva le imposte chiuse. Era evidente che in quelle stanze non viveva nessuno.
Mentre passeggiavo su e giù, sbirciando di tanto in tanto le finestre misteriose, comparve il signor Rucastle con la sua consueta aria gioviale.
“Non consideratemi maleducato per non avervi neanche salutato poco fa” mi disse con un sorriso. “Ero preoccupato per l’andamento di certi affari.”
“Non ci ho neanche fatto caso” risposi. E dopo una breve pausa aggiunsi: “Stavo osservando quelle finestre lassù, hanno un’aria così abbandonata! Una ha addirittura le imposte chiuse. Immagino che dietro ci siano delle stanze abbandonate.”
Lui mi fissò.
“La fotografia è uno dei miei passatempi preferiti, signorina, e lassù ho impiantato una camera oscura. Ma voi, mia cara, siete un’eccellente osservatrice, chi lo avrebbe mai creduto?”
Il signor Rucastle parlava in tono scherzoso, ma il suo sguardo non Io era affatto; dimostrava sospetto, piuttosto, fastidio.
Dal momento in cui intuii che in quella stanza c’era qualcosa che dovevo ignorare, la mia curiosità si acuì. No, curiosità non è la parola giusta, era come la sensazione di dover far qualcosa, l’idea che penetrando in quelle stanze avrei compiuto un’azione meritevole. Forse era il mio istinto femminile a guidarmi, comunque ero seriamente intenzionata a profittare di qualsiasi occasione pur di oltrepassare la porta proibita.
Quell’opportunità l’ho avuta solo ieri. Ah, dimenticavo di dirvi che, oltre al signor Rucastle, anche Toller e sua moglie salgono spesso in quelle stanze deserte, una volta li ho visti trasportare una grossa borsa di tela nera. In questi ultimi tempi lui beve più del solito e ieri sera era completamente ubriaco; quando anch’io salii, notai che la chiave era rimasta nella serratura, sicuramente era stato Toller a dimenticarla. Il signore e la signora Rucastle, insieme a Edward, erano ancora dabbasso, dovevo approfittare dell’occasione. Girai la chiave nella serratura, aprii la porta e sgusciai dentro.
Davanti a me c’era un piccolo corridoio con le pareti nude e senza tappeti che in fondo girava ad angolo retto. Oltre quell’angolo vidi tre porte in fila; la prima e la terza erano aperte e ciascuna conduceva a una stanza vuota, polverosa e squallida. La prima aveva due finestre, l’altra una soltanto e tutte così sporche che la luce del tramonto vi filtrava a malapena. La porta centrale era chiusa da una pesante sbarra di ferro. Doveva corrispondere senza ombra di dubbio alla finestra con le imposte chiuse e tuttavia la stanza non era al buio, un po’ di luce si faceva strada attraverso le connessure. Che ci fosse un lucernario che la illuminava dall’alto? Mentre, immobile, osservavo quella porta sinistra chiedendomi quale segreto nascondesse, d’improvviso udii all’interno un sommesso scalpiccio e scorsi un’ombra passare avanti e indietro oscurando il filo di luce che filtrava tra le connessure. A quella vista mi sentii invadere dal terrore, tutto il mio coraggio svanì e fuggii. Corsi lungo il corridoio, oltrepassai la porta e finii tra le braccia del signor Rucastle che mi stava aspettando fuori.
“Allora eravate proprio voi” mi disse, sorridendo. “È quel che ho pensato quando ho visto la porta aperta.”
“Oh, sono così spaventata” ansimai.
“Mia cara figliola, che cosa vi ha tanto spaventata?” chiese lui con voce carezzevole, rassicurante. Un po’ troppo carezzevole, direi. E fu questo a mettermi in guardia.
“Sono stata così sciocca da penetrare nell’ala disabitata” risposi con voce ansimante. “Ma là è tutto talmente solitario e lugubre, talmente oscuro che sono subito corsa via tremando. E che terribile silenzio, là dentro!”
“Non c’è altro?” mi chiese Rucastle, fissandomi come se volesse trapassarmi. “Perché? Che altro avete pensato?” esclamai.
“Vi risponderò con un’altra domanda: per quale ragione credete che abbia sbarrato
la porta?”
“Non ne ho la più pallida idea.”
“Per tenere alla larga la gente che non ha niente a che fare in quel posto. Avete
capito?”
E continuava a sorridermi gentilmente.
“Se lo avessi saputo...”
“Adesso lo sapete. E se oserete di nuovo oltrepassare quella soglia...” a quel punto
il sorriso si trasformò in un ghigno di rabbia e il viso assunse un’espressione quasi demoniaca “... allora vi lancerò contro il mio mastino.”
