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Lo Statuto Sardo

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Tesine
 · 7 years ago

Lo Statuto Sardo

Il testo definitivo di Statuto speciale fu discusso dall' Assemblea Costituente in tre sedute tra il 28 e il 29 gennaio del 1948, e approvato il 31 gennaio. Esso era stato precedentemente discusso dalla commissione dei 75 (quella stessa, cioè, incaricata di redigere il progetto di Costituzione) e studiato da una Sottocommissione apposita, che aveva elaborato il testo sulla scorta di quello proposto dalla Consulta regionale sarda e sentendo ripetutamente i delegati di quest'ultima.
L'apporto dei parlamentari sardi (e in particolare di Emilio Lussu, Renzo Laconi, Pietro Mastino, Antonio Segni, Velio Spano e Salvatore Mannironi) fu decisivo nelle varie sedi in cui si articolava l'attività della Costituente (Sottocommissione Commissione, Gruppi e Assemblea).
Nell'Assemblea Costituente fu battuta la tesi federalista di Emilio Lussu: si opposero la Destra come la Sinistra e il Centro. Fu altresì sconfitta la proposta di Lussu di concedere alla Sardegna uno Statuto speciale come quello Siciliano, sicuramente dotato di poteri maggiori e più ampi.
L'elezione del primo Consiglio Regionale avvenne l'8 maggio 1949.

ASPETTI, CARATTERI E ATTUAZIONE DELLO STATUTO DELLA REGIONE SARDEGNA.

A LO STATUTO SARDO: GENERALITA'

Lo statuto della Regione autonoma della Sardegna, consta di 58 articoli, divisi in otto titoli:
- il titolo I (concernente la Costituzione della Regione e la scelta del capoluogo; artt. 1 e 2)
il titolo II (relativo alle funzioni della Regione, definisce le competenze della Regione sarda in campo legislativo e in campo amministrativo; artt. 3 e 6)
- il titolo III (che detta disposizioni circa le finanze, il demanio e il patrimonio della Regione; artt. 7 - 14)
- il titolo IV (contenente la disciplina degli organi della Regione: Consiglio regionale, Giunta regionale, Presidente della Giunta; artt. 15-42)
- il titolo V (che stabilisce le competenze della Regione relativamente agli Enti locali; artt. 43-46)
- il titolo VI (che disciplina i rapporti tra lo Stato e la Regione, artt 47-53)
- il titolo VII (che regola le modalità di modificazione dello Statuto; art.54)
- il titolo VIII (concernente norme transitorie e finali; artt. 55-57)

B POTERI E LIMITI DELLO STATUTO.

La Regione Sarda, come altre quattro Regioni italiane (Sicilia, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Valle d'Aosta), gode, secondo quanto è stabilito nell'art. 116 della Costituzione, di “forme e condizioni particolari di autonomia, secondo Statuti speciali adottati con leggi costituzionali".
Si tratta, dunque, di una Regione a Statuto speciale e, pertanto, risulta statutariamente dotata di un'autonomia più ampia ed intensa rispetto a quella che la Costituzione attribuisce a tutte le altre Regioni, cosiddette a Statuto ordinario o di diritto comune.
Il concetto di specialità è ancorato a dati di ordine obiettivo ed inconfutabile, desunti dalla tradizione storica, sociale, giuridica e politica.
Per quanto riguarda la Sardegna vi è da dire che la singolare posizione geografica rispetto al Continente, congiunta più o meno agli altri fattori, legittima la pretesa del giusto riconoscimento di una condizione di relativa indipendenza alla quale corrisponde una sfera di autodeterminazione che non è liberamente avocabile dallo Stato.
Sul piano formale la ”specialità" di cui è dotata la Regione sarda ha fatto sì che lo Statuto regionale venisse adottato con una legge costituzionale, diversamente da quanto era stato previsto per le Regioni di diritto comune (il cui Statuto viene deliberato dal Consiglio regionale e approvato con una legge ordinaria della Repubblica).
Nella gerarchia delle fonti legislative esso si colloca tra le fonti costituzionali dell'ordinamento giuridico italiano e non può essere abrogato o modificato se non con il particolare procedimento indicato nell' art 138 della Costituzione e con l’intervento consultivo della Regione sarda. L'approvazione degli statuti mediante legge costituzionale comporta una notevole ingerenza dello Stato che in questo modo adotta e non semplicemente approva lo Statuto, così come avviene invece per le Regioni ordinarie.
Da qui l'opinione che alle Regioni ordinarie sarebbe stato concesso, per l'adozione di tale atto fondamentale, un maggior grado di autonomia rispetto alle Regioni ad autonomia differenziata.

C MATERIE ATTRIBUITE DALLO STATUTO ALLA REGIONE.