Ero così terrorizzata da non sapere più quel che facevo. Ricordo solo che mi trovai nella mia stanza, sdraiata sul letto, scossa da un tremito irrefrenabile. È stato allora che ho pensato a voi, signor Holmes. Non posso più vivere ai Faggi Rossi senza l’aiuto e il consiglio di qualcuno. Ho paura di quella casa, del marito e della moglie, dei domestici, addirittura anche del bambino, e ho pensato che se vi avessi portato laggiù tutto si sarebbe sistemato. Avrei anche potuto fuggire, certo, ma la curiosità in me è più forte della paura. Così mi sono decisa a inviarvi quel telegramma. Ho indossato mantello e berretto e ho raggiunto l’ufficio postale, poco lontano da casa. Sulla via del ritorno mi sentivo più tranquilla; poi, quando sono stata vicino ai Faggi Rossi mi è balenata un’idea tremenda: che avessero già sguinzagliato il mastino? Poi mi sono ricordata che Toller aveva bevuto tanto, quella sera, da non essere più cosciente. E lui era l’unico ad avere qualche potere su quella bestia feroce, l’unico a osare di liberarlo dalla catena. Sono rientrata in casa sana e salva ma per tutta la notte non ho chiuso occhio al pensiero che l’indomani ci saremmo incontrati, signor Holmes. Ho ottenuto senza difficoltà il permesso di assentarmi, stamattina, ma devo assolutamente tornare entro le tre, i signori Rucastle vanno a far visita a dei vicini e resteranno fuori per tutta la sera, perciò devo occuparmi da sola del bambino.
Ora che vi ho raccontato tutto, signor Holmes, vorrei tanto sapere qual è la vostra opinione su questa strana faccenda e, soprattutto, come devo comportarmi.»
Holmes e io avevamo ascoltato la ragazza affascinati da quella storia incredibile. A questo punto il mio amico si alzò e cominciò a camminare su e giù per la stanza, le mani in tasca, un’espressione grave dipinta sul viso. Alla fine chiese:
«Toller è ancora ubriaco?»
«Sì. Ho sentito sua moglie che diceva alla signora Rucastle di non saper più che fare per lui.»
«Magnifico. E i Rucastle stasera escono?»
«Sì.»
«C’è una cantina con una serratura solida?»
«Sì, la stanza dove tengono il vino.»
«Finora vi siete comportata con grande coraggio e buonsenso, signorina Hunter.
Pensate che potreste lanciarvi in un’ultima impresa? Non ve lo chiederei se non vi considerassi una persona eccezionale.»
«Tenterò. Che cosa devo fare?»
«Il mio amico e io stasera alle sette saremo ai Faggi Rossi. A quell’ora i Rucastle saranno ancora fuori e Toller, spero, sarà ancora fuori circolazione. L’unica che potrebbe dare l’allarme è la signora Toller. Se riusciste a farla scendere in cantina e a chiudercela dentro, il nostro compito sarebbe molto facilitato.»
«Farò il possibile.»
«Benissimo. Poi cercheremo di veder chiaro in quest’affare. Naturalmente c’è una sola spiegazione possibile. Voi siete stata assunta per impersonare qualcuno, e questo qualcuno è tenuto prigioniero nella camera sbarrata. È evidente. E la prigioniera non può essere altri che la figlia del signor Rucastle, Alice, se non mi sbaglio, che dovrebbe essere in America. Voi siete stata scelta perché le somigliavate nell’altezza, nella figura, nel colore dei capelli. A lei i capelli erano stati tagliati, probabilmente nel corso di qualche malattia, per questo vi hanno chiesto di sacrificare i vostri. Per una strana coincidenza, avete scoperto quelli di Alice. L’uomo che stazionava in strada è senza dubbio un suo amico, forse addirittura il suo fidanzato e poiché voi indossavate il suo vestito e le assomigliavate tanto, almeno in distanza, si sarà convinto dalle vostre risate e dal cenno che gli avete fatto invitandolo ad allontanarsi, che la donna del suo cuore non lo voleva più; il cane viene lasciato libero di notte per impedire al giovanotto di avvicinarsi e mettersi in contatto con lei. Fin qui è tutto chiaro; il punto più difficile è invece il comportamento del bambino.»
«Che cosa ha a che fare lui con tutto questo?» chiesi concitatamente.
«Mio caro Watson, voi, in qualità di medico dovreste pur sapere che un bambino rispecchia il carattere e le tendenze dei genitori. Ma è vero anche il contrario e spesso sono riuscito a intuire il carattere dei genitori studiando quello dei loro figli. Quel bambino è crudele in modo anormale, ama la crudeltà per se stessa e se questa inclinazione gli deriva dal padre bonaccione, come sospetto, o dalla madre, questo significa che quella povera creatura imprigionata corre seri pericoli.»
«Sono sicura che avete ragione, signor Holmes» disse d’impeto la signorina Hunter. «Ora che avete messo in rilievo questo punto, mi tornano alla mente tanti piccoli particolari che mi sembravano insignificanti e che invece non lo sono. Vi supplico, non perdiamo un istante, corriamo subito a soccorrere quella povera creatura.»
«Dobbiamo usare prudenza perché il nostro avversario è dotato di grande astuzia. Non possiamo fare niente fino alle sette di stasera; a quell’ora saremo da voi e in breve tempo scioglieremo il mistero.»
Fummo di parola e alle sette eravamo ai Faggi Rossi, dopo aver fermato il nostro calesse davanti a una locanda lungo la strada. Il gruppo d’alberi con le foglie che scintillavano come metallo brunito alla luce del sole morente ci avrebbe indicato che eravamo giunti a destinazione anche senza la presenza della signorina Hunter in attesa sulla soglia, distesa e sorridente.
«Ci siete riuscita?» chiese subito Holmes.
Dal basso ci giunse un rumore sordo, martellante.
«È la signora Toller chiusa in cantina» disse la ragazza. «Suo marito è disteso sul
pavimento, in cucina e russa a più non posso. Queste sono le sue chiavi, un duplicato di quelle del signor Rucastle.»
«Vi siete comportata magnificamente!» esclamò Holmes con entusiasmo. «Ora fateci strada e tra poco questa cupa faccenda sarà risolta.»
Salimmo le scale, aprimmo la porta, percorremmo il corridoio e ci trovammo davanti alla porta sbarrata che la nostra giovane cliente ci aveva descritto. Holmes rimosse la sbarra di ferro e tentò di aprire la serratura con tutte le chiavi che aveva a disposizione, ma invano. Nessun rumore proveniva dall’interno e a quel silenzio la faccia del mio amico si rannuvolò.
«Speriamo che non sia troppo tardi» disse. «Penso, signorina, che per voi sia meglio non seguirci. Quanto a voi, Watson, spingete la porta con le spalle, insieme a me, e vediamo se riusciamo ad abbatterla.»
Il legno era vecchio e tarlato e al secondo tentativo cedette. Ci catapultammo nella stanza. Era vuota. Non c’erano mobili, a parte uno striminzito pagliericcio, un tavolinetto e un canestro pieno di biancheria. Il lucernario sul soffitto era aperto e la prigioniera scomparsa.
«Qui è stata commessa qualche scelleratezza» disse Holmes. «Rucastle deve aver intuito le intenzioni della signorina Hunter e ha trasportato altrove la sua vittima.»
«In che modo?» chiesi.
«Passando attraverso il lucernario. Ora vedremo come ha fatto.»
Holmes si arrampicò fino al tetto e subito dopo gridò:
«Ecco! Appoggiata al cornicione c’è l’estremità di una lunga scala a pioli. Ha
usato questa per portar via la prigioniera.»
«Impossibile» intervenne la signorina Hunter. «La scala non c’era quando i
Rucastle sono partiti.»
«Lui è tornato indietro e l’ha presa. È intelligente e pericoloso. Non sarei per
niente sorpreso se fossero suoi i passi che sento echeggiare per le scale. Watson, tenete pronta la pistola.»
Holmes aveva appena finito di parlare che un uomo comparve sulla porta. Era alto, grasso e stringeva tra le mani un pesante randello. Nel vederlo la signorina Hunter lanciò un grido e si addossò alla parte; Sherlock Holmes, con un balzo, gli sbarrò il passo.
«Voi, canaglia!» esclamò. «Dove avete nascosto vostra figlia?»
L’uomo roteò gli occhi, poi indicò il lucernario spalancato.
«Sono io a ritorcere la domanda!» ruggì. «Ladri! Spie e ladri! Vi ho scoperti e ora
siete nelle mie mani, penserò io a voi.»
E si precipitò giù per le scale con uno scatto inatteso.
«È andato a prendere il cane!» gridò la signorina Hunter.
«Ho la mia pistola» dissi, in tono rassicurante.
«Meglio, comunque, chiudere la porta d’ingresso» replicò Holmes.
E insieme scendemmo precipitosamente le scale. Avevamo appena raggiunto
l’atrio quando udimmo l’abbaiare di un cane e subito dopo un urlo d’angoscia e un suono orribile, agghiacciante. Un uomo di mezza età, con il viso paonazzo, malfermo sulle gambe, entrò da una porta laterale.
«Misericordia!» gridò. «Qualcuno ha sciolto il cane: non mangiava da due giorni! Su, sbrighiamoci o sarà troppo tardi.»