In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle fondamentali norme economico-sociali della Repubblica, la Regione Sardegna ha potestà legislativa primaria nelle seguenti materie
(ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale; circoscrizioni comunali; polizia locale urbana e rurale; agricoltura e foreste; piccole bonifiche e opere di miglioramento agrario e fondiario; lavori pubblici di esclusivo interesse della Regione; edilizia ed urbanistica; trasporti su linee automobilistiche e tramviarie; acque minerali e terminali; caccia e pesca; esercizio dei diritti demaniali della Regione sulle acque pubbliche; esercizio dei diritti demaniali e patrimoniali della Regione relativi alle miniere, cave e saline; usi civici; artigianato; turismo, industria alberghiera; biblioteche e musei di enti locali.) art.117 della Costituzione.

La Regione può emanare norme legislative nelle seguenti materie in cui ha potestà legislativa secondaria o concorrente: (industria, commercio ed esercizio industriale delle miniere, cave e saline; istituzione ed ordinamento degli enti di credito fondiario e agrario, delle casse di risparmio, delle casse rurali, dei monti frumentari e di pegno e delle altre aziende di credito di carattere regionale; relative autorizzazioni; opere di grande e media bonifica e di trasformazione fondiaria; espropriazione per pubblica utilità non riguardante opere a carico dello Stato; produzione e distribuzione dell'energia elettrica; linee marittime ed aree di cabotaggio, fra i porti e gli scali della Regione; assunzione di pubblici servizi; assistenza e beneficenza pubblica; igiene e sanità pubblica; disciplina annonaria; pubblici spettacoli).

Infine, la Regione ha la facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizione delle leggi della
Repubblica sulle seguenti materie di potestà legislativa integrativa:
(istruzione di ogni ordine e grado, ordinamento degli studi; lavoro: previdenza ed assistenza sociale;
antichità e belle arti; altre materie previste dalle leggi dello Stato).

D LE NORME DI ATTUAZIONE.

Le norme di attuazione rappresentano lo strumento (previsto dall'art.56 dello Statuto) per consentire alla Regione l'effettivo esercizio di tutti i poteri ad essa assegnati. La forma è quella del Decreto Legislativo (decreto del Presidente della Repubblica), da emanarsi su proposta del Governo dopo l'elaborazione da parte di una Commissione paritetica (Giunta regionale e Governo) e sentito il parere, non vincolante, del Consiglio Regionale.
C'è da sottolineare il fatto che molte norme di attuazione non sono mai state emanate per cui molti articoli dello Statuto sono rimasti lettera morta vanificando così i già deboli e scarsi poteri previsti.

E VERSO UN NUOVO STATUTO.

Da più parti ormai si sostiene l'improrogabilità del rifacimento dello Statuto, ormai inadeguato ai nuovi compiti e funzioni che la Sardegna deve svolgere in Europa e nel Mediterraneo anche a fronte della necessità di una nuova forma di Stato, non più centralista e unitario ma federale. Molti ritengono che solo un'Assemblea Costituente Sarda possa realmente modificare lo Statuto essendosi il Consiglio regionale finora rivelatosi incapace.



La nascita dello Statuto Speciale per la Sardegna



Negli anni che vanno dalla caduta del fascismo, il 25 luglio del 1943, all'approvazione dello Statuto sardo, il 31 gennaio 1948, le sorti della Sardegna si legarono profondamente alla ricostruzione democratica del paese. Si chiuse una fase di plurisecolare aspirazione all'autonomia e si aprì una nuova pagina della storia regionale e nazionale. La conquista di una carta costituzionale d'autonomia rappresentò per i sardi un modo nuovo e diretto di partecipare alla vita statale. Per la prima volta essi ebbero piena coscienza che quello italiano era anche il loro Stato, poiché avevano concorso a riformano in senso pluralista, introdu­cendo nell'ordinamento l'innovativo principio dell'autonomia e del regionalismo, e avevano contribuito, così, alla soluzione di una delle grandi questioni rimaste irrisolte sin dalla fase dell'unificazione nazionale.
Le aspettative che caratterizzarono quella vicenda affondavano le radici in una aspirazione autonomistica antica, una costante nella storia della Sardegna, volta pur alla integrazione che alla separazione, ma certamente basata sulla difesa della propria identità culturale e politica. Una richiesta irrinunciabile di libertà e di diritti d'autonomia portata avanti attraverso i secoli tra contrasti e lacerazioni, tra generose illusioni e interessati conformismi.
Lo Statuto è l'erede di questo patrimonio di memoria storica. Nei suoi articoli si avverte l'eco dell'autonomismo sardo dell'Ottocento e del Novecento, di quella travagliata riflessio­ne sulla questione sarda, avviata dal diffuso pentimento per la fusione con gli Stati di terra­ferma nel 1847 e la rinuncia agli antichi istituti autonomistici.
Nel patto costituzionale stipulato tra la Sardegna e l'ltalia giungono a maturazione le coraggiose battaglie sostenute da ceti e forze diverse dell'isola in questo secolo: dal movimento antiprotezionista, al movimento operaio, sindacale e cooperativo, all'autonomismo cattolico, al tributo di sangue di una generazione di sardi nella Grande Guerra, all'ideologia di riscatto espressa dal movimento dei reduci, alla riforma federalista avanzata dal sardismo, divenuta patrimonio di massa nel primo dopoguerra, fino alla brusca interruzione causata dai venti anni di regime fascista.
Le disposizioni statutarie cercarono di rispondere a tutte queste istanze e di disegnare una autonomia capace di coniugare l'identità con l'integrazione, l'autogoverno con il rico­noscimento da parte della comunità nazionale dei debiti contratti verso la Sardegna.

2 .LA CADUTA DEL FASCISMO E L’ISTITUZIONE DELL’ALTO COMMISSARIATO PER LA SARDEGNA

Sebbene la fine del regime fascista fosse accolta nell'isola senza scosse e l'isolamento fosse avvertibile anche nell'apatia politica della popolazione, ben presto si attivarono nuove dinamiche politiche e sociali che consentirono alla Sardegna di costituirsi come soggetto politico autonomo e con una distinta fisionomia autonomistica.
Il ritorno alla democrazia coincise, infatti, col ritorno delle istanze e del movimento autonomista, che il fascismo ave­va stroncato, e la classe politica sarda, sia pure con ritardi e carenze culturali, si fece prota­gonista della rivendicazione di un nuovo patto con lo Stato, basato sull'autonomia e sulla so­lidarietà interregionale.
Ma la ripresa del dibattito politico fu lenta e difficile perché la gen­te era oppressa dai problemi contingenti e primari: sfamarsi, ricostruire le case distrutte dai bombardamenti, combattere il mercato nero, ripristinare il funzionamento dell’amministrazione pubblica, riattivare i collegamenti col continente e i trasporti interni.
Proprio questa così acuta condizione di isolamento favorì il serpeggiare di diversi strati della popolazione di tensioni separatistiche, che si attenuano solo alla fine della guerra quando i partiti definirono una linea autonomistica e il governo adottò provvedimenti per l’isola.
L’aspirazione autonomistica, profondamente radicata nell’inconscio collettivo, rimase a lungo un sentimento diffuso ma vago, legato per lo più alla recriminazione e alla polemica, prima di tradursi nella rivendicazione consapevole di una speciale carta statuaria.
Sulla scarsa tempestività nel definire una forte proposta istituzionale influì anche la mancanza della guerra di liberazione, conseguente alla decisione del comandante militare dell’isola, il generale Antonio Basso, di consentire alla 90° divisione Panzergrenadier di risalire l’isola e imbarcarsi per la Corsica.
Se vennero così risparmiate ai sardi altre sofferenze e nuove devastazioni, non furono però possibili quelle esperienze istituzionali che il movimento di resistenza realizzò al Nord e al Centro del paese, anticipatrici di riforme tese a impedire la restaurazione monarchica e centralistica.
Il moderatismo che caratterizzò la ripresa della vita politica sarda fu evidentemente anche nel processo di formazione dei comitati di liberazione, che avvenne in modo burocratico, senza una dimensione di massa, soprattutto sulla base di accordi personali tra gli esponenti del prefascismo o addirittura per iniziativa dei prefetti, e questo spiega il loro atteggiamento di collaborazione con il re e con Badoglio.
Diversamente dalla Sicilia, la Sardegna non fu territorio occupato ma continuò ad essere parte del regno d’Italia e ad essere soggetta al governo italiano.
Non si ebbe, dunque un governo militare alleato, ma un rigido controllo esercitato dalla Allied Control commission (ACC), unità integrata anglo-americana che aveva compiti di supervisione dell’attività del governo italiano, per imporre il rispetto dei termini dell’armistizio e per garantire l’impegno bellico dell’Italia.
Il piano dell’ACC per la Sardegna, che definiva i diversi ambiti di competenza delle autorità italiane e alleate nell’isola, prevedeva che nella prima fase, fino alla liberazione di Roma, il commissario regionale alleato, responsabile sul controllo del governo civile, avesse come referente un commissario italiano.
Ma in Sardegna la recente esperienza di un alto commissariato civile, istituito nel marzo di quell’anno alle dipendenze del comando militare per coordinare i servizi civile e curare il collegamento tra le autorità militari e civili, era stata brevissima.
Per la legge di guerra, infatti, dall’agosto al gennaio del 1944 il comandante militare della Sardegna aveva assunto i pieni poteri e l’istituto del commissariato civile era stato eliminato.
D’altra parte il governo Badoglio oppose molte resistenze alla richiesta alleata, temendo che essa pregiudicasse l’ordinamento politico e amministrativo statale, scardinandone l’impianto centralistico basato sulle province e sulle prefetture.