Holmes e io uscimmo a precipizio e girammo l’angolo della casa con Toller alle calcagna. Vedemmo l’enorme bestia affamata con il muso nero affondato nella gola di Rucastle che si contorceva rantolando a terra. In fretta sparai alla testa del mastino che crollò con i denti acuminati ancora confitti nelle pieghe del collo grasso della sua vittima. Riuscimmo a fatica a separare i due e portammo l’uomo, ancora vivo, ma orribilmente dilaniato, fino a casa. Lo stendemmo su un divano e dopo aver spedito Toller, ora completamente lucido, a cercare sua moglie, feci quel che potevo per alleviare i dolori del ferito. Eravamo tutti intorno a lui quando la porta si aprì e una donna alta e magra entrò nella stanza.
«Signora Toller!» esclamò la signorina Hunter.
«Io in persona. Il signor Rucastle mi ha liberata quando è tornato indietro, prima di salire da voi. Ah, signorina, è proprio un peccato che non abbiate confidato le vostre intenzioni: avrei potuto rivelarvi che tutta questa pena era inutile.»
«E chiaro che la signora Toller su questa faccenda la sa lunga e più di chiunque altro» disse Holmes con un’occhiata pungente alla donna.
«Proprio così, signore, e sono pronta a dirvi tutto.»
«Allora sedetevi, prego e raccontate, perché ci sono dei punti in questa vicenda che non sono ancora riuscito a capire.»
«Certo, signore. E lo avrei fatto anche prima se fossi potuta uscire dalla cantina. Se si arriverà a un processo, sappiate che io ho sempre difeso la signorina Hunter, non solo: ero anche amica della signorina Alice. Lei non è mai stata felice in questa casa, dopo le seconde nozze del padre. Veniva trascurata, non aveva più voce in capitolo ma le cose peggiorarono ancora quando in casa di amici incontrò il signor Fowler. Per quanto ho potuto capire, la signorina Alice, secondo il testamento di sua madre, aveva diritto a una sostanziosa parte dell’eredità, ma era così docile e buona che non disse mai una parola al riguardo, lasciando tutto nelle mani del signor Rucastle. Lui sapeva di non avere niente da temere dalla figlia ma quando spuntò all’orizzonte l’eventualità di un marito che avrebbe chiesto tutto quello che gli spettava di diritto, allora pensò che era giunto il momento di farla finita. Voleva costringere la signorina Alice a firmare un documento in cui era scritto che, nubile o sposata, avrebbe lasciato nelle sue mani tutto il patrimonio. Lei rifiutò e il signor Rucastle la tormentò a tal punto che la poveretta si ammalò di una febbre cerebrale gravissima; per sei settimane rimase sospesa tra la vita e la morte. Finalmente migliorò ma sembrava un’ombra, così pallida, smagrita, con i capelli tagliati corti durante la malattia; ma tutto questo non cambiò i sentimenti del suo innamorato che continuò a esserle fedele, come qualsiasi vero uomo dovrebbe fare.»
«Tutto questo chiarisce i lati della storia che mi erano rimasti oscuri» si intromise Holmes. «Il resto posso dedurlo da solo. Il signor Rucastle, immagino, giunse al punto di imprigionare la figlia.»
«Proprio così, signore.»
«E portò qui da Londra la signorina Hunter per scoraggiare l’ostinata devozione del signor Fowler.»
«Sì, giusto.»
«Ma il signor Fowler era un tipo caparbio; ha continuato ad aggirarsi intorno alla casa e corrompendovi con del denaro è riuscito a convincervi che i vostri interessi e i suoi collimavano.»
«Il signor Fowler è un gentiluomo comprensivo e generoso» rispose la signora Toller senza batter ciglio.
«Così ha fatto in modo che a vostro marito non mancasse mai l’alcool e si è procurato una scala a pioli da usare quando il vostro padrone non fosse stato in casa.»
«Proprio questo è accaduto, signore.»
«Vi siamo debitori, signora Toller» disse Holmes, «per averci così ben chiarito ciò che ancora ci rendeva perplessi. Ecco, sta arrivando il medico condotto, insieme alla signora Rucastle. A questo punto, Watson, per evitare incontri imbarazzanti, credo sia il caso di tornare a Winchester portando con noi la signorina Hunter.»
E così fu risolto il mistero di quella casa sinistra ombreggiata dai faggi rossi.
Il signor Rucastle sopravvisse, ma ridotto a un rottame e tenuto in vita solo dalle cure affettuose della sua devota moglie. La coppia abita ancora con i Toller; con quello che sanno i due, licenziarli potrebbe essere pericoloso.
Il signor Fowler e Alice Rucastle si sposarono a Southampton, con una licenza speciale, il giorno dopo la loro fuga e adesso Fowler ha un incarico governativo all’isola Mauritius. Quanto alla signorina Violet Hunter, il mio amico Holmes, con mio grande disappunto, non appena chiuso felicemente il caso dei Faggi Rossi, non manifestò più il minimo interesse nei suoi confronti. Di lei so solo che adesso dirige una scuola a Walsall e, credo, con notevole successo.

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