Ma la forte pressione autonomistica proveniente anche dalla Sardegna convinse infine il governo a istituire temporaneamente un Alto Commissariato, alle dirette dipendenze del capo del governo, con il compito di sovrintendere, dirigere e coordinare tutte le amministrazioni statali, civili e militari di esercitare, in caso di necessità, tutte le attribuzioni del governo.
In tal modo Badoglio e il re intesero offrire una risposta in termini di decentramento burocratico alle spinte autonomistiche e avviare la ricostruzione nei territori liberati, salvaguardando l’assetto centralizzato prefascista.
Tuttavia sin dall’inizio nell’isola le forze politiche incalzarono per superare i limiti dell’istituto altocommissariale, concependolo come il primo passo verso l’autonomia.
In questa direzione si mosse lo stesso Alto Commissario, Pietro Pinna, per cui, anche sulla base delle decisioni maturate per la Sicilia, durante il 1944 il governo modificò il decreto istitutivo dell’Alto Commissariato introducendo, fra l’altro, un organismo consultivo – la Giunta, prima, la Consulta, poi.
L’Alto Commissariato era un generale di squadra aerea di origine sarda (Pozzomaggiore) che nel 1943, alla notizia dell’armistizio, dal campo di prigionia americano nel quale era detenuto aveva avanzato a Roosevelt e a Badoglio la proposta di organizzare gli aviatori italiani prigionieri degli Alleati per combattere contro i tedeschi.
Anche grazie alla sua sensibilità politica l’istituto Altocommissariale fu utilizzato in modo nuovo, forzando i limiti del decreto istitutivo in funzione di una prassi che tentò di anticipare per quanto possibile elementi di autonomia.
L’istituzione di una Giunta Consultiva di sei membri, nominata con decreto del capo del governo, era un ulteriore tentativo di rispondere alle aspirazioni autonomistiche, da un lato, coinvolgendo nell’azione di governo le forze più rappresentative dell’isola, unite nel comitato regionale di concentrazione antifascista, ma dall’altro lato, impedendo soluzioni lesive del potere centrale e anticipatrici delle riforme autonomiste richieste in Sardegna, a partire da un organo collegiale che fosse espressione della comunità regionle.
La soluzione individuata dal governo, unita alla successiva esclusione di personalità sarde dal secondo gabinetto Badoglio, lasciò perciò i sardi insoddisfatti.
Dovettero passare comunque parecchi mesi, tra la definizione in Sardegna delle proposte nominative e l’approvazione alleata, prima che il ventidue settembre la Giunta fosse costituita.
Ne facevano parte il democristiano Antonio Segni, il sardista Salvatore Sale, il comunista Giuseppe Tamponi, il socialista Jago Siotto, l’indipendente Enrico Musiu, il liberale Guido Zoccheddu, il democristiano Salvatore Mannironi quale membro sostitutivo.
Nelle sue riunioni, dal settembre del 1944 al marzo del 1945, la Giunta affrontò soprattutto i problemi dell’emergenza economica, ma continuò a discutere anche delle proposte da avanzare a Roma per un “opportuno decentramento regionale”.
Alla fine del 1944 il governo definì la linea d’intervento verso le sue isole, prevedendo stanziamenti per la ricostruzione economica e la riforma degli istituti Alto Commissariali con l’ampliamento delle funzioni dell’organismo consultivo.
I provvedimenti regionali per la Sardegna approvati in dicembre rappresentavano perciò la prima proposta organica per l’isola, con interventi straordinari per lo sviluppo nel campo agricolo, industriale, minerario e creditizio.
Nel dicembre dello stesso anno venne creata la Consulta regionale, organo anch'esso consultivo, composta originariamente da diciotto membri, poi aumentati a ventiquattro, nominati dai partiti ed infine modificata sulla base dei risultati delle elezioni politiche del 2 giugno 1946 e del 18 aprile 1948.
Essa rimase incarica fino all'elezione del primo Consiglio regionale (8 maggio 1948), così come l'Alto Commissario cessò dalle sue funzioni con l'insediamento della prima Giunta regionale,che avvenne subito dopo.
L'azione della Consulta, insediata nell'aprile del 1945, si mosse in due direzioni: da un lato si volse ad intervenire in aiuto dell'economia isolana con forme di sostegno e di impulso; dall'altro ad elaborare lo Statuto dell'autonomia regionale della Sardegna che l'Assemblea Costituente avrebbe dovuto approvare.

2. I PARTITI DEMOCRATICI E L 'AUTONOMIA

La Consulta regionale si trovò così di fronte al difficile compito di elaborare dai punto di vista istituzionale la tanto attesa autonomia.
Ciò consentiva alle formazioni politiche locali di misurarsi con i grandi problemi nazionali e ai partiti di massa appena rinati con la realtà locale, elaborando un' originale e autonoma strategia per la Sardegna.
Il decentramento amministrativo coincideva quindi, per i partiti, con un decentramento delle scelte politiche.
L'interscambio reciproco tra centro e periferia costituirà la novità destinata a rompere il chiuso ambiente politico isolano realizzando, rispetto al primo dopoguerra, un'unità sempre più forte col quadro e col dibattito politico nazionale.
Il primo partito che prende una chiara posizione sull'autonomia è Il Partito Sardo d'Azione, con i Lineamenti del programma politico del 1943.
La continuità col primo dopoguerra è fortissima non solo nelle proposte, ma anche negli uomini che guidano il partito. L'autonomia è ben distinta sia dal puro decentramento amministrativo che dal separatismo: alla Regione vengono comunque attribuite ampie competenze, non solo in materia economica, ma anche in altri settori come la difesa.
Lo stato viene prospettato con una struttura federale che riconosca ampia autonomia alle Regioni o ai gruppi di Regioni.
Questa impostazione garantistica e di autodifesa dello stato si scontrò nel luglio del 1944 con le posizioni di Lussu.
Egli infatti ebbe il merito di ravvivare lo spento dibattito sull'autonomia regionale allargando le tematiche e introducendo nuovi metodi d'approccio.
Lussu rimane sempre federalista, ma definisce ormai il sardismo come un movimento democratico a carattere prevalentemente proletario, capace di attuare una trasformazione delle strutture politico-amministrative dello stato in senso socialista.
L’autonomia però, secondo il leader azionista, non deve essere intesa come isolazionismo politico ed economico, ma inserimento dell'autonomia regionale sarda nella dimensione più vasta della vita politica ed economica nazionale.
Egli pone soprattutto l'accento su come la trasformazione dello stato e la ricostruzione autonomista debbano partire dai Comuni e dalle Regioni in un vasto movimento periferico, di cui la Sardegna poteva essere all'avanguardia.
Queste tesi, per il forte carattere innovatore, si scontrano con l'ostilità dei vecchi dirigenti e con la base moderata del partito che non riusciva a capire quale rapporto poteva intercorrere tra autonomia e socialismo.
Il PSDA non poteva però più, nonostante le forti spinte isolazioniste, tenersi al di fuori del nuovo quadro politico e nel VI Congresso (agosto 1944) aderiva, con un patto federativo, al Partito d'Azione, pur restando, nell’ambito regionale, autonomo e distinto.
Lussu aveva vinto, ma il PSDA appariva lacerato tra due opposte concezioni politiche: quella moderata e liberista, e quella radicale e socialista di Lussù.
Il VII Congresso vedrà queste linee contrapposte insieme ad una certa debolezza d'iniziativa del partito, che all'epoca, con i suoi 40.000 iscritti, era il partito di massa più forte nell'isola.
Nel 1944 anche un altro partito di massa, la Democrazia Cristiana, iniziava a precisare la propria strategia autonomista.
Anche per la DC c'era una forte continuità di idee e di uomini col Partito Popolare.
Non a caso sarà un ex-popolare come Antonio Segni ad intervenire per primo sulla questione regionale, ricalcando in sostanza il vecchio programma del 1921.
Secondo Segni, estremamente attento ai problemi giuridici e istituzionali, la Regione deve svilupparsi nell'isola come ente elettivo, autonomo-autarchico, amministrativo.
Nel I Congresso regionale del 1944 della DC emerge, inoltre, una ben marcata diffidenza verso i nuovi organismi di autogoverno antifascisti, i CLN, che secondo l'opinione dei democristiani sardi potrebbero sconvolgere l'ordinamento dello Stato composto da Comuni, Province, Regioni.
IL Partito Comunista Italiano aveva nei primi mesi del 1944 un atteggiamento apertamente ostile verso la Regione.
I comunisti erano convinti che in un regime di autonomia regionale si sarebbero affermate le forze conservatrici, staccando di conseguenza l'isola dal movimento democratico ed antifascista del Nord.
Questa posizione, tuttavia, non era condivisa dal gruppo dirigente nazionale del PCI, e in particolare da Togliatti.
Nei primi mesi del 1944, a causa dell'antiautonomismo del PCI isolano, nasceva il Partito Comunista Sardo, un piccolo gruppo che proponeva la costituzione di una repubblica socialista federativa in cui la Sardegna sarebbe stata inserita come repubblica autonoma.
La direzione inviò nell'isola Velio Spano che riuscì in parte a correggere la linea secondo la svolta togliattiana di Salerno.
Nel febbraio del 1945 la direzione del partito approvò una risoluzione, Per I 'avvenire de//a Sardegna, secondo cui compito del nuovo Stato democratico era quello di aiutare le popolazioni sarde a svilupparsi in modo autonomo nel quadro dell’unità nazionale.
Il PCI prende esplicita posizione a favore dell'autonomia, ma con numerose riserve di natura classista e operaista che lo porteranno ad avere un ruolo decisamente subalterno nel dibattito istituzionale, nell'elaborazione dello Statuto (il PCI, contrariamente al PSDA e alla DC, non presenterà mai un proprio progetto) e nei lavori della Consulta.
Meno interessanti le posizioni dei socialisti, che riprendono le vecchie posizioni degli anni venti, ma con una diffidenza e un atteggiamento scettico verso l'autonomia.
Naturalmente contrari i liberali e le destre.

3. PROGETTI DI STATUTO DEL PSDA E DELLA DC.

Il primo partito che superi le vaghe affermazioni autonomistiche è il PSDA che nel gennaio del 1946 pubblica il proprio progetto di Statuto.
L'ispirazione di fondo è il federalismo: si dichiara infatti che soltanto una struttura repubblicana federale dello stato salverà e rafforzerà l'unità nazionale, intensificando le libertà individuali.
Tuttavia se dovesse fallire la battaglia per la riforma federativa dello stato il PSDA chiedeva che, qualunque fosse la forma del nuovo stato, fosse riconosciuta l'autonomia dell'isola e la sua potestà legislativa. Particolarmente ampie, nel progetto sardista, le competenze legislative esclusive della Regione: affari interni, pubblica sicurezza, lavoro, previdenza sociale, igiene e sanità, finanze, agricoltura, industria, commercio interno ed estero, trasporti, lavori pubblici.
La struttura amministrativa della Regione è organizzata secondo otto circoscrizioni o distretti, che sostituiscono le Province, ed i Comuni sono dotati di ampia autonomia.
Inoltre, parallelamente al sostegno offerto sul piano economico ad una media classe imprenditrice isolana, viene assegnata alla Regione un'autonomia doganale che sottrae la Sardegna al regime doganale dello stato.
Il progetto sardista incontra la fredda accoglienza del PCI apertamente antifederalista, e dei liberali, orientati per un cauto decentramento amministrativo.
Più duttile l'atteggiamento della DC, che pur considerando il progetto sardista una base di discussione, sostiene che il problema del federalismo era ormai ampiamente superato nel dibattito politico, visto che le Regioni potevano trovare completa autonomia anche al di fuori di una struttura statale federale.
La problematica dei rapporti tra stato e Regione è al centro del progetto di Statuto della Democrazia Cristiana, apparso nell'aprile del 1946.
Il progetto tiene conto dello Statuto della Val d'Aosta (già in vigore) e del progetto della Consulta regionale siciliana.
L'aspetto più interessante del progetto democristiano riguarda le finanze; infatti se i sardisti ponevano lo stato e la Regione sullo stesso piano in materia di autonomia doganale, la DC lascia allo stato l'obbligo di aiutare l'isola.
Le ampie competenze previste dal progetto sardista in materia legislativa vengono notevolmente ridotte, affidando alla Regione competenze legislative secondarie in materia di finanza , tesoro, giustizia, ordinamento e affari interni della Regione, istruzione, industria e commercio, lavori pubblici, agricoltura, igiene e sanità.
Gli organi di governo della Regione sono indicati in una deputazione regionale, composta da settanta deputati ed eletta con suffragio universale, un Consiglio regionale con funzioni esecutive eletto dalla deputazione, un Presidente regionale.
Le altre Province vengono soppresse.
I lavori per l'elaborazione dello schema di Statuto regionale procedevano però assai lentamente.
La Consulta si trovava ad affrontare quotidianamente gravi problemi pratici, come l'interruzione dei trasporti e la ricostruzione economica.
Nel quadro di questi ritardi, le commissioni della Consulta nazionale, dopo aver esaminato lo schema di Statuto proposto dalla Sicilia, espressero un voto perché lo Statuto siciliano venisse esteso alla Sardegna con gli opportuni adattamenti.
Ma la Consulta regionale si pronunciò contro la possibile estensione dello Statuto siciliano, ribadendo con una mozione approvata all'unanimità che la competenza esclusiva a fare proposte sullo Statuto spettava unicamente alla Consulta stessa.
Il non aver approvato lo schema dello Statuto siciliano fu un grave errore.
L'approvazione di uno schema di Statuto come quello della Sicilia, con ampie competenze e poteri regionali, avrebbe posto l'isola in condizione di avere al più presto un regime autonomo.
Nel voto contrario c'erano però delle regioni sotterranee: i sardisti ed i democristiani ritenevano opportuno, per ragioni di giustificabile orgoglio regionale, che la Sardegna elaborasse un proprio Statuto senza prendere a prestito un altro testo; i liberali diffidavano delle ampie competenze dello schema siciliano; le sinistre non avevano le idee chiare sulla posta in gioco.
Se il cammino verso l'autonomia aveva sinora accomunato la Sardegna e la Sicilia, perché il governo era solito estendere per prassi i provvedimenti adottati per la Sicilia alla Sardegna e viceversa, ora, con la decisione della Consulta sarda, l'iter parallelo si interrompe.
In Sicilia lo Statuto regionale viene approvato nel clima di collaborazione democratica tra i partiti di massa (le prime elezioni si svolgono il 20 aprile 1947).
Lo Statuto regionale sardo sarà invece approvato dalla Costituente nel clima di rottura dell'unità antifascista e dello scontro tra PCI e DC.
Nel quadro di questa mutata situazione la maggioranza governativa limitò sostanzialmente l'autonomia sarda rispetto a quella siciliana proprio per quanto riguarda l'aspetto politico e finanziario.

4. I LAVORI DELLA CONSULTA REGIONALE E L 'APPROVAZIONE DELLO SCHEMA DI STATUTO.

Lo schema di Statuto, elaborato da un'apposita commissione (a sua volta scissa in due gruppi di studio) viene presentato alla Consulta e ai deputati sardi eletti alla Costituente il 30 dicembre 1946.
La discussione è introdotta dalla relazione del liberale Sanna Randaccio sui problemi politico-istituzionali.
Egli fa presente come nella parte dei principi e dei diritti dei cittadini lo Statuto fosse un compromesso tra le tesi del proprio partito, della DC e del PSDA.
Per quanto riguarda la potestà legislativa, ricorda le divergenze manifestatesi in seno alla commissione sulla definizione dei limiti di questa potestà in rapporto a materie come l'agricoltura e l'industria, dove più forte era “l'aspetto sociale”.
La parte economico-finanziaria dello schema viene illustrata dal democristiano Castaldi, il quale mette in evidenza i principi informatori di questa sezione.
Essi sono:
1) la necessità di integrare il bilancio dello stato con quello della Regione, che si prevede notevolmente passivo, sottolineando il fatto che la Regione non può pretendere di regolare la sua finanza senza la collaborazione dello stato;
2) la necessità di evitare un sistema tributario che ripeta gli errori del passato imponendo tributi superiori alle capacità contributive dell'agricoltura;
3) riservare allo stato il sistema tributario e dell'esazione delle imposte, affidando alla Regione, in sede di applicazione dei tributi, di collaborare con gli uffici fiscali per calcolare le aliquote per la Sardegna.
La posizione assunta dai vari partiti sul progetto di Statuto elaborato dalla commissione è nel complesso favorevole.
Lo schema di Statuto viene perciò rivisto e rielaborato dalla Commissione in base alle osservazioni e alle critiche espresse dall’Assemblea, e riportato alla Consulta per la definitiva approvazione nella seduta del 15 aprile 1947.
Il relatore democristiano Castaldi, a nome della DC, definisce il progetto come il frutto di un compromesso: questo termine non è tuttavia da intendere in democrazia nel suo significato peggiore: « compromesso significa scontro ordinato e leale di diverse volontà che finiscono per trovare una linea comune di convergenza ».
Il consultore democristiano sottolinea come i partiti siano d'accordo su quasi tutti i problemi affrontati nello Statuto, tranne alcuni punti quali la competenza legislativa, la zona franca, le dogane, le province.
Il PSDA invece non trovò "soddisfazione" alle proprie aspirazioni nel progetto in questione, riservandosi di dare indicazioni in seguito riguardo ad una migliore organizzazione della Regione nell'ambito dello stato.
Il PCI non era autonomista a priori.
Il suo consultore Dessanay riteneva che la Regione sarda dovesse avere un'autonomia «non assoluta, ma relativamente ampia».
La posizione del PCI sul problema della competenza legislativa della Regione si orienta affinché il potere legislativo attribuito alla Regione non abbia limiti tali da entrare in contrasto con le leggi emanate dallo stato.
Il PCI è tuttavia disposto a riconoscere una potestà legislativa di carattere esclusivo, ma non su quelle materie «impegnate in modo evidentissimo nel piano di sviluppo economico e sociale della nuova democrazia italiana», cioè l'agricoltura, il commercio e l'industria.

5. L 'APPROVAZIONE DELLO STATUTO SARDO.

I limiti organici dello Statuto sardo non sono da imputare soltanto alla seconda sottocommissione dell'Assemblea Costituente, che di fatto modificò lo schema proposto dalla Consulta, ma anche e soprattutto alle stesse classi dirigenti sarde e ai partiti operai che sottovalutarono gli aspetti istituzionali dell' autonomia. Innanzitutto, bisogna sottolineare la sostanziale "arretratezza" della cultura giuridica dei consultori rispetto ai nuovi problemi della ricostruzione e della definizione delle competenze regionali.
A parte qualche eccezione, la gran parte degli uomini politici che elaborarono lo Statuto si era formata nel primo dopoguerra: ne deriva una politica già vecchia e superata dai tempi.
Lo schema di Statuto, pur all'interno dell'unità autonomistica che ispirò le posizioni dei partiti, è frutto di una diretta collaborazione soprattutto tra i liberali, i democristiani, i sardisti: le sinistre vi svolgono una funzione marginale.
L'asse politico che determina le scelte è quindi uno schieramento centrista.
Per questi partiti la questione autonomistica è legata soprattutto all'arretratezza economica ed alla compressione fiscale, doganale, amministrativa dello stato accentrato.
E questo infatti un momento in cui l'aspirazione della borghesia locale (sia cattolica che laica) alla guida della Sardegna si fa particolarmente pressante.
Rimangono inspiegabilmente in ombra i problemi legati agli aspetti "etnici" e culturali della questione autonomistica, per i quali i consultori non mostrano alcuna sensibilità, a differenza di tutti quei teorici (da Angioy a Tuveri, da Asproni a Bellieni) che invece proprio in questo patrimonio avevano individuato la ragione fondamentale per l'autonomia.
Soltanto Lussu, sostenne la necessità di sancire l'obbligo dell'insegnamento della lingua sarda, come un «patrimonio millenario che occorre conservare».
Come dimostra l'iter dell'approvazione dello Statuto sardo, il braccio di ferro tra le classi dirigenti nazionali, rappresentate dal potere centrale, e la classe dirigente locale si risolse a tutto svantaggio di quest'ultima.
La vicenda dello Statuto regionale pone in piena luce il fallimento della borghesia sarda, la sua debolezza, le riserve che hanno sempre accompagnato le sue aspirazioni liberiste e “sardiste".
Si deve tener presente, però, che lo Statuto sardo fu approvato nel contesto di un clima politico nazionale completamente mutato.
La rottura dell'unità antifascista e i risultati delle elezioni regionali siciliane favorevoli alle sinistre determinarono nel dibattito all'Assemblea Costituente sull'istituzione dell'ente regione (maggio 1947) una vera e propria inversione dei ruoli, per cui il PCI dal "regionalismo moderato" e dall'antifederalismo passò ad una posizione apertamente favorevole all'autonomia regionale, mentre la DC da un'originaria adesione organica all'idea di Regione si spostò su posizioni più moderate.
Il 21 giugno l'Assemblea Costituente approva l'articolo 116 della Costituzione della Repubblica che include la Sardegna tra le Regioni cui (come la Sicilia, la Val d'Aosta, il Friuli Venezia-Giulia, il Trentino-Alto Adige) vengono « attribuite forme e condizioni particolari di autonomia secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali ».
Il mutato contesto politico costringe intanto il PCI ad una seria autocritica sui limiti della propria iniziativa autonomistica.
Al convegno regionale dei quadri dirigenti del PCI sarà lo stesso Togliatti ad esporre una nuova strategia basata sulla valorizzazione dell'autonomia cui il PCI deve immediatamente adeguarsi divenendo « il partito sardo delle grandi masse sarde».
Questa strategia darà i suoi frutti, facendo del PCI una forza protagonista non solo delle lotte sociali a favore dei contadini e dei minatori, ma anche nel Piano di Rinascita dell' isola.
Anche il PSI prende una posizione apertamente favorevole all'autonomia sarda.
Il 21 luglio l'Assemblea Costituente, in seduta plenaria, discute una mozione presentata da Emilio Lussu in cui si chiede che per lo Statuto sardo venga adottata la stessa procedura sperimentata per quello siciliano, e che pertanto l'Assemblea autorizzi il Governo all'approvazione immediata del testo dello Statuto presentato dalla Consulta sarda, in modo da rendere possibile la convocazione delle elezioni entro l'anno. Ma la mozione, cui si oppone la DC, non è approvata.
Il rinvio a data destinarsi dell'approvazione dello Statuto sardo mantenne ancora viva, in aperto contrasto col quadro politico nazionale, quell'unità autonomistica che era stata alla base dei lavori della Consulta e che aveva espresso, al di là delle divergenze, uno schema di Statuto nel complesso positivo.
Nel mese di ottobre la discussione sullo schema di Statuto si svolge tra non poche polemiche dovute all'atteggiamento del Governo che tendeva ormai apertamente a limitare le attribuzioni della Regione.
Alla fine fu la Commissione dei 75 (quella stessa incaricata di redigere il progetto di Costituzione) a redigere il progetto dello Statuto sardo, studiato da una sottocommissione apposita.
Quest'ultima ne elabora il testo sulla base di quello proposto alla Consulta regionale sarda e sentendo ripetutamente i delegati di quest’ultima.
L'apporto dei parlamentari sardi fu indubbiamente decisivo nelle varie sedi in cui si articolava l'attività della Costituente. Non sempre le modifiche proposte dalla Sottocommissione sono tese a cambiare lo schema e a restringere le competenze della Regione sarda.
In certi casi, anzi, vi è un notevole miglioramento.
Il 28 gennaio 1948 inizia alla Costituente il dibattito sullo Statuto sardo.
L'inasprirsi dei contrasti tra le forze politiche impedisce qualsiasi convergenza o compromesso.
La DC apporta delle modifiche al testo votato dalla Consulta (e dagli stessi democristiani sardi) che peggiorano lo Statuto già cosi "modesto" rispetto a quello siciliano.
I punti di maggiore attrito tra le snu~· stre e il Governo riguardano la questione delle finanze e dei tributi, in cui il Governo è contrario ad ogni intervento statale nell'economia; la questione dei poteri del presidente della Regione, fig~ira che, secondo le sinistre, deve rappresentare, riunendole, lo Stato unitario e la Regione, e che è condizione indispensabile per rafforzare l'unità statale ed evitare qualsiasi contrapposizione tra stato e Regione.
Il testo cosi modificato fu approvato dalla Costituente il 31 gennaio 1948.
Alla vigilia del suo scioglimento, l'Assemblea Costituente provvide ad approvare le leggi costituzionali n. 2, n. 3, n. 4 e n. 5 del 26 febbraio 1948 recanti gli Statuti speciali per la Sicilia, la Sardegna (n. 3), la Val d'Aosta ed il Trentino- Alto Adige.
L'elezione del primo Consiglio regionale avvenne l'8 maggio 1949.

